Il filantrocapitalismo: nuovo motore della beneficenza

"Il filantrocapitalismo può essere la terza via"

La filantropia è da sempre una componente importante della società americana, che ha permesso tra le altre cose il fiorire delle eccellenze universitarie come Harvard e Stanford le quali si vantano di poter permettere a ogni studente meritevole privo di mezzi di usufruire della migliore preparazione universitaria possibile, proprio grazie alle donazioni private.

Se vogliamo capire cosa rappresenti la filantropia in America dobbiamo riferirci a Max Weber e alla sua analisi dell’etica protestante, utile per comprendere la componente etico-religiosa dei padri fondatori: l’idea che la ricchezza dell’imprenditore rappresenti un segno della predestinazione divina che lo porta ad assumersi responsabilità particolari e quasi gli impone di aiutare i suoi simili. Noi europei a volte siamo abituati a guardare con diffidenza a questa dimensione dell’etica americana liquidandola come una risposta agli incentivi fiscali che ne conseguono, attribuendole l’etichetta di surrogato privatistico del nostro welfare state, ma naturalmente dietro c’è molto di più.

In un certo senso infatti la filantropia intesa nel suo significato più ampio può essere davvero intesa come la terza via, qualcosa che superi la contraddizione tra statalismo e capitalismo selvaggio. Certo la crisi economica globale ha minacciato pesanti ripercussioni anche in questo settore che ha però risposto accelerando un trend positivo già iniziato da qualche tempo: la trasformazione in filantrocapitalismo.

Cos’è il filantrocapitalismo?

Una nuova generazione di benefattori ha intrapreso la terza via ma con una nuova chiave di lettura consapevole della necessità di una gestione manageriale in modo da massimizzare i profitti e ottimizzare gli investimenti, cercando così di attirare sempre nuovi donatori. Questo fenomeno è stato analizzato molto bene da M. Bishop e M. Green, i quali hanno dedicato numerosi saggi all’argomento tra cui un libro “Philantrocapitalism: how the rich can save the world”. Nuovi modelli economici si fanno sempre più essenziali se si pensa alla nascita di fondazioni che possono vantare miliardi di capitale sociale.

Bill & Melinda Gates Foundation

Tra gli esempi più famosi di questo fenomeno possiamo trovare la “Bill & Melinda Gates Foundation” che opera attivamente nel settore con obiettivi ambiziosi e veramente altruistici:lo sradicamento della povertà e delle malattie nei paesi in via di sviluppo.
La portata e la complessità di questi propositi ha spinto Bill Gates ad abbandonare la presidenza esecutiva di Microsoft e a dedicarsi principalmente alla fondazione dal 28, dopo aver ricevuto un’ingente donazione da un altro magnate americano W. Buffet.
Buffet infatti aveva imposto una condizione alla sua donazione che uno dei due coniugi Gates si occupasse attivamente della fondazione, visto che molti studi in merito hanno ampiamente dimostrato come la partecipazione attiva dei fondatori giochi un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi.

La gestione della Gates Foundation si è sempre più arricchita nel corso del tempo di elementi che provengono dal mondo del business come gli incentivi e i disencetivi da attribuire a seconda dei risultati raggiunti nel corso dei progetti umanitari. La terza via per il momento resiste bene alla crisi e rappresenta anche un modello di efficienza a cui possono ispirarsi le varie organizzazioni internazionali del settore.

Tutto questo ci aiuta a capire la miriade di prospettive che si aprono in vista delle diverse letture della sussidiarietà orizzontale, che in chiave statunitense ha preso anche le vesti del filantrocapitalismo.