La struttura ricettiva che fa rivivere i borghi italiani

Un albergo diffuso riesce a proporre, più che un soggiorno, uno stile di vita

Un albergo che non si costruisce: è questa la curiosa idea di fondo del progetto di “albergo diffuso“, sviluppatosi in Italia negli ultimi decenni.
Torniamo a parlarne su Labsus, a distanza di due anni dall’articolo pubblicato nella sezione documenti, da Maria Cristina Marchetti, in cui già  si parlava delle possibilità  offerta da questo nuovo tipo di struttura ricettiva orizzontale, in materia di turismo sostenibile e di comunità . (1)
Nell’arco di questo periodo, infatti, sono diventate sempre più numerose le realtà  che hanno scelto di adottare questo particolare tipo di strategia di accoglienza turistica, ottenendo ottimi risultati. Le strutture di albergo diffuso, difatti, rappresentano oggi in Italia non più una realtà  emergente, ma una realtà  ben inserita e omogeneamente presente da Nord a Sud della penisola, con oltre quaranta borghi, distribuiti nelle quattordici regioni coinvolte nel corso di questi trent’anni, che forniscono al viaggiatore una prospettiva di integrazione totale con il territorio e la popolazione.

In origine era una casa vuota

Le origini del progetto risalgono a poco più di un trentennio fa, quando nel 1982, a qualche anno di distanza dal terremoto che colpìil Friuli nel 1976, numerose abitazioni vennero ristrutturate e diedero il via, tra le Alpi Carniche, a questa nuova sfida nata da un gruppo di lavoro che aveva quindi l’obiettivo di recuperare, non solo turisticamente, le case e i borghi recuperati nel post-terremoto.
Il modello, che in origine guardava più alle esigenze di sviluppo del territorio e a quelle che erano le aspettative dei proprietari degli immobili ristrutturati, piuttosto che quelle dei potenziali ospiti, si è raffinato e perfezionato nel corso degli anni, grazie soprattutto all’intervento di Giancarlo Dall’Ara, docente di marketing turistico, che ha apportato il notevole contributo della storia a servizio del progetto. Ed è stata proprio la storia del nostro Paese, “che è storia di ospitalità  calda e relazionale”, come dice lo stesso Dall’Ara, a permettere quel salto di qualità  che ha portato, nel 1998, al riconoscimento formale del progetto di Albergo diffuso, con un’apposita normativa attuata per la prima volta in Sardegna.
Quelle che prima erano solo case vuote o borghi semi-abbandonati, hanno ripreso vita nella forma di quello che può definirsi, un servizio alberghiero completo di tutto ciò che lo caratterizza, con l’unica e fondamentale differenza di costituirsi orizzontalmente (attraverso una rete all’interno del borgo), sfruttando le potenzialità  già  presenti sul territorio ed eliminando cosìla necessità  di dover costruire una nuova ed unica struttura: un modello di sviluppo del territorio che non crea impatto ambientale e funge da “presidio sociale”, stimolando iniziative e coinvolgendo i vari soggetti locali, componente chiave dell’offerta.
Come spiega bene Giancarlo Dall’Ara: “Si tratta dunque di una proposta concepita per offrire agli ospiti l’esperienza di vita di un centro storico di una città  o di un paese, potendo contare su tutti i servizi alberghieri, cioè su accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni per gli ospiti, alloggiando in case e camere che distano non oltre 2 metri dal ” cuore ” dell’albergo diffuso: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro. Un AD – procede Dall’Ara – riesce a proporre più che un soggiorno, uno stile di vita”. Ed è forse proprio questa la giusta chiave di lettura che ha permesso all’iniziativa, rappresentata dall’ADI (Associazione nazionale alberghi diffusi), di essere premiata prima come migliore pratica di crescita economica a Budapest, nel 28, in occasione del convegno Helping new talents to grow e, successivamente, a Londra, l’ambito premio World Travel Market global award.

Un progetto basato su un’azione mossa e sviluppata attraverso temi importanti quali quello dell’accoglienza, il recupero del territorio e la sostenibilità , posti in un’ottica collaborativa locale, che stimola l’iniziativa del singolo in associazione a quella del gruppo e ci riporta indietro, in un passato che ha ancora tanto da insegnare.

(1) L’articolo a cui si fa riferimento (“Turismo di comunità : eccellenza italiana“), pubblicato nell’agosto 29 da Maria Cristina Marchetti, è inserito nell’archivio della sezione documenti di Labsus.org. Per un ulteriore approfondimento sul tema dell’ecoturismo, si consiglia inoltre, la lettura dell’articolo pubblicato da Maria Cristina Marchetti nell’agosto 21, “ E’ tempo di vacanze responsabili!“.