Il quadro è un po’ sfocato. Nel primo anno di attività la Civit ha lavorato sugli organismi indipendenti di valutazione (OIV) e sulla definizione teorica del ciclo della performance, ha fatto un po’ di "evangelizzazione" (lo ha detto uno dei commissari, Luciano Hinna) in giro per l’Italia… Solo che, poi, uno degli "evangelizzatori", Pietro Micheli se ne è andato, perché la Civit non funziona affatto bene.
I problemi della Civit
I problemi ci sono. A partire dal coinvolgimento di tutti i soggetti interessati e dalla debolezza delle competenze e dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche. Prima di tutto. Luciano Hinna spiega che negli uffici molti resistono, ma aumentano gli apripista. Il problema è che tra i due gruppi la divaricazione aumenta.
Sempre Hinna confessa: “abbiamo le scarpe troppo strette, ma vogliamo correre lo stesso”. E meno male. Ma la strada sembra complicata e lunga se si pensa di percorrerla con le scarpe sbagliate e senza qualcuno che ti carica in groppa.
Il presidente Martone, per esempio, chiede un maggiore coordinamento tra Civit, Funzione pubblica e Ministero della Giustizia sulla lotta alla corruzione. Giusta richiesta, ma stupisce un po’ che si dica in un seminario, dopo un anno di lavoro. Questi tre soggetti non sono mai riusciti a incontrarsi nel corso di un anno? O, forse, la lotta alla corruzione non è precisamente il primo pensiero di questo Governo e di questa Commissione che, a giudicare, da queste aspettative di dialogo, appare tutt’altro che indipendente?
Un catalogo di domande inevase
Riccardo Mussari, esperto di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, lancia vari allarmi. Uno: “Ci diciamo sempre le stesse cose da dieci anni. Il problema non sta nella normativa”.
Due: “Non bisogna stancare la gente, né essere troppo presuntuosi. Rischiamo di affondare questa prospettiva”.
Tre: “L’esperienza internazionale ci dimostra che il problema non è dare più soldi ai dipendenti. Non basta l’incentivo in denaro, ma serve l’incentivo dell’orgoglio di appartenere alla PA, e va comunicato”.
Quattro: “Non so quanto lo stesso Governo creda in questa missione”.
Cinque: “Sta roba costa. Non è vero che è senza oneri per le amministrazioni”.
Sei: “Attenzione alle burocrazie. Tutto può diventare tale, anche il progetto più bello. Il rischio è che si usi la riforma solo per fare la politica del personale. E sarebbe un disastro burocratico”. Pare abbastanza.
Il punto di vista dei consumatori
Si capisce anche dall’intervento di Carlo Pappagallo, presente in rappresentanza del Cncu, il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti. “Alcune delle PA non hanno ancora interiorizzato il principio della trasparenza e dell’accountability nei confronti dei cittadini, ma sembra subiscano le prescrizioni del decreto legislativo 15 piuttosto come un vincolo esterno.
Nei piani, ad esempio, è sovente trascurata la voce relativa alle aree di rischio, così come la pubblicazione delle informazioni relative a contributi, sussidi e benefici per i cittadini e le imprese (di particolare interesse dal punto di vista dell’utente) è in genere “confinata” all’ultima annualità dei programmi”.
Proprio il Cncu sta cercando di cogliere l’occasione dell’esame iniziale e del monitoraggio periodico dei programmi per costruire dei tavoli di confronto fra le PA e i portatori di interessi (come preannunciato, ad esempio, dal Ministero Infrastrutture e Trasporti), nei quali verificare e migliorare d’intesa standard e qualità delle prestazioni attese.
Alcuni punti dolenti
Restano, per i consumatori, alcuni punti dolenti. Negli ultimi 15-2 anni numerose sono state le disposizioni normative introdotte, che prevedono tutele dirette per i cittadini-utenti del “servizio amministrazione”, parte delle quali tuttora “riposano” nell’ordinamento.
Così è per le Carte dei servizi, per le procedure di conciliazione, per l’azione collettiva nei confronti delle PA e dei concessionari di pubblici servizi.
“Si tratta di elementi che – spiega ancora Pappagallo – ciascuno in sé e tutti insieme, contribuirebbero indubbiamente a stimolare l’efficacia, l’efficienza e la trasparenza delle PA”.
I buchi nell’ordinamento
La Civit ha annunciato una raccolta e un monitoraggio delle Carte dei servizi.
“Ma, specialmente nel settore dei servizi pubblici locali – sottolinea Pappagallo – esiste un’ampia difformità dalle prescrizioni normative vigenti: mancano previsioni di procedure di risoluzione non giurisdizionali delle controversie e di forme di ristoro per la mera violazione degli obblighi e degli standard, come pure stabilisce l’art. 2, comma 461 della legge finanziaria 28 (che contiene una importante disciplina di tipo sussidiario), e ciò in mancanza di qualunque forma di esercizio di un potere sostituivo in caso di inerzia degli enti locali”.
Mancano inoltre i decreti governativi di attuazione della legge 69/29 (procedure di conciliazione) recanti gli schemi-tipo di procedura; così come mancano i decreti attuativi del decreto legislativo 198, in materia di azione collettiva.
“L’indirizzo espresso dalla Civit, in base al quale le PA possono fissare gli standard anche in carenza dei decreti attuativi, è apprezzabile”, dice Pappagallo. “Ma non è cogente e, oltretutto, l’inerzia del Governo rischia di costituire un alibi per gli altri soggetti”.
E la trasparenza degli atti?
Ma c’è altro ancora. Uno dei membri della Commissione, Filippo Patroni Griffi, ricorda che soltanto il 44 percento delle PA ha scritto i piani e, soprattutto, che mancano ancora gli strumenti per raccogliere le segnalazioni dei cittadini.
Per l’amministrativista Francesco Merloni bisognerebbe riaprire l’accesso totale ai cittadini (quello contenuto nella famosa legge 241, che però è limitata ai soli soggetti portatori di interessi): “con la legge sulla trasparenza è ancora la PA che decide cosa dire”.
E poi affonda il colpo: “il cittadino deve essere informato soprattutto sulle attività delle amministrazioni. E poi occorre pubblicare i provvedimenti. Non basta, infatti, rispettare gli obblighi sul sito, ma garantire che fin dalla formazione l’atto sia trasparente”. Pare abbastanza chiaro. C’è davvero parecchio da fare, allora.