Bisogna osservare subito una certa asimmetria, se non anomalia. La Carta d’Intenti si presenta come una piattaforma comune: nasce come espressione della segreteria di Bersani e diventa orizzonte di tutta la coalizione. Il programma di Renzi, viceversa, rappresenta davvero il programma del singolo candidato.
La sussidiarietà nei programmi
Nel programma di Bersani la sussidiarietà è presente in modo del tutto residuale laddove si sostiene che “a sua volta l’autogoverno locale deve offrire spazi e occasioni alla sussidiarietà , alle forme di partecipazione civica, ai protagonisti del privato sociale e del volontariato”. Il tema è posto correttamente sotto la voce ‘Beni comuni’ e tuttavia non riveste alcun carattere strategico, manca di sviluppi concreti e coerenti, né tantomeno sembra ispirare trasversalmente la proposta politica del segretario. Il ruolo del terzo settore appare nel contesto sacrificato ad una dimensione ancillare rispetto alle responsabilità delle amministrazioni pubbliche centrali e locali. Al contrario, il programma di Renzi, con qualche ambizione, dichiara che la sussidiarietà sarà il filo conduttore della proposta del sindaco di Firenze: “Il modo più semplice per far ripartire l’Italia è investire sugli italiani”. Renzi promette di “ripartire dall’Italia che funziona”. A questo scopo, cita i Comuni “che, nonostante i tagli, continuano ad assicurare servizi di qualità e un vero modello di civiltà e di buongoverno”; le aziende “che, nonostante la crisi, hanno saputo adattarsi al nuovo scenario competitivo e oggi tengono alto il nome del nostro Paese nel mondo”; infine, “le mille associazioni e realtà del terzo settore che tengono insieme le nostre comunità e fanno dell’Italia un Paese sul quale vale ancora la pena scommettere”.
La questione dei beni comuni
Il tema dei beni comuni è un ancoraggio forte nella Carta d’Intenti. Usato nel titolo, come attributo dell’Italia, viene sviluppato in un paragrafo specifico. E tuttavia, lascia un sapore che sa troppo d’antico. I beni comuni sono soprattutto intesi come il territorio protetto del pubblico ‘statale’: “beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti” nell’ambito di una alternativa banalmente binaria tra Stato e mercato. Tant’è vero che, secondo questo programma, questi beni – l’energia, il patrimonio culturale e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la rete dei servizi di welfare e formazione – devono vivere in un “quadro di programmazione, regolazione e controllo sulla qualità delle prestazioni”. In questo quadro “non può venir meno una responsabilità pubblica dei cicli e dei processi, che garantisca l’universalità di accesso e la sostenibilità nel lungo periodo”. Fatta salva la political correctness del richiamo ai beni comuni, il documento non indica proposte concrete né impegni precisi, e, soprattutto, non spiega come coinvolgere davvero le risorse umane, sociali e amministrative citate. E qui veniamo al punto.
La riforma dell’amministrazione pubblica
Un ragionamento serio sulla sussidiarietà non può fare a meno di soffermarsi sull’arretratezza dell’amministrazione pubblica italiana. Su questo punto, la Carta d’Intenti è completamente evasiva. Viceversa, il programma di Renzi ci ritorna su più volte. Come si legge nel documento, “troppo spesso, da noi, si pensa che basti il comma di un decreto legge partorito in qualche Ministero a cambiare le cose. Nove volte su dieci non funziona: perché chi ha scritto quel comma parte da un’idea astratta, anziché immergersi nella complessità del reale. Il risultato è il sistema pubblico con il maggior numero di leggi e il minor numero di risultati tra le grandi democrazie occidentali”. La riforma dello Stato è affrontata come una vera e propria emergenza che riguarda la qualità della spesa pubblica, la superfetazione di enti e strutture inutili e costosi, la mancanza di trasparenza e di accountability degli amministratori pubblici, l’arroganza, iniquità e irrazionalità delle misure fiscali, la complessità e l’opacità delle procedure e delle azioni amministrative, e via elencando. Su questi punti il programma del sindaco di Firenze è molto ricco di proposte concrete: l’adozione del Freedom of Information Act per garantire la trasparenza totale, l’introduzione della valutazione e del merito nella PA, la semplificazione di leggi e procedure, misure per rendere più efficiente ed efficace la risposta del sistema giudiziario, misure per la condivisione e la digitalizzazione delle informazioni, il recupero delle risorse sottratte allo stato a causa dell’evasione fiscale e della corruzione. Senza un’amministrazione agile e amichevole nei confronti dei cittadini, la sussidiarietà resta una chimera.
La promozione del capitale umano e sociale
Ma la sussidiarietà si fonda sulla libertà solidale e responsabile di cittadini che costruiscono tutti insieme il futuro comune. In questo momento storico, l’Italia appare bloccata sotto una cappa fatta di rendite, inefficienze e privilegi . Una cappa che comprime quella libera pratica di talenti, capacità e competenze che sta alla base dei processi sussidiari, dello sviluppo umano e di una maggiore giustizia sociale.
La Carta d’Intenti di Bersani contiene riferimenti molto importanti ai temi del lavoro, della formazione e dell’uguaglianza. In particolare, convincono l’attenzione verso il lavoro dei giovani e delle donne, cosìcome convince l’accento sul pericoloso aumento delle diseguaglianze nel nostro paese. Nel programma di Bersani – che ospita diversi inviti alla ‘riscossa civica’ – “parlare di uguaglianza significa guardare la società con gli occhi degli ultimi”. Tuttavia, al di là di richiami assai condivisibili, resta forte ancora una volta la sensazione di poca concretezza. Il programma renziano, fin dalla sua premessa, sia sul piano dell’impatto linguistico che sul piano delle piste di lavoro, sembra andare dritto al punto. L’Italia non è la terra del declino, ma “un Paese stracolmo di capacità e di energie”. Si invita a puntare sulla “unica risorsa naturale della quale dispone in abbondanza: il talento degli italiani”. Sostiene che “non ha senso proporre l’ennesima ricetta calata dall’alto. Quel che serve è un’occasione per mettere in rete le migliaia di idee e di esperienze che fanno dell’Italia un Paese molto migliore di come ce lo raccontano i media e la politica”. Sono numerose le misure concrete suggerite per valorizzare il capitale umano e sociale, punto di partenza necessario e indispensabile per l’affermazione di quella sussidiarietà che può dare nuovo slancio al Paese.
Il welfare come investimento
In questo senso, pare assai azzeccato il capitolo dedicato al welfare. Questo non è più una mera “funzione del lavoro” come viene trattato, in modo un po’ retrò, nel programma bersaniano. Con il rischio di restare schiacciato nella vecchia logica dell’assistenza e dei sussidi collegati alla dimensione lavorativa o alla struttura occupazionale. Il welfare, secondo Renzi, diventa il fondamento stesso dello sviluppo, mettendo al centro le persone. “Un welfare orientato all’obiettivo di consolidare la coesione sociale e contrastare ogni fattore di discriminazione non si limita a fornire ai cittadini in condizioni di rischio assistenza e sussidi economici secondo una logica risarcitoria, ma guarda in maniera dinamica e attiva alla valorizzazione di ogni persona come risorsa per sé e per la comunità , qualsiasi sia la sua condizione: anagrafica, economica, formativa, di salute”. Per raggiungere questo obiettivo di inclusione si offrono diverse misure (che qui non si possono elencare, ma sulle quali val la pena aprire un dibattito), si promette di coinvolgere i cittadini e si promuove la centralità del ruolo del terzo settore. E, soprattutto, si raccolgono le sfide di un moderno welfare di comunità – che attende ancora di essere discusso e costruito a partire dalle sue variabili: pubblico, locale, aziendale, sindacale, cooperativo – per offrire servizi alle persone, investire sulle capacità e garantire occasioni di libertà e di sviluppo umano.
Non sempre ‘carta canta’
Per concludere. Qualsiasi programma scritto sulla carta può rimanere tale: è il limite di un esercizio di valutazione come quello che qui abbiamo tentato. Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che un programma politico – a seconda di come viene redatto – può essere più o meno accountable. In questo senso, la Carta d’Intenti, costruita come una piattaforma statica, si incarica di definire (forse in modo troppo ampio e vago) il perimetro dei valori comuni, piuttosto che di indicare le misure precise per realizzarli. In questa maniera rende impossibile ogni verifica di coerenza e di efficacia, rimanda e delega ogni intervento concreto al confronto (e al conflitto) tra le forze della futura maggioranza, solleva nei lettori il sospetto di una mancata assunzione di responsabilità nei confronti dei cittadini chiamati al voto. Oppure, più semplicemente, rassicura il cerchio stretto degli elettori che hanno già deciso.
Tutto all’opposto, il programma di Renzi entra molto di più nel merito delle questioni e formula numerose proposte concrete: condivisibili o meno, ma verificabili. Anche qui non mancano rischi: offrire ricette complete può scatenare sospetti di propaganda e scontrarsi con la necessità reale delle mediazioni.
Tutto questo non possiamo ancora saperlo. Però, possiamo conservare le ‘carte’. E rileggerle a tempo debito.