Nonostante i tagli operati dal governo, il settore invia segnali incoraggianti

Le "industrie culturali" impiegano oltre 4 milioni di lavoratori in Italia eppure vengono spesso e volentieri considerate aziende di secondo piano

Partiamo da due dati: secondo un’indagine condotta dall’Eurobarometro, l’88% degli italiani ritiene che la cultura giochi un ruolo molto importante nelle loro vite. Dei nostri connazionali, però, solo il 51% partecipa attivamente ad attività  culturali. Cosa significa? Essenzialmente che la cultura viene vista in Italia più come una potenzialità  che come una realtà  sulla quale fare affidamento. Una percezione che si riflette, d’altra parte, sulle scelte politiche ed economiche, spesso e volentieri penalizzanti verso il comparto della cultura.

 

L’apporto della “filiera della cultura”

Eppure, come sottolinea il rapporto “l’Italia che verrà “, focalizzato sull’apporto fornito da industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico-artistico e architettonico, performing arts e arti visive sulla ricchezza nazionale, la “filiera della cultura” produce un valore aggiunto pari al 15% del totale dell’economia italiana. Tradotto in posti di lavoro: 4 milioni e mezzo di impiegati, cioè il 18,1% degli occupati a livello nazionale.

La risposta dell’industria culturale alla crisi

Non a caso Symbola e Unioncamere insistono nello smentire chi “descrive la cultura come un settore non strategico e rivolto al passato”, inquadrandola invece come un “fattore trainante e di rilancio per molta parte dell’economia italiana”. A riprova di questa affermazione viene posto in risalto il trend osservato nel quadriennio 27-211. “La crescita nominale del valore aggiunto delle imprese del settore della cultura è stata dello ,9% annuo, più del doppio rispetto all’economia italiana nel suo complesso (+,4% annuo) – spiega il rapporto – Dato che si riflette anche sulla caparbia tenuta occupazionale dell’industria culturale, nonostante la crisi: nel medesimo periodo gli occupati nel settore sono cresciuti dello ,8% annuo, a fronte della flessione dello ,4% annuo subita a livello complessivo”.

Un insieme complesso di attività   


Va altresìnotato che la composizione della filiera della cultura è estremamente “articolata e diversificata” e comprende attività  formative, produzioni agricole tipiche, attività  del commercio al dettaglio collegate alle produzioni dell’industria culturale, turismo, trasporti, attività  edilizie, attività  quali la ricerca e lo sviluppo sperimentale nel campo delle scienze sociali e umanistiche. Insomma una buona fetta dell’economia italiana. Ciononostante, tanto a livello nazionale che locale, si tende a considerare la cultura come un settore di secondo piano.

 

Regioni e cultura: la classifica

Ancora una volta basta dare uno sguardo ai dati per cambiare idea. Nella classifica regionale spiccano il Lazio (in cui la cultura fornisce il 6,8% di valore aggiunto sul totale dell’economia), seguito da Marche, Veneto e Lombardia (6,3%). Decisamente più staccate le regioni meridionali. Dal punto di vista dell’incidenza delle industrie culturali sull’occupazione, troviamo invece ai primi posti Veneto (7%), Marche (6,9%), Friuli Venezia Giulia (6,4%), Lazio e Toscana (entrambe al 6,3%).

Uscire dalla crisi, una sfida che è possibile vincere

“L’Italia deve fare l’Italia – ha commentato Ermete Realacci, presidente di Symbola- Fondazione per le qualità  italiane – E’ necessario fronteggiare la crisi finanziaria e il debito pubblico senza lasciare indietro nessuno, ma per risanare l’economia serve un’idea di futuro. Non possiamo che puntare su innovazione, ricerca, green economy, e incrociarle con la forza del made in Italy, con la qualità , con la bellezza. La cultura è l’infrastruttura immateriale fondamentale di questa sfida”.


Una sfida che necessita dell’apporto di tutti, cittadini ed istituzioni, e soprattutto di un cambio di mentalità . Ma l’Italia è pronta?



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