Rassegna di teorie riguardo alla tutela dei commons

La tutela dei commons comporta la mobilitazione della collettività 

Nella prima parte del libro vengono esposte delle riflessioni riguardo alle teorie del neoliberismo utilizzate per la gestione dei beni comuni. Da sempre ci s’interroga su cosa siano i beni collettivi, in base a quale criterio debbano essere individuati ma soprattutto in che maniera debbano essere gestiti. Soffermandoci su quest’ultimo punto, la tesi che può essere rilevata analizzando il testo afferma che un’amministrazione corretta dei beni comuni ha bisogno di un mutamento di mentalità, nuove visioni del mondo e comportamenti coerenti e responsabili. Le soluzioni poste come alternativa alla logica del mercato sono varie: ad esempio, è condivisa l’importanza del principio di gratuità dei beni comuni, che non significa assenza di costi, ma che questi ultimi siano presi in carico dalla collettività. Il principio di gratuità, tuttavia, per avere una valenza pratica, deve essere strettamente legato ad un’efficace responsabilità e partecipazione dei cittadini.

Proprio per confermare le argomentazioni presentate precedentemente, la seconda parte del libro risulta particolarmente interessante poiché illustra alcuni esempi di pratiche virtuose messe in atto dai cittadini riguardo alla gestione dei commons. E’ necessario che tale localismo virtuoso venga portato alla conoscenza di tutti poiché i cambiamenti di stili di vita e di abitudini consolidate a livello di massa sono possibili solo se si riesce ad indicare un modo diverso e responsabile di vivere, di abitare e di partecipare alla vita democratica. Le comunità locali stanno dimostrando una capacità endogena di reinventare nuovi ruoli per i beni collettivi: un impulso in tal senso sicuramente si deve all’affermazione di nuovi modelli di governance partecipativa e al riconoscimento costituzionale del principio di sussidiarietà. Autogoverno, democrazia partecipativa, educazione popolare ed orizzontalità delle relazioni sociali, sono state le pratiche e le metodologie messe in campo dalle realtà locali per difendere i beni comuni e allo stesso tempo trovare nuovi termini attraverso cui definire la democrazia.

L’analisi riguardo ai beni collettivi, dunque, si svolge attorno all’elemento della condivisione la quale fa sì che l’individuo non sia costretto in una genericità impersonale ma valorizzato in base alle capacità che mette a disposizione attraverso il partecipare in comune con gli altri. Due elementi risultano essenziali: responsabilità nei confronti di ciò che, insieme agli altri, si va a gestire e fiducia in ciò che scaturisce dalla condivisione. Rispetto alla scelta dicotomica tra un pubblico oramai in crisi ed un privato sempre più invadente, la sfida accolta dal concetto di comune è quella di porsi come alternativa tanto all’individuale quanto all’universale, valorizzando ciò che si costituisce nell’interazione tra soggetti e superando in tal modo sia le spinte egoistiche dell’individualismo che le tendenze omologanti dell’universalismo.

Cacciari Paolo(a cura di), La società dei beni comuni, Ediesse, Roma, 21