Un comitato cittadino di Taranto vince il ricorso al Tar che obbliga il Sindaco ad intervenire contro l'inquinamento industriale

La sentenza pare dunque dare nuova linfa agli sforzi volti a rendere realmente attuato un principio fondamentale presente nella Costituzione italiana ormai da un decennio

Sentenza

A promuovere il ricorso presso il giudice amministrativo è stato il “Comitato Cittadino Referendario per la Tutela della Salute e del Lavoro Taranto Futura”, data l’inerzia del Sindaco del comune di Taranto, al quale il ricorrente comitato cittadino aveva chiesto di adottare ogni atto utile ad evitare la grave situazione sanitaria dovuta all’inquinamento ambientale, proveniente principalmente da lavorazioni di tipo industriale. Non avendo ottenuto alcuna risposta dal primo cittadino, il comitato Taranto Futura aveva notificato al Sindaco un atto di significazione e diffida “inerente la mancata adozione, ai sensi degli artt. 5 e 54 del decreto legislativo 267/2, di ordinanze contingibili ed urgenti, al fine di prevenire, limitare ed eliminare i gravi pericoli che minacciano l’incolumità  pubblica e, quindi, la salute dei cittadini, ma, soprattutto, al fine di evitare ulteriori gravi danni in materia ambientale, di sicurezza alimentare ovvero in materia igienico – sanitaria”, senza tuttavia ottenere ancora risposta; il comitato aveva quindi fatto ricorso al giudice amministrativo.
Il giudice amministrativo, dopo aver precisato che l’indagine è circoscritta “ad una verifica sulla ricorrenza di un obbligo per il Comune di provvedere sulla domanda di parte ricorrente” e dopo aver appurato che effettivamente ricorre nel caso in esame un comportamento inerte della pubblica amministrazione (“a fronte dell’istanza notificatagli dal comitato ricorrente il 3 ottobre 28, non risulta che il Comune abbia mai adottato al riguardo alcun provvedimento”), procede poi alla verifica che il comportamento inerte non sia giustificato “dalla manifesta infondatezza dell’istanza predetta: unico limite che la giurisprudenza ravvisa all’obbligo di provvedere dell’Amministrazione, infatti, è quello della manifesta infondatezza – o assurdità , genericità , etc. – della pretesa del privato”.
La verifica in questione verrà  dunque svolta “attraverso l’analisi di tre particolari profili”, ossia: a) l’esistenza di uno specifico potere amministrativo del Comune per poter intervenire in tal senso; b) l’esistenza di una legittimazione in capo al comitato ricorrente “al fine di poter invocare l’esercizio di siffatto potere”; c) la fondatezza dei “presupposti” per l’esercizio dello stesso potere.
Per quanto riguarda il primo profilo, il giudice riconduce l’esistenza di uno specifico potere amministrativo in capo al Sindaco non al potere di ordinanza di cui agli artt. 5 e 54 del TUEL ma, piuttosto, all’art. 217 del testo unico leggi sanitarie di cui al R.D. n. 1265 del 1934 (in quanto il ricorso al potere di ordinanza del TUEL è ammesso nei soli casi in cui non è possibile attivare le normali procedure), articolo che prevede che: “quando vapori, gas o altre esalazioni … provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà  (oggi il sindaco, ovviamente) prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno”. Dunque, ai sensi degli art. 216 e 217 t.u. 27 luglio 1934 n. 1265, non solo “il sindaco agisce in questa veste quale autorità  sanitaria locale”, ed “è infatti titolare di un generale potere di vigilanza sulle industrie insalubri e pericolose”, ma anche il “mancato esercizio in presenza dei prescritti presupposti (fenomeni di grave inquinamento ambientale e conseguente pericolo per la salute pubblica) determina tra l’altro i reati di danneggiamento e di omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p.”
Appurato che esiste uno specifico potere amministrativo dell’amministrazione comunale per poter intervenire, il giudice passa alla verifica della legittimazione del ricorso del comitato. Secondo il giudice, la “legittimazione” del comitato ricorrente può essere desunta “in primo luogo, dalla lettura dell’art. 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 26 (codice dell’ambiente), come introdotto dal decreto legislativo n. 4 del 28. Tale disposizione, rubricata «principio dell’azione ambientale », prevede infatti che «la tutela dell’ambiente … deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche e private »”. Dunque, questo modello di “governance ambientale”, non più ispirato al classico modello gerarchico ma ad una cooperazione tra poteri pubblici ed attori privati, ben si inserisce nell’ottica del principio di sussidiarietà  orizzontale dell’art. 118, quarto comma, Cost., e dunque alla “necessità  di visione comune intorno ad un problema, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati per raggiungere risultati migliori”.
Riguardo al terzo profilo, concernente la sussistenza dei presupposti, il giudice si rifà  “alle analisi compiute da plurimi e qualificati organismi pubblici in materia sanitaria ed ambientale (ARPA, ASL di Brindisi, Lecce e Taranto, nonché Università  di Bari)” che hanno fornito “dati piuttosto allarmanti, costituiti in sostanza dalla presenza di patologie legate alla particolare incidenza di fattori di origine per l’appunto industriale”.
Verificati dunque tutti gli aspetti di cui sopra, il giudice ha deciso di accogliere il ricorso e ha obbligato il sindaco di Taranto a “provvedere espressamente sull’istanza del comitato ricorrente”.

Commento

La sentenza è indicativa della “forza” insita nell’art 118, che gli permette di “insinuarsi” laddove la legge non è capace di dare regole certe, laddove vi sono dei “vuoti” o delle “incertezze” legislativi che in questo caso (e in molti altri), avrebbero probabilmente prodotto una insensata e pericolosa procrastinazione dell’azione pubblica a tutela della salute collettiva.
Infatti, sebbene nel diritto amministrativo non sia generalmente previsto che il diritto di iniziativa in casi di questo genere spetti ai cittadini, grazie al principio di sussidiarietà  il giudice può qui riconoscere la legittimità  del ricorso presentato dal comitato; inoltre, è il giudice stesso a invocare il principio di sussidiarietà , anche a prescindere dalla domanda dei ricorrenti.
Oltre a ciò, la sentenza legittima il ricorso del comitato indicando come base una governance ambientale paritaria e a responsabilità  diffusa che “presuppone […] nell’ottica del principio di sussidiarietà  orizzontale di cui all’art., 118, quarto comma, Cost., necessità  di visione comune intorno ad un problema, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati per raggiungere risultati migliori”. Dunque, la governance ambientale, è intesa come “un modello di gestione dei beni ambientali non più ispirato al classico modello gerarchico ma ad un nuovo stile di governo diversamente caratterizzato da un maggior grado di cooperazione ed interazione tra poteri pubblici da una parte ed attori non statuali dall’altra parte” ed è pertanto da considerarsi come un’importantissima forma nella quale il principio di sussidiarietà  può esplicarsi.
La sentenza pare dunque dare nuova linfa agli sforzi volti ad rendere realmente attuato un principio fondamentale presente nella Costituzione italiana ormai da un decennio, un principio che, se correttamente applicato, può costituire forse un potente antidoto contro i purtroppo frequenti ritardi, inadempienze o blocchi dell’azione della pubblica amministrazione.



ALLEGATI (1):