La piazza come centro del nuovo spazio pubblico: il pensiero di Ugo Mattei
Le piazze e il gioco. Rapporto strano? Parole che sembrano lontane? A prima vista sì, ma solo in partenza. Certo, nell’immaginario pensi subito alla piazza come il mercato: compra e vendi, scambi e moneta sonante. Poi ti accorgi che manca qualcosa per completare l’idea, capisci l’apparenza inganna. Diversamente dalla storia. Che ci riporta all’immaginario del mangiafuoco, dei teatranti, dei circhi viaggianti e delle feste popolari. Anche quello era la piazza: il luogo dello scambio sociale, e del divertimento come conoscenza.
Un’idea che del resto non è molto lontana da quella di cui parla il professor Ugo Mattei, Giurista e docente all’università di Torino, nel suo “Un manifesto per i Beni Comuni”. Mattei infatti, proprio con un rimando al medioevo, epoca in cui nasce il confronto tra città e campagna, tra città e terre agricole, la piazza è un trade-union, un fattore di raccordo e di continuità . E proprio per questo un perfetto caso di bene comune, in carne ed ossa: un luogo che oltre ad essere di scambi commerciali, di incontro, ma anche di scontro e di conflitto sociale, dove chi “lotta”, per cosìdire, riesce a sopravvivere attraverso una regolazione. Quale? Quella della sussidiarietà , dell’iniziativa autonoma e coordinata, con l’obiettivo di dare alle piazze, cosìdefinite, un senso superiore a loro stesse, e più coerente con la loro funzione. Non essere insomma un mero spazio fisico urbanistico, ma un luogo dove l’accesso sociale sia un fatto compiuto. Perchè il bene non è solo di chi risiede, ma è di tutti.
Caracas: dove il nuovo spazio pubblico riparte dalla piazza
Un pamphlet di forte impatto, una bella riflessione. Tanto più se ti accorgi che il suo sapore è globale. E ti accorgi che a migliaia di chilometri di distanza, nel cuore del Venezuela, c’è chi cerca di realizzarla. Con i fatti.
E allora un bel volo intercontinentale con la nostra mente, ed eccoci a Macarao. Periferia di Caracas, capitale del paese, e 5mila persone in appena 1 chilometri quadrati. Una densità abitativa spaventosa, e come se non bastasse prostituzione, povertà e igiene che pare un sogno, da queste parti.
Eppure negli ultimi dieci anni, i residenti cercano di reagire in vari modi. Chi aprendo una piccola attività , chi dei centri sociali. Oppure cercando di recuperare quello che di bello ci potrebbe essere, se solo fosse curato di più, meglio,e con fantasia.
Come per esempio le decine e decine di ragazzi che con la loro vitalità , e il supporto della Liga de la Partida Urbana (Lega della Partita Urbana) , hanno rimesso mano al centro storico di questo sobborgo a suon di pennellate. Cominciando ad ottobre con Piazza Bolivar, che da scenografia in degrado di una chiesa della tarda età coloniale spagnola, è diventato un luogo di interazione, a disposizione dei giovani.
Dipingere con sussidiarietà il nuovo spazio pubblico: un’ idea che ritorna
Tutto dal nulla? No. Si tratta in realtà di un revival. Uno splendido “bis”, in questo ‘barrio’ della capitale fatto di case e asfalto, che prende corpo come appendice del progetto ‘Calle de Diversià³n’: disegnare insomma le strade per andare al di là della loro struttura fisica, quella del cemento e degli edifici. Ma anche al di là delle regole imposte dalla città , e che di ordinato hanno magari ben poco, spianando la strada al degrado e all’incuria senza memoria.
Iniziativa insomma che rinasce, quella che nel lontano 21 partìsempre da Caracas, e ha poi conquistato l’Europa, con mostre e seminari aFrancoforte, Barcellona, Lisbona, Marsiglia, Berlino, mentre alcune idee già fioccavano per centri del nostro Sud in crisi, da Napoli a Palermo. A Roma poi, stesso anno, l’apoteosi, con la vittoria dello “Smart Future Minds Award”, e il riconoscimento istituzionale di un modo che però di istituzionale sa ben poco, e con innovazione aiuta le comunità a riappropriarsi dello spazio pubblico.
Un paradigma originale, quello che la Liga aveva sviluppato in origine con il sociologo italiano Pasquale Passannate e l’architetto venezuelano Raphael Marchano. Oggi padri nobili di questa idea che cammina sul posto con le sue gambe, ma resta sempre (e soprattutto) un gioco collettivo. Un gioco che quindi mette in moto le energie di questi ragazzi, senza istruzione o prospettive di lavoro, e li aiuta a riconfigurare uno spazio pubblico rendendolo più loro, anzi di tutti. E non solo perchè “a tutti un pò”, in questo mosaico civico, ma perchè nel disegno autogestito, la relazione con la memoria e l’immaginario del quartiere diventa istintiva, immediata.
Ecco: fare memoria, ma guardando al futuro, entrando nel futuro. Restituire i luoghi alla loro bellezza originaria, ma con forme nuove, rinnovate, più adatte a come oggi siamo. E dovremmo cominciare ad essere. Con il contributo di tutti.