Le ragioni dell’inerzia del legislatore
L’articolo 49 della nostra Costituzione prevede, infatti, la libertà di associazione in partiti politici “per concorrere, con metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale”.
Se il diritto di libertà garantito dalla norma non ha avuto bisogno di ulteriori chiarimenti, la seconda parte della disposizione, che prevede il rispetto del “metodo democratico”, non ha visto alcuna specificazione od attuazione.
Per una prevedibile eterogenesi dei fini, però, questa assenza di normazione ha determinato la sempre minore rilevanza della libertà del singolo all’interno dei partiti a favore di un’indiscriminata crescita di influenza e di potere decisionale dei gruppi dirigenti dei partiti stessi, che ha portato al loro predominio nella vita pubblica a scapito del Parlamento e degli altri organi costituzionali.
Il tema della democrazia interna ai partiti e di una loro possibile regolamentazione ritorna, quindi, di attualità , considerato che le ragioni ideologiche che videro l’opposizione ad una regolamentazione dei partiti di gran parte dei membri dell’Assemblea Costituente possono dirsi, oggi, definitivamente superate.
Le diverse interpretazioni del limite del “metodo democratico”
In particolare, le divergenze interpretative si sono incentrate proprio sul limite del “metodo democratico” imposto al concorso dei cittadini per la determinazione della politica nazionale. Di esso sono state elaborate diverse interpretazioni e, per evitare che attraverso di esso si potesse svolgere un controllo sul contenuto ideologico-programmatico di ciascun partito, per lungo tempo la tesi predominante è stata quella che ha avallato una lettura debole del metodo democratico, quale mero limite esterno ai partiti, relativo alla lotta politica fra i partiti stessi.
Tentativi di influenza sulla forma e sulla struttura dei partiti sono stati svolti “dall’esterno”, attraverso le leggi elettorali, la legge sul finanziamento dei partiti politici, la normativa che regola l’accesso dei partiti ai mezzi di comunicazione.
Le disposizioni in esse contenute hanno senza dubbio determinato una trasformazione dei partiti politici, ma non hanno inciso sui problemi essenziali già sollevati da tempo e connaturati ad una democrazia di partiti, quelli connessi al tema della rappresentanza.
Invero dell’art. 49 Cost. può darsi un’interpretazione forte(1), per cui il “metodo democratico” costituirebbe un vincolo interno all’organizzazione e al funzionamento dei partiti politici. In questo modo viene garantita la principale funzione dei partiti politici, quale strumento essenziale per la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese.
Sebbene, quindi, concretamente non si sia mai realizzata una regolamentazione organica dei partiti politici, l’intervento del legislatore non sarebbe precluso dall’art. 49 Cost., bensìauspicabile al fine di garantire un’articolazione democratica e il rispetto della dialettica maggioranza-minoranza all’interno dei partiti, con particolare attenzione ai profili in cui tali elementi risultano fondamentali, quali la designazione dei candidati alle elezioni, la nomina degli organi direttivi, la disciplina dell’esclusione dal partito e la tutela delle minoranze interne.
Come associazioni private i partiti politici sono, oggi, sottoposti alla scarna disciplina prevista dal codice civile agli artt. 36 e ss.; eventuali interventi di natura giudiziale si arrestano, pertanto, al mero piano formale e hanno come parametro di riferimento la disciplina civilistica delle associazioni prive di personalità giuridica.
Nuove esigenze di regolamentazione
E’ oggi opinione diffusa che sia necessaria l’introduzione di una regolamentazione dei partiti politici, per contrastare la deriva autoritaria e oligarchica del sistema e porre fine a un dibattito che si è protratto per oltre sessanta anni.
Proprio il tema della regolamentazione dei partiti e l’introduzione di una disciplina organica trova nella XVI Legislatura il momento di massima espressione: si contano, infatti, 21 progetti di legge, presentati alle Camere dal 28 al marzo del 212. La proliferazione delle proposte in questa materia è probabilmente determinata dalla grave crisi di legittimazione in cui versano i partiti stessi: a sostegno di tale considerazione vi è la concentrazione di ben nove disegni di legge presentati nei primi tre mesi del 212, a seguito delle note vicende politico-economiche che hanno portato alla formazione del Governo Monti.
Una prospettiva comparata
Nell’affrontare questo tema, il confronto con la disciplina tedesca può essere d’aiuto nella ricerca di un paradigma idoneo a regolare la costituzione, l’organizzazione e l’attività dei partiti politici, pur con la consapevolezza dell’impossibilità di riprodurre interi modelli presenti negli altri ordinamenti, dal momento che le modalità di regolamentazione di tale materia non sono mai neutre, ma perseguono finalità conformi ai corrispondenti sistemi politici.
La disciplina organica tedesca, dettata nel Parteiengesetz del 1967, in attuazione dell’art. 21 della Legge Fondamentale, risulta estremamente dettagliata e ha conferito al sistema dei partiti una stabilità sconosciuta negli altri ordinamenti: in particolare, agli art. 7-16 PartG, è prevista una disciplina dettagliata dello statuto-tipo a cui i partiti devono ispirarsi e un’articolazione degli stessi che si svolge su 4 livelli, verticalmente strutturati, con una complessa serie di controlli reciproci.
Il metodo democratico nell’ordinamento tedesco è stato attuato dal legislatore del 1967 attraverso la procedimentalizzazione della formazione degli organi fondamentali del partito, caratterizzati dalla collegialità e da una struttura ascendente, che dalle organizzazioni di base arriva sino ai vertici del partito, in cui ciascun livello è legittimato da quello che lo precede.
Le regole dettate dal legislatore ordinario hanno influito in maniera determinante sulla modalità di formazione della volontà dei partiti politici e sulla loro struttura. In tal senso, il PartG ha contribuito ad evitare che i partiti tedeschi fossero travolti da quella deriva carismatica e plebiscitaria che si osserva nelle formazioni politiche nelle altre democrazie occidentali.
L’elemento essenziale previsto dalla legge tedesca è l’unità territoriale di base e l’organo principale è l’Assemblea degli iscritti, in cui le decisioni vengono prese a maggioranza semplice e in cui le minoranze devono avere la possibilità di presentare e discutere proposte, al fine di formare la volontà del partito.
In questo modo, il legislatore tedesco ha cercato di attuare il principio di identità (Identitatsprinzip) tra partiti e popolo.
L’incidenza della legge tedesca sulla struttura e sull’organizzazione dei partiti ha reso meno complesso il compito della legge elettorale, la quale non è stata oggetto di continue revisioni come invece è accaduto in Italia.
Tali regole possono costituire un paradigma di riferimento nel momento in cui si decida, anche in Italia, di prendere sul serio il tema della regolamentazione dei partiti politici. In tale contesto non sfugge la problematicità che l’istituzione di limiti organizzativi e funzionali porta con sé, e la loro insufficienza in determinate e contingenti situazioni storiche, in cui la traduzione della finalità istituzionale dei partiti dal piano dell’essere a quello del dover essere fatica ad adattarsi alla sua delimitazione giuridica.
(1) ESPOSITO, I partiti nella Costituzione italiana, in Id, La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954; CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione italiana, in Aa.Vv., Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, Vol. II, Le libertà civili e politiche, Firenze, 1969.