E alla fine del secolo era notazione comune che i partiti si fossero estraniati dal resto della società e vivessero come organizzazioni insediate nello Stato, per dominarne i processi decisionali (Mair): interessi degli eletti dunque, lo strumento s’era fatto fine, e l’organizzazione preservava se stessa, non il bene comune dei governati.
E’ dagli anni Settanta che questa deriva s’è manifestata, le società dei nati dopo le grandi guerre del Novecento manifestavano nei paesi socialisti e nelle democrazie capitalistiche desideri e bisogni che i rispettivi partiti e sistemi politici non erano capaci di accogliere e canalizzare. Sulla crisi della rappresentanza politica s’è aperto da allora un dibattito mondiale, non certo sopito. La globalizzazione economica e l’indebolimento degli stati-nazione dagli anni Novanta accentuano questa diaspora tra manifestazioni sociali e rappresentanze politiche. L’idea che la partecipazione dei cittadini possa aver risultati non tramite partiti, ma tramite azioni immediate e forme proprie irriducibili alle logiche del potere, s’è fatta strada negli ultimi venti anni. Tante sono le esperienze e i tentativi (bilancio partecipativo, consulte dei cittadini, comitati elettivi o per sorteggio, sondaggi partecipativi ecc.): quel che unisce tutte queste varianti è il collegamento con decisioni di interesse generale e con la affermazione e tutela dei commons, beni comuni da rendere indisponibili alle decisioni di parte, fossero pure legittimate da larghe maggioranze.
Un dibattito d’èlite su questo sviluppo tumultuoso delle democrazie reali cerca di tenere ancora legato principio rappresentativo e istanze partecipative. Per ” non buttare il bambino con l’acqua sporca ” si ricorda che nella cultura d’origine della democrazia liberale la deliberation non indica immediatamente la decisione legislativa – questo è atto finale, tanto più difendibile quanto più la valutazione pubblica delle opposte ragioni è stata larga: democrazia deliberativa dunque è quella che lega le attività di rappresentanze illuminate a un dibattito pubblico largo e influente. Resta il fatto però che chi insiste sul valore delle esperienze partecipative mantiene una tensione, un intento di distinzione e contrapposizione tra partecipazione (di base, di cittadini comuni) e funzioni decisionali di rappresentanze elettive. Questo senso comune è più forte dei tentativi culturali di contenimento delle spinte: e il senso comune su significati fortemente innovativi fluisce ormai nella rete come corrente poderosa.
Se ad es. si inseriscono per una ricerca su Google formule ” colte ” si ha un risultato indicativo, ma limitato. In Italia negli anni duemila l’espressione democrazia rappresentativa (e magari con l’aggiunta di democrazia deliberativa) dà risultati nell’ordine di centinaia di migliaia: la tendenza tuttavia è in calata. Democrazia partecipativa invece è in crescita: i due valori nel 211 sono arrivati a un equilibrio relativo (poco più di 212mila risultati di ricerca ciascuna voce).
Ma se si lasciano da parte le formule concettuali, che vorrebbero fissare modelli e tendenze dei sistemi politico-sociali, e si avvia la ricerca sui soggetti e gli oggetti di questo processo di mutamento, cosìcome popolarmente tutti percepiscono e individuano, si hanno risultati assai più chiari e, direi, impressionanti. Inserendo ‘partiti politici’, ‘cittadinanza attiva’ e ‘beni comuni’ l’ordine di grandezza è di dieci-quindici volte maggiore. Dal 2 al 1 ° luglio 211 i risultati della ricerca per i partiti sono 3.7., per cittadinanza attiva 3.23. e per i beni comuni addirittura 3.89.. Queste ultime due voci sono in costante accelerazione di crescita negli anni dal 25 in poi: cittadinanza attiva dal 2 al 25 era sotto i 1mila risultati l’anno, beni comuni nello stesso periodo registrava stessi valori, dal 26 in entrambi i casi ci sono stati incrementi del 5% per anno (fino ai 991. risultati per cittadinanza attiva nel 211, e gli oltre 3 milioni per beni comuni quest’anno – ma il dato è eccezionale e incomparabile, esploso a seguito della campagna per i referendum, soprattutto quello per l’acqua).
Perché la svolta si colloca nel 25-26? Servirebbe una apposita ricerca. L’inserimento in Costituzione all’art. 118.4 della cittadinanza attiva (autonoma iniziativa del cittadino, anche singolo) e dei beni comuni (=interessi generali, che appunto i cittadini possono realizzare direttamente), è del 21: revisione, poi referendum confermativo. Ma poco ancora è conosciuto e condiviso il principio di sussidiarietà , lìnominato: e ancora oggi non c’è accordo sull’interpretazione (a proposito: come per le voci più astratte – democrazia partecipativa, deliberativa ecc. – ‘sussidiarietà orizzontale’ su Google dà risultati limitati: 251. nel decennio. Ma anche qui la tendenza di crescita nell’uso comune è altamente significativa: 963 casi nel 21, 91.8 dal 21 a oggi). Allo stesso modo non possiamo considerare determinanti alcuni contributi intellettuali che dalla metà del decennio hanno messo al centro di monografie molto note quei temi (Cassano, Donolo, poi Rodotà , Arena, G. Moro). Al contrario il concentrarsi dell’attenzione dei più sensibili e acuti studiosi su temi, che nell’opinione pubblica stavano crescendo di importanza in maniera quasi esponenziale in quello stesso volgere di anni, è il segno della sintonia della parte migliore della ricerca con sentimenti e inquietudini profonde delle comunità nazionali. Il segno dei tempi dunque.
C’è qualcosa che muove coscienze e intelletti nella stessa direzione dal profondo: l’ideologia della globalizzazione neoliberista ha mostrato a partire da quegli anni i suoi inganni e gli spaventi di un ff118uturo planetario senza guida, senza responsabilità . I rischi planetari, la necessità di concepire uno sviluppo ” compatibile ” orientano tutti i pensieri al tema della responsabilità : a quella delle èlites governanti si aggiunge, ed è una acquisizione culturale di questi tempi, quella personale di ciascun cittadino-consumatore. Cosìassurge a questione centrale di governo il nodo della ricostruzione e cura di beni comuni, della ritessitura di legami sociali. Dal basso come dall’alto.
Qui la persistente diaspora dai partiti politici e l’abuso dei poteri delegati appaiono ben più che pericolose derive, o ingiusta costruzione asimmetrica di privilegi ingiustificati. La ” vecchia politica ” si pone come nemica palese di ogni possibilità di uscire dalla crisi innovando. L’enorme spinta popolare, che soffia sui temi della cittadinanza attiva e dei beni comuni, appare di forza più che doppia di quanta capacità di persistenza i partiti politici, tutti insieme, sembra possano opporre. Si deve arrivare a rotture e rivolte? Si dovranno tirare monetine o sacchi di immondizia su politici? O da qualche parte si sta facendo strada una più ragionevole idea di una ” politica dei cittadini, per i cittadini, con i cittadini ” ? E come devono cambiare i partiti per essere ” organizzazione politica dei cittadini ” idonea a far concorrere democraticamente tutti alla direzione del paese (art. 49 della Costituzione)?