La responsabilità sociale d’impresa è sempre stato un concetto difficilmente definibile, tant’è che una sua prima e chiara definizione è presente solo dal 21 nel Libro Verde della Commissione europea in cui si parla di “un’integrazione volontaria delle preoccupazioni di carattere sociale e ambientale nelle attività produttive e commerciali delle imprese e nel loro relazionarsi con le diverse classi di portatori d’interesse". In parole povere ciò significa che un azienda, agendo in maniera responsabile, contribuisce con le proprie azioni alla qualità dell’ambiente e del sociale, tenendo conto dei rapporti con i cosidetti stakeholders, i propri collaboratori, i clienti, i fornitori, i partner, la comunità nel suo insieme e le istituzioni.
Quali vantaggi per l’impresa?
Se in passato questo genere di attività veniva considerato semplicemente come un costo per un impresa, oggi invece è possibile valutarne i vantaggi che ne fanno non un semplice optional, ma piuttosto un fattore di crescita. Innanzitutto un comportamento responsabile contribuisce a creare reputazione e a sostenere l’immagine dell’azienda. La globalizzazione ha avuto, infatti, come effetto il superamento delle distanze e la facilità della diffusione delle notizie su scala globale, per cui un’impresa che opera influendo negativamente sull’ambiente o sfruttando, per esempio, il lavoro minorile molto facilmente acquista una cattiva fama a livello internazionale. Proprio nel momento in cui, invece, a livello di comunità tra i cittadini cresce prepotentemente l’attenzione su certi temi legati a principi di virtù ed etica. Inoltre, il miglioramento dei rapporti con tutti gli interlocutori sociali ed economici non può che favorire le relazioni tra i vari soggetti fornendo i presupposti per vantaggi commerciali. Sostenibilità vuol dire dunque anche opportunità, anche nel medio periodo, basti pensare a tutte quelle aziende che concentrandosi sull’efficienza energetica non solo riescono a recuperare in poco tempo gli investimenti ma ottengono anche un certo vantaggio a livello di costi.
Il modello Iso
In questo scenario non desta sorpresa la crescita di modelli di economia responsabile e la nascita di nuovi standard volontari di riferimento a livello internazionale. In particolare, tre sono i documenti principali da cui è possibile dedurre e sviluppare le linee guida per la responsabilità sociale d’impresa. Il primo, già operativo, è il certificato Iso 26 di “guida alla responsabilità sociale”. Non si tratta di uno standard certificabile, ma di un modello che propone le pratiche da seguire per qualsiasi tipo di organizzazione, piccole e grandi, pubbliche e private e valide in qualsiasi paese. Le linee guida di Iso 26 si basano sul rispetto dei seguenti principi: responsabilità, trasparenza, etica, rispetto degli stakeholders, della legge, degli standard di comportamento internazionale e dei diritti umani. Da questi temi si sviluppano sette punti chiave: governance dell’organizzazione, diritti umani, pratiche lavorative, ambiente, pratiche operative reali, consumatori e coinvolgimento e sviluppo della comunità in cui si opera. Merita una nota di rilievo, tra l’altro, l’inserimento tra gli standard qualitativi delle pratiche operative eque, relative a corruzione, concorrenza e informazione ai consumatori.
Work in progress
In stato di lavorazione è invece il Protect, respect and remedy frame work dell’Onu, cui era possibile contribuire con proposte e suggerimenti con un forum online entro il 31 gennaio. La novità fondamentale di questo progetto, la cui approvazione è prevista per giugno 211, sarà l’affermazione su scala mondiale dei principi di responsabilità sociale per le multinazionali e le imprese in generale. Entro il 211 sarà inoltre completata la revisione delle linee guida dell’Ocse, a cui hanno collaborato anche 8 paesi al di fuori dell’organizzazione: Argentina, Brasile, Cile, Egitto, Lettonia, Marocco, Perù e Romania. Il modello dell’Ocse, negoziato su scala multilaterale e approvato per la prima volta nel 1976, mira a garantire che le multinazionali operino in sintonia con le politiche statali dei vari paesi contribuendo ad uno sviluppo sostenibile. Questi principi hanno carattere facoltativo, quindi non vincolante dal punto di vista giuridico, ma tuttavia gli stati interessanti si sono impegnati a istituire un punto di contatto nazionale a cui si possono segnalare eventuali abusi avviando così una procedura di conciliazione informale. La revisione in atto verte su tre tematiche fondamentali: le catene di forniture, i diritti umani e i cambiamenti climatici. Nella nuova versione,inoltre, gli Stati partecipanti si sono impegnati a favore di uno scambio regolare con il Comitato consultivo economico e industriale (Business and Industry Advisory Committee, BIAC), con la Commissione sindacale consultiva (Trade Union Advisory Committee, TUAC) e con altre organizzazioni non governative, rappresentate, ad esempio, dall’OCSE Watch.
Accanto a questi strumenti di più ampio respiro numerose sono anche le iniziative di responsabilità sociale indirizzate a determinati settori dell’economia, come gli standard approntati da: Unido per le piccole e medie imprese, Bsci per le catene di forniture, Flo per l’adozione di un commercio equo, Responsible care per le industrie chimiche, Ipieca per i produttori di petrolio e gas, Equator Principles per le aziende del settore finanziario, Fwf per il settore dell’abbigliamento e delle calzature e Wolfsberg principles per le banche.
Gli strumenti dunque non mancano, adesso tocca alle aziende implementarli nel loro modo di “fare” impresa, tenendo conto dei vantaggi che la responsabilità sociale comporta non solo per l’azienda ma per l’intera comunità, influendo in maniera determinante sia sulla cura di beni comuni come l’ambiente, il territorio sia sulla diffusione di pratiche virtuose per la stessa società.