Non è affatto “un’idea del cavolo” quella di voler portare la campagna in città . Ne sono la prova le molteplici iniziative che stanno nascendo con sempre maggiore frequenza in varie realtà locali (tra cui: Roma; Parma; Sesto San Giovanni) al fine di promuovere e supportare la creazione di orti urbani e giardini condivisi.
Ricette per creare miracoli sul terrazzo
L’idea di fondo è quella di riappropriarsi degli spazi pubblici “colorandoli” di verde. Da questo punto di vista, dunque, Coltiviamo la città , ultimo libro di Massimo Acanfora, può essere un utile supporto alla creazione di “orti da balcone e giardini urbani per contadini senza terra”. Come si legge nella premessa, infatti, è sufficiente pochissimo spazio per dare vita ad un vero e proprio “miracolo sul terrazzo”. Per iniziare – spiega l’autore – basta una bottiglia o una cassetta della frutta, un po’ di terriccio e i semi di ortaggi, dopo di che, seguendo le facili istruzioni riportate nel manuale, o nei molti siti internet dedicati al tema (www.zappataromana.net; www.nostrale.it; www.coltivareorto.it ), sarà semplicissimo creare un “garden box”. Se poi siamo già abbastanza esperti, si può pensare ad una vera e propria opera di “balconaggio”, inventando persino un giardino pensile. Quella verticale, infatti, “è una risorsa da non sottovalutare” poiché, come dimostra il successo del progetto Ortolana, le pareti possono rivelarsi un’utile dimensione dove collocare le piante. Cosìcome, del resto, il soffitto del balcone, posto che molti siti ( www.lortodimichelle.blogspot.com; www.cantieriverdi.it; www.aivep.org ) spiegano che “è possibile coltivare pomodori, aromatiche ed altre piantine … a testa in giù”.
I valori dell’orto urbano
Se alla base del fiorire di terrazzi e balconi c’è il piacere, tutto personale, di dedicarsi al giardinaggio o di produrre in casa piccole quantità di ortaggi per riappropriarsi della filiera alimentare, dietro a iniziative come quella dell’orto diffuso, e a movimenti come quello dei Guerrilla Gardening, c’è molto di più. Simili progetti, infatti, sottendono valori sociali, educativi ed alimentari, oltre che il desiderio di migliorare l’aspetto delle città , recuperando e riqualificando spazi abbandonati.
Si parla innanzitutto di “valore sociale” perché, come evidenziato dall’American Community Gardening Association, gli orti di comunità migliorano la qualità della vita, fungono da catalizzatore per le relazioni sociali ed aiutano a ridurre la spesa destinata all’acquisto di cibo. Inoltre, talvolta, rappresentano uno strumento di integrazione, come accade nei casi di orti terapeutici, coltivati da anziani, disabili o da persone che cercano di reinserirsi nella società , ad esempio, dopo un periodo di detenzione in carcere.
Ci sono poi risvolti educativi, specie in tutti quei progetti rivolti ai più piccoli, qual è ad esempio quello recentemente promosso da Slow Food e denominato “Orto in condotta”. Come sottolinea l’autore, infatti, gli orti didattici rappresentano “preziose pratiche che tengono desta nei bambini l’idea che la verdura non nasce negli scaffali dei supermercati”.
Parimenti – ricorda l’autore – la ri – scoperta dell’agricoltura sottende anche il desiderio, comune a molti, di avere contezza di ciò che mangiamo. Da quello oramai famosissimo di Michelle Obama fino a quelli meno noti, ma altrettanto importanti, nati in aree dismesse di svariate città italiane (solo a Milano si segnalano: Libere rape metropolitane e Cascina Cuccagna, gli orti urbani dimostrano infatti che il rinnovato interesse per la coltivazione amatoriale si lega al desiderio di poter consumare cibi autentici, cresciuti senza l’aggiunta di sostanze chimiche dannose per l’organismo.
“Colorare” di verde la città
Tra i “1 buoni motivi per coltivare un orto urbano”, inoltre, l’autore inserisce anche quello, fondamentale nell’ottica della sussidiarietà orizzontale, di “partecipare con spazi orticoli al miglioramento dell’ambiente urbano e alla riqualificazione di luoghi degradati o abbandonati”. Emblematica, al riguardo, l’esperienza dei Guerrilla Gardening, “attivisti [che] praticano forme di giardinaggio resistente trasformando in aiuole fiorite e angoli verdi le aree degradate e abbandonate delle città “. Cosìcome degne di nota sono, ad esempio, le iniziative Badili Badola e Ort-Ike a Torino, Ortocircuito a Bari e Friarielli Ribelli a Napoli, poiché nel complesso costituiscono un indice del fatto che si sta lentamente affermando l’idea che la città è un bene comune di cui anche i cittadini, insieme con la Pubblica amministrazione, possono prendersi cura.
Come sottolinea Acanfora, infatti, il continuo fiorire di iniziative di questo genere è la prova di un sentire diffuso. Ossia dell’esigenza di chi, “urbanizzato da generazioni, è alla disperata ricerca di un’isola dove mettere a dimora il proprio verde o quello collettivo”.
ACANFORA M., Coltiviamo la città , Altreconomia, 212.