Nel corso del tempo ci siamo imbattuti in diversi esempi, casi, interpretazioni e modelli attraverso i quali i cittadini dal basso hanno esercitato questa possibilità costituzionalmente riconosciuta di prendersi cura non più solo dei propri interessi privati, bensìanche di interessi della collettività e, dunque, dell’interesse generale. Il grado di coinvolgimento e le forme di intervento del pubblico che abbiamo registrato nella osservazione di questa realtà sono probabilmente idonee a fungere da setaccio per discernere le vere forme di sussidiarietà dalle false.
Del “favoriscono” ovvero il gradiente della sussidiarietà
Non tutte le ipotesi e interpretazioni in cui ci siamo imbattuti corrispondono allo stesso modo all’ideale di sussidiarietà orizzontale come libertà solidale e responsabile del cittadino che decide di allearsi con l’amministrazione per la cura dei beni comuni. Insomma non tutte corrispondono all’optimum sussidiario sei si vuole. Alcune però se ne allontanano più di altre. Ma tutte le diverse declinazioni di questa autonoma iniziativa civica possono essere collocate su un “gradiente” che chiameremo il “gradiente della sussidiarietà “. Il concetto di gradiente si presta bene a esprimere l’operazione interpretativa che si cerca di compiere qui.
Questo concetto, secondo la definizione datane dalla Treccani, è idoneo a rappresentare la «variazione per unità di lunghezza che una grandezza subisce da un punto all’altro dello spazio lungo una certa direzione ». In definitiva, si tratta di mettere le diverse ipotesi di iniziativa autonoma dei cittadini una accanto all’altra e cosìcostruire una fenomenologia della sussidiarietà . All’esito della costruzione di un gradiente della sussidiarietà potrebbe facilmente emergere la multiformità della sussidiarietà orizzontale. L’unità di lunghezza che determina la variazione e quindi il movimento lungo il gradiente è rappresentata dalla intensità del “favoriscono” in rapporto all'”autonoma iniziativa”. Secondo questa ipotesi la sussidiarietà anziché costituire un unicum sempre uguale a sé stesso, darebbe invece luogo a un continuum lungo il quale si manifestano diverse combinazioni dei due predetti fattori e quindi diversi gradi di sussidiarietà orizzontale. In altri termini i diversi fenomeni ricondotti di in volta in volta al principio di sussidiarietà vengono graduati in base alla loro “purezza” proprio come avviene per i diamanti. Il grado ottimale di sussidiarietà individuerebbe esempi di “sussidiarietà flawless”, cioè cristallina, purissima, priva di inclusioni interne visibili a occhio nudo. A un grado di sussidiarietà sub-ottimale corrisponderebbero casi di sussidiarietà debole caratterizzati da inclusioni interne benché non visibili a occhio nudo. E, infine, a un grado minimo o inesistente di sussidiarietà quei casi di pseudo-sussidiarietà , contrabbandati come sussidiarietà , e che in realtà presentano profonde inclusioni interne visibili anche ad occhio nudo che ne minano irrimediabilmente la genuinità . Vediamo in che modo tutto questo discorso trova corrispondenza nella realtà fenomenologica.
Il grado ottimale di sussidiarietà
L’optimum della sussidiarietà si raggiunge laddove il mix tra il favoriscono e l’autonoma iniziativa dei cittadini è perfettamente bilanciato. In questa ipotesi ricadono la maggior parte dei fenomeni e modelli studiati e analizzati in questa rivista. L’alleanza tra istituzioni (politica e amministrazione) e cittadini per la cura dei beni comuni – preceduta da un dialogo effettivo, da uno scambio partecipativo-deliberativo tra i diversi poli di un modo di amministrare relazionale, paritario, pluralista e accompagnata da (o sfociante in) un processo di capacitazione di chi partecipa all’esercizio di sussidiarietà – è il proprium della vera sussidiarietà . La sussidiarietà ottima appunto.
Il grado sub-ottimale di sussidiarietà
In “Di quale sussidiarietà stiamo parlando?” Arena ha chiaramente illustrato il motivo per il quale la versione riduzionistica della sussidiarietà non è quella maggiormente corrispondente allo spirito della disposizione costituzionale. Non si può dire che vi sia sussidiarietà piena, ottimale tutte le volte che il pubblico lascia uno spazio al privato e semplicemente perché il pubblico delega a un privato – in genere professionalmente attrezzato benché spesso animato da motivazioni non profit -, l’assolvimento di una funzione pubblica o l’erogazione di un servizio pubblico ai cittadini. Proprio perché manca quel dialogo preventivo e sicuramente non vi è l’effetto di capacitazione. E molto spesso perché si maschera dietro questo processo di ritrazione del pubblico un fenomeno di esternalizzazione di compiti pubblici e quindi di abdicazione a responsabilità pubbliche da parte di qualche soggetto pubblico oppure di pressione per la spoliazione-accaparramento di prerogative pubbliche, ruoli pubblici da parte di soggetti privati. Ma se questo “far largo al privato” avviene in un’ottica partenariale senza allora intenti abdicativi o pretese di sacco, con uno spirito di collaborazione e condivisione tra Stato e comunità dell’onere di dare risposte alle esigenze collettive, con metodi partecipativi e tecniche capacitanti forse, benché non si tratti della versione ottima della sussidiarietà , possiamo affermare che ci si continua a muovere nell’ambito di forme di sussidiarietà degne di questo nomen, e dunque siamo pur sempre in presenza di una forma di esercizio di quella capacità giuridica speciale di esercitare una funzione pubblica ovvero di prendersi cura dell’interesse generale riconosciuta ai che ai cittadini dal 118.4.
In maniera esattamente speculare, ogni volta che il pubblico si attende una collaborazione dal cittadino, la pretende in qualche modo o addirittura la impone, ci troviamo di fronte a situazioni di sussidiarietà sub-ottimale. Perché come abbiamo imparato la sussidiarietà è anzitutto una libertà solidale e responsabile. Si tratta di un grado di sussidiarietà fortemente caratterizzato dalla presenza del pubblico, cioè del favoriscono. Si potrebbe dire che è un modo di favorire la sussidiarietà orizzontale anche l’obbligare il cittadino a prendere l’iniziativa di cura dell’interesse generale. Certo si potrebbe obiettare che l’iniziativa civica non è più tanto autonoma, anche se si possono immaginare schemi regolatori, dunque obbligatori, che fanno leva sulla condivisione delle responsabilità tra istituzioni e cittadini e dunque sui comportamenti individuali con l’obiettivo di creare “automatismi civici” che in questo modo rendono inconsapevolmente autonomo il “gesto” di tutela dell’interesse generale (v. raccoltà differenziata e mobilità sostenibile). Questo tipo di sussidiarietà può mirare a dar vita a usi civici quotidiani (v. sussidiarietà quotidiana) oppure fondare doveri civici – ricadenti probabilmente nell’alveo del genus dei doveri pubblici – che chiamano il cittadino a contribuire al benessere della collettività attraverso lo svolgimento di attività originanti o rientranti nella proprietà privata, per esempio attraverso la eliminazione o mitigazione delle esternalità negative prodotte da proprie attività oppure mettendo il proprio tempo o le proprie risorse al servizio dell’interesse generale per curare ciascuno un pezzetto dello spazio pubblico (v. l’obbligo per il proprietario di spalare la neve contenuto in quasi tutti i regolamenti di polizia urbana). Siffatti strumenti giuridici servono a nutrire quella responsabilità sociale individuale che è alla base della sussidiarietà ottima e che questo tipo di sussidiarietà sub-ottimale condivide con la prima.
Il grado zero della sussidiarietà
Il grado zero della sussidiarietà si tocca in presenza di forme di “privatismo sussidiario”. E’ l’ideologia della liberalizzazione spinta fino alle sue estreme conseguenze. Si fa del tutto a meno di un governo pubblico e partecipato della cosa pubblica. Trasformiamo il governo pubblico in governo privato. Alcuni ad esempio propongono qualcosa di molto simile alla creazione di piccole enclave auto-gestite all’interno delle città o addirittura di privatizzare tout court intere città e paesi. In altri ordinamenti vengono definite gated communities (i.e. “città recintate”). Ma, comunque le si voglia definire, ci troviamo di fronte a vere e proprie “città privatizzate”. E cosìanziché avere un’autorità pubblica democraticamente eletta e soggetta al principio di legalità e a tutte le altre garanzie che il diritto pubblico appresta, si sminuzzano le città , gli spazi e i servizi urbani in tanti piccoli recinti condominiali governati da autorità e regole privatistiche che riducono il cittadino a mero condomino e misurano la sua influenza in base alla sua capacità reddituale. Qui come in tutti i casi in cui c’è solo autonoma iniziativa dei cittadini, che scientemente escludono fin da principio la possibilità di interlocuzione con le istituzioni pubbliche, non si può parlare affatto di sussidiarietà . E’ una forma di autogoverno che a volte esclude del tutto la relazione con l’ordinamento generale e quasi sempre riduce al minimo l’integrazione con la comunità generale.
In maniera esattamente speculare, si collocano al grado zero quelle ipotesi, sempre più frequenti in cui i poteri pubblici, trattano i cittadini come propri operai o finanziatori. Ne è un esempio il cd. piano-neve del Comune di Roma oppure gli innumerevoli casi in cui nelle scuole mancano carta igienica o altri generi di prima necessità come gesso, libri, soldi per i viaggi e corsi speciali ecc. Qui i soggetti pubblici non sono in grado di elaborare una risposta amministrativa alle esigenze della collettività per insipienza, per carenza di fondi, perché si è deciso in passato di dismettere tutti gli strumenti e l’apparato organizzativo necessario a far fronte all’eventuale emergenza o esigenza collettiva. I cittadini sono quindi cortesemente pregati di tappare i buchi dell’amministrazione e sopperire alle carenze organizzative o finanziarie della stessa. E quindi nel caso della nevicata romana sono stati invitati a recarsi (loro) in 4 punti di raccolta a prendere le pale per andare a spalare la neve ovunque essi potessero oppure nel caso di molte scuole i genitori sono costretti a mettere negli zaini dei propri pargoli oltre alla merenda anche un rotolo di carta igienica e qualche volta anche un rotolo di euro per pagare servizi o costi che la scuola non è più in grado di sostenere. Qui il mix è totalmente sbilanciato a favore dei soggetti pubblici che non fanno nulla e pretendono di sfruttare il cittadino per far fronte a esigenze per le quali dovrebbero bastare le “imposizioni patrimoniali” di cui all’art. 23 Cost., cioè le tasse quell’oggetto sconosciuto per molti cittadini italiani e anche per molte istituzioni.