Una sfida per le società  complesse

L ' India tra democrazia e partecipazione: una grande metafora delle contraddizioni delle società  complesse

Un paese, tante contraddizioni: alcuni dati

L’India dei “settecentomila villaggi” a cui si rivolgeva Gandhi è ancora oggi un paese che vede i due terzi della sua forza lavoro impegnati nell’agricoltura. La “green revolution” degli anni settanta, ha migliorato le condizioni di lavoro degli agricoltori e soprattutto ha avviato un processo di sviluppo dell’agricoltura indiana finalizzato a potenziare il settore anche al fine di evitare un’eccessiva migrazione interna verso le aree urbane, dai risvolti sociali incontrollabili.

Allo stesso tempo, l’India è diventata una potenza leader nel settore tecnologico, ottenendo risultati sia sul fronte delle esportazioni, sia su quello interno dell’e-governance, mettendo in campo una serie di progetti ed iniziative finalizzati a migliorare l’accesso alle istituzioni da parte dei cittadini. Una delle sfide più importanti che l’India ha dovuto affrontare è stata quella della lotta all’analfabetismo. Nel 1951, all’indomani dell’indipendenza, il paese presentava un tasso di alfabetizzazione pari al 18.33 percento; secondo i dati del censimento del 211 attualmente il tasso di alfabetizzazione è pari al 74 percento rispetto al 65 percento del precedente censimento del 21; il tasso di analfabetismo è sceso quindi di circa 1 punti percentuali, passando dal 35 percento del 21 al 26 percento del 211. Gli incrementi di questi valori sono ritenuti fondamentali per lo sviluppo del paese che presenta ancora notevoli differenze a seconda degli stati, passando da un tasso di alfabetizzazione pari al 94 percento nel Kerala (nel sud-ovest del paese) al 63.82 nel Bihar (nel nord-est del paese, ai confini con il Nepal).

La condizione femminile

Il dato più interessante è la riduzione del divario tra il tasso di alfabetizzazione maschile e quello femminile; tale divario era pari al 21.59 percento nel 21, passando al 16.68 percento nel 211. Attualmente il tasso di alfabetizzazione maschile è pari all’82.14 percento e quello femminile al 65.46 percento. L’istruzione femminile è ritenuta fondamentale per il miglioramento complessivo della condizione della donna in India e dell’intera società . Come affermava Gandhi, “educate one man, you educate one person, but educate a woman and you educate a whole civilization”.

La condizione femminile in India è ricca di contraddizioni. Accanto a figure di rilievo nella politica nazionale quali quelle di Indira Gandhi, Sonja Gandhi e all’attuale presidente della Repubblica, Pratibha Devisingh Patil, la condizione femminile è contrassegnata da profonde discriminazioni, legate al perdurare di un retaggio culturale che relega la donna in una posizione subalterna sia all’interno della famiglia che nella società . Dagli aborti selettivi, alla violenza familiare sulle donne e al perdurare del sistema delle caste, come recita un recente libro/reportage di Valeria Fraschetti, edito da Castelvecchi, l’India “non è (ancora) un paese per donne”.

Malgrado ciò, secondo le parole di Sonja Gandhi, a capo del National Congress Party ed erede della dinastia politica che ha governato l’India dall’indipendenza ai nostri giorni, le donne sono la risorsa per il futuro del paese in almeno cinque settori cruciali: “le comunità  femminili che stanno trasformando l’India rurale; la politica, dove le donne hanno ottenuto una quota di rappresentazione del 33% negli organismi rurali e cittadini; i diritti sociali; l’impresa e le tecnologie”.

Numerose sono infatti le iniziative e i cambiamenti che hanno visto le donne protagoniste e che in qualche modo ridefiniscono la nozione stessa di partecipazione politica in India. Ad esempio, grazie ad una modifica costituzionale introdotta nel 1992, il 33 percento delle panchayats, le assemblee locali che amministrano i villaggi, deve essere formato da donne; numerose sono le cooperative sorte per tutelare le tradizioni artigianali dell’India rurale. Interessante il caso del Sewa, un sindacato al femminile che tutela i diritti di donne indigenti che traggono il proprio sostentamento quotidiano dal loro lavoro (self-employed) in settori privi di ogni tutela.

Oltre la cittadinanza

Il tema di coloro che in India sono privi di ogni tutela e quindi esclusi dal pieno godimento dei diritti di cittadinanza, insieme a quello della sostenibilità  ambientale, costituiscono i settori in cui è stato avviato un dibattito che fa del contesto locale un laboratorio di sperimentazione per le società  complesse.

L’India negli ultimi decenni ha infatti contribuito ad un dibattito internazionale che lavora alla ridefinizione delle categorie analitiche ereditate dalla tradizione socio-politologica occidentale, avvalendosi dei contributi di autori e attivisti politici. Tale dibattito da una parte prende le distanze dall’epoca coloniale dall’altra guarda alla complessità  della società  indiana come ad una metafora della complessità  delle società  contemporanee. Uno dei contesti culturali di riferimento per questo dibattito è rappresentato dal collettivo dei “Subaltern Studies”, che annovera tra i suoi fondatori Partha Chatterjee, autore tra l’altro di “Oltre la cittadinanza. La politica dei governati”, del quale ci siamo già  occupati sulle pagine di questa rivista.

La riflessione di Chatterjee muove dalla considerazione della particolare condizione in cui si sono venute a trovare le grandi masse di contadini indiani all’indomani dell’indipendenza: formalmente parte del nuovo stato ed oggetto delle sue politiche, erano in realtà  esclusi dalla cittadinanza nel senso pieno del termine. Come scrive Chatterjee nella prefazione all’edizione italiana del libro, “venivano curati, sostenuti e incoraggiati a vivere in maniera più sana e produttiva. E tuttavia, ciò li rendeva oggetti della politica, elementi differenti della popolazione che avanzavano esigenze particolari e rispondevano a ricompense e sanzioni diverse. Compresi che il campo delle politiche governamentali apriva una nuova area politica le cui pratiche non erano per nulla assimilabili a quelle della società  civile dei cittadini propriamente detti. Decisi di definire tale campo […] società  politica” (p. 1). Movimenti spontanei, sorti per risolvere questioni contingenti, si trasformano in veri e propri interlocutori istituzionali, aggirando le forme tradizionali di partecipazione politica, prima fra tutte la partecipazione elettorale. Si delinea cosìun nuovo “spazio pubblico” con attori non istituzionali che si auto legittimano in funzione della loro capacità  di affrontare e risolvere i problemi. La riflessione di Chatterjee non rimane confinata al contesto indiano; come egli stesso afferma, “se guardiamo alle questioni di governo che oggi vengono sollevate dai nuovi flussi migratori verso l’Europa occidentale e il Nord America, non possiamo che concludere che la distinzione tra cittadini e popolazione – la distinzione tra società  civile e società  politica – non è affatto irrilevante per comprendere l’Occidente contemporaneo” (p. 11).

Di questi e di altri temi si è parlato al 4 ° Congresso Internazionale dell’International Sociological Association (IIS) che si è tenuto a Delhi dal 16 al 19 febbraio dal titolo alquanto significativo: “After the Western Hegemony: Social Science and its Publics”, a sottolineare ancora una volta come l’India sia il contesto più adatto al quale guardare per trovare le risposte alle sfide lanciate dalle società  contemporanee.

Movimenti sociali e beni comuni

Più noto al grande pubblico è il controverso contributo della leader dell’ambientalismo globale, Vandana Shiva, autrice di saggi quali Il bene comune della terra, Le guerre dell’acqua, Semi del suicidio, India spezzata. Diversità  e democrazia sotto attacco, Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo solo per citarne alcuni. La prospettiva globale con la quale la Shiva affronta il tema della globalizzazione la porta a riunire all’interno di uno stesso discorso l’ambientalismo, la difesa della biodiversità , i diritti umani e la tutela dei beni comuni.

La diffusione dei movimenti sociali in India è spesso erede dell’esperienza gandhiana, mantenendo una diffidenza latente nei confronti del ruolo delle élites politiche, a fronte di una capacità  di auto mobilitazione delle masse. Tale aspetto sembrerebbe contraddire quanto evidenziato dagli studi sulla partecipazione politica, vale a dire il suo stretto rapporto con il livello di scolarizzazione. Spesso i movimenti sociali in India nascono nel mondo contadino, (basti pensare al Chipko movement), tra gli esclusi, analfabeti e quasi sempre donne che uniscono in un’unica rivendicazione istanze ecologiste, diritti umani, rivendicazione dell’identità  culturale. Non è estranea a questo modo di agire l’influenza dell’elemento religioso, nel momento in cui le principali religioni del paese si fondano su un diverso rapporto tra l’uomo e l’ambiente circostante.

Anche questo percorso è parte della complessità  di un paese che nel momento in cui aspira ad una posizione leader nel mondo offre, pur tra mille contraddizioni, una lettura altrettanto complessa e mai scontata dei fenomeni e delle sfide che siamo chiamati ad affrontare.