L’autrice, dopo aver esaminato da un punto di vista normativo e sociale la crescita dell’attività di volontariato nel nostro paese, si sofferma sulle possibilità di sviluppo possibili in questo campo legate al principio della sussidiarietà. È nata negli ultimi anni, infatti, una prospettiva nuova del ruolo delle no-profit e del rapporto tra stato e comunità con la modifica del titolo V della nostra Costituzione che mira ad avvicinare la pubblica amministrazione ai cittadini, alle imprese, ai sistemi produttivi territoriali.
Il ruolo svolto dalle no-profit è divenuto fondamentale, soprattutto in ambito sociale, ma come la stessa autrice sottolinea, questo compito non è suppletivo alle carenze dello stato. È qui che si sviluppa la differenza tra volontariato e sussidiarietà, che vuol dire collaborazione tra cittadini e pubblica amministrazione e non mera sostituzione. In questo senso la sussidiarietà non è antistatalista, come qualcuno erroneamente suppone, ma un sistema che integra le necessità della comunità con i doveri delle pubbliche amministrazioni e in cui il terzo settore trova il suo terreno più fertile.
Da un punto di vista normativo l’articolo 118 della nostra Costituzione non è astratto, non ha la necessità di essere disciplinato dal legislatore, al contrario, il suo compito per attuarlo è quello di favorire l’iniziativa privata dove possibile istituendo modelli di partnership tra no profit e istituzioni pubbliche. È determinante dunque l’azione dei cittadini, singoli e associati, a cui spetta il compito di invertire il classico flusso del potere dal legislatore alla comunità: è in questo modo che il principio di sussidiarietà esprime la sua carica innovativa. Tra l’altro tale principio è ben radicato anche nella Carta europea delle autonomie locali, entrata in vigore in Italia il 22 settembre del 199. In questa prospettiva l’articolo 118 della Costituzione italiana si collega all’articolo 119 per il quale comuni, province, città metropolitane e regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
L’autrice si sofferma inoltre sui classici quesiti legati al tema della sussidiarietà, ovvero quello dell’eguaglianza sostanziale che secondo alcuni sarebbe minacciata dal progredire del terzo settore, la differenza tra sussidiarietà orizzontale e verticale e lo sviluppo di nuove forme di cittadinanza che sono nate dall’applicazione di questo principio: la cittadinanza sociale e quella amministrativa.
Ma come integrare l’attività delle no-profit con le regole del mercato attuale? Non è facile, soprattutto perché se da un lato le onlus, pur non occupandosi di beni privati ma di beni pubblici relazionali sono comunque costretti dall’ordinamento vigente ad indossare la veste giuridica delle imprese, dall’altro lo steso ordinamento continua a considerare lo scopo di lucro uno dei requisiti fondamentali della nozione giuridica d’impresa. Uno dei problemi maggiori sorti in questi anni dunque è quello dell’ammissibilità delle no-profit al mercato, in particolare per la partecipazione a gare pubbliche per l’affidamento di servizi sociali e socio-assistenziali. Il contributo maggiore in materia è stato dato dalla Corte europea di giustizia che ha definito, caso per caso, il rapporto tra le regole di concorrenza e l’operatività nel mercato delle onlus, nonché il margine di decisione lasciato agli stati membri.
L’inserimento del terzo settore nel mercato non è quindi impossibile, ma anche se la via appare tracciata sembra chiaro che sia necessaria una migliore definizione del ruolo che il no-profit può ricoprire, soprattutto in base all’affermazione sempre più netta del principio di sussidiarietà.
Caputi Jambrenghi P. Volontariato sussidiarietà mercato, Cacucci, 28