The Civil Effect
Il rapporto “The Civil effect”, ha avuto il merito di evidenziare i tanti ostacoli che la Big Society avrebbe dovuto affrontare per la sua realizzazione, primi fra tutti la burocrazia e la carenza di fondi.
Il principale imputato è il meccanismo per l’assegnazione degli appalti per la fornitura dei servizi pubblici che farebbe lievitare i costi; lo strumento previsto è quello della “compulsory competitive tendering (CCT), che è ritenuta una misura finalizzata a tagliare i costi, ma che in realtà, presenta delle notevoli problematicità.
Inoltre il percorso burocratico che le associazioni sono costrette ad affrontare non è affatto garanzia di rigore e trasparenza, ma spesso funge da deterrente per gli elevati costi di gestione che comporta. Non di rado le difficoltà vengono anche dalle ridotte dimensioni delle associazioni, che le rendono incapaci di interagire con le istituzioni. Per rimuovere tale ostacolo, il rapporto invita alla creazione di network e consorzi.
Il Localism Bill
Ora il governo di Cameron compie un significativo passo in avanti, proponendo, attraverso il Department for Communities and Local Government, il “Localism Bill”. Presentato il 13 dicembre in prima lettura alla Camera dei Comuni, il disegno di legge torna in aula il 17 gennaio. L’aspirazione di questa legge è quella di creare le condizioni favorevoli alla realizzazione della Big Society, individuando il principale obiettivo nella necessità di dare maggiori poteri alle comunità locali. Come si legge sul sito del Dipartimento “this Bill will shift power from central government back into the hands of individuals, communities and councils”. Il potere centrale è infatti cresciuto in maniera tale da mettere in crisi la democrazia locale, la responsabilità individuale, l’innovazione e l’imprenditorialità nei servizi pubblici.
Parola d’ordine: decentralizzare
Il Governo ha anche predisposto una guida, per illustrare i cambiamenti introdotti con questa legge.
La guida indica sei azioni essenziali:
1. Ridurre il peso della burocrazia, rimuovendo il costo e il controllo di inutili lungaggini, il cui effetto è quello di restringere l’azione locale;
2. spingere le comunità a fare da sole, introducendo diritti per i cittadini ad essere coinvolti nella direzione e nello sviluppo delle loro realtà locali;
3. incrementare il controllo locale della finanza pubblica, in maniera tale che la maggior parte delle decisioni su come spendere il denaro pubblico siano prese all’interno delle comunità;
4. diversificare la fornitura di servizi pubblici, ponendo fine al monopolio pubblico, dando ai cittadini più scelta e migliori standard nei servizi;
5. aprire il governo ad una pubblica verifica, rendere di dominio pubblico le informazioni di governo, in maniera tale che i cittadini possano sapere come è speso il loro denaro, come è utilizzato e con quali effetti;
6. rafforzare la “accountability” nei confronti delle popolazioni locali, dando ad ogni cittadino il potere di cambiare i servizi forniti attraverso la partecipazione, la scelta o il voto.
La Big Society: dalle parole ai fatti?
È difficile dire quale sarà l’esito finale di questo processo di rinnovamento avviato dal governo di David Cameron. Fino a questo momento non sono mancate le critiche, specialmente da parte di chi ha visto in queste iniziative solo degli strumenti per mascherare agli occhi dei cittadini britannici le conseguenze dei tagli operati nel corso del 21 e da parte di chi ha evidenziato come la Big Society non possa in nessun caso costituire un progetto a “costo zero”; in molti casi ci si è chiesti anche se la Big Society sia una novità per il Regno Unito, da sempre esempio di una cultura partecipativa. Ora il governo va avanti; non resta che monitorare gli esiti di un cambiamento radicale annunciato nel modo di governare e amministrare il paese.