La sussidiarietà  assurge a "valvola di apertura del sistema giuridico"

Il principio di sussidiarietà  pare ridefinire dall ' interno lo stesso concetto di statualità , prendendo atto di come la vicenda amministrativa sia al contempo necessariamente unitaria e plurale

Dall’analisi delle sentenze del supremo organo di giustizia amministrativa emerge chiaramente come il riconoscimento del principio di sussidiarietà orizzontale prediliga un approccio incentrato su “categorie antitetiche”.

Al principio si riconosce sì una valenza giuridica di primo rilievo nell’ordinamento nazionale, si riconosce altresì l’invocabilità dello stesso davanti al giudice amministrativo come parametro di proporzionalità e ragionevolezza, ma tutto ciò ai soli fini di determinare i confini tra sfera pubblica e sfera privata. Traspare infatti una “visione spaziale” del principio di sussidiarietà, anzi, la «metafora della “spazializzazione”» pare assurgere a vera e propria «metafora assoluta»: “esiste un dentro e un fuori dell’amministrazione, e la sussidiarietà ne presidia un confine mobile, impedendo scorribande ed invasioni di campo fra due settori supposti omogenei al proprio interno ed, almeno in parte, disomogenei nei confronti reciproci.”

Di più, all’interno di queste due sfere emerge un forte ancoramento alla dimensione prettamente soggettiva; si riconosce una valenza totalizzante al quis quale profilo prioritario su cui porre l’accento nell’implementazione del favor ex art. 118 Cost. (ossia, prevale la logica della entificazione – istituzionalizzazione di tipo puramente soggettivo) e lo stesso ancoramento alla dimensione soggettiva emerge ragionando in merito alla sfera pubblica, che risulta dominata dal soggetto “potere pubblico” ed idonea a legittimare una concezione «soggettivo-istituzionale» dello stesso interesse pubblico.

Interesse pubblico che si pone così naturalmente in rapporto antitetico con l’interesse generale, interesse pubblico che rimane assorbito ed ingabbiato nel canone dell’inerenza propria dell’attribuzione. E di più, si sposa una logica che contrappone “valori vs esercizio delle potestà pubbliche” all’interno di un ragionamento che, valorizzando appunto il quis, pare infine giungere quasi a “trasformazioni alchemiche” di attività oggettivamente intese.

L’Autore insegna invece come il valore vero del principio di sussidiarietà orizzontale sia la sua valenza utopica (“nel senso letterale di «non luogo»”), ma non utopistica, e ne valorizza la carica ideale quale «attitudine a plasmarsi e riplasmarsi incessantemente, rinnovando e rimodulando il disegno ideale», nonché quale “valvola di apertura del sistema giuridico” idoneo a evitarne «l’ossificazione e la sclerosi».

L’Autore ricorda come il principio di sussidiarietà “esprima anzitutto intrinsecamente una relazione; non presuppone primariamente una contrapposizione di spazi e luoghi”, e di più, proprio in quanto “parametro dell’agire amministrativo”, “benchmark dell’amministrare” non possa essere costretto “in una dicotomia vieppiù slabbrata, quale quella public/private divide, se non a prezzo di una contraddizione rispetto alle premesse destinata a suonare come una petizione di principio.”

La valenza stessa del principio di sussidiarietà impedisce di ricostruire le due tradizionali sfere come entità monolitiche e permette sia di cogliere il moltiplicarsi di rapporti osmotici fra le sfere introdotto dalla crescente complessità della realtà giuridica odierna, sia, ragionando principalmente in merito all’attività (piuttosto che all’organizzazione) dell’amministrazione, di graduarne attentamente l’azione per rapportarsi sussidiariamente al privato.

In altri termini, il principio di sussidiarietà pare ridefinire dall’interno lo stesso concetto di statualità, prendendo atto di come la vicenda amministrativa sia al contempo necessariamente unitaria e plurale, e supera un approccio alla problematica amministrativa basata sulla esclusiva centralità riconosciuta all’atto amministrativo (“l’atto come manifestazione fulminea di potere, come nomade autoreferenziale e sacralizzata”) e penetra nell’ambito processuale, rimettendo in discussione lo stesso concetto di eccesso di potere, svelandone i rischi di “formalizzazione e sclerotizzazione”.

In altri termini, per cogliere la cornice di operatività del principio di sussidiarietà serve un approccio sostanziale e pragmatico basato sui profili oggettivi che, di fatto, appare essere in linea sia con la valenza del principio stesso sia con la rivalutazione ermeneutica della «natura delle cose».

E proprio il quid (l’attività concretamente svolta nell’interesse generale) è il profilo qualificante la nuova libertà che la Costituzione riconosce ai cittadini singoli e associati e, inoltre, appare naturalmente idoneo a porsi come elemento discretivo nel momento in cui il favor presupponga, per necessità indotta dalla realistica valutazione delle risorse disponibili, l’effettuazione di una scelta tra diversi soggetti privati, scelta che sia rispettosa della «pari dignità degli amministrati» e risolva di fatto «il problema del terzo».

Il quid è il criterio discretivo, il fattore che, in ultima analisi, qualifica l’interesse generale, e si sostanzia nella “progettualità” della «cittadinanza societaria» e trova un canale espressivo preferenziale nella “partecipazione procedimentale”.

E così si valorizza la coerenza (rectius: si garantisce la non contraddittorietà) tra metodo di lavoro e scelta concreta (rectius: “tra una scelta e un metodo di lavoro, nella loro individua scaturigine e nel loro specifico disporsi entro la trama procedimentale”) e si dà attuazione a una concezione del principio di sussidiarietà che non sia antiteticamente orientata ma armonicamente utopica nel senso di relazionale e collaborativa.

Si valorizza appieno il momento del contatto amministrativo, del dialogo amministrativo, della relazione amministrativa in un quadro che non vuole ridurre in termini statici e rigidi un qualcosa che nasce e vale proprio in forza della sua dinamicità, fluidità, flessibilità.

DURET P., L’horror vacui e la sussidiarietà (a proposito di due recenti sentenze del Consiglio di Stato), in Jus 3/21, pp. 539 – 562.