L’urgenza della riqualificazione
Ex aree industriali, tratte abbandonate dalla rete ferroviaria, territori minacciati da cementificazioni selvagge e patrimoni edilizi vuoti e di proprietà delle PA: questo il campo su cui giocare la partita della riqualificazione nel nostro Paese. Un terreno duro, durissimo da smuovere, quello del recupero delle aree dismesse, e dove quando avviene è spesso a senso unico: destinazioni residenziali, nuove strade e centri commerciali. Interventi che risolvono il degrado, ma a metà . Visto che il consumo di suolo è dietro l’angolo. Un fenomeno che in Italia,secondo alcune stime , avanza a un ritmo che, entro il 22, potrebbe raggiungere i 75 ettari al giorno. Ma quanto suolo si risparmierebbe se questi edifici vuoti o i campi degradati fossero recuperati e restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva.
Un problema, questo, sollevato anche in Europa, dove aggiungendosi ad altri fenomeni – vedi l’erosione, la desertificazione, il cambiamento climatico – la drastica riduzione e l’impoverimento del suolo danneggia soprattutto l’agricoltura, la produzione degli alimenti: tutti settori in cui i paesi mediterranei e l’Italia dovrebbero trovare la giusta linfa per risalire la china.
Conoscere per proporre: ecco la “Urban Exploration”
Ma questa partita, “come ogni partita, è fatta di più tempi”, scrissi in un articolo pubblicato pochi mesi fa sull’argomento. “E oltre l’ascolto, la partecipazione”, per i cittadini dovrebbe esserci più spazio operativo sull’argomento, cedendo il passo a un’effettiva sussidiarietà orizzontale. Per esempio attraverso uno screening delle aree degradate e inutilizzate. Se non altro per conoscerle, tastarle, sentire sulla propria pelle il peso di un tema che ancora non fa troppa breccia nel nostro quotidiano.
Allora prima di ogni proposta o progetto virtuoso di riconversione e riqualificazione del territorio elaborati in sinergia, sostenuti da comitati e associazioni, occorre che il primo bene da creare e tutelare sia la conoscenza. La conoscenza condivisa, diffusa e pubblica dei problemi. In questo caso dei territorio, i nostri territori.E un modo, tra i diversi, sta prendendo sempre più piede.
Quello degli gli urban explorer o esploratori urbani: se qualcuno ha visto il bel documentario di Melody Gilbert “Into the Darkness” del 27 ne ha già un ‘idea. Stiamo parlando di una vera e propria tribù moderna, in tutto il mondo, con un solo obiettivo: entrare in edifici abbandonati, città fantasma, tunnel metropolitani, aree in cui è vietato l’accesso ai non autorizzati, e non fare altro che scattare foto o fare riprese, lasciando tutto com’è, vuoi per curiosità o il brivido di un’occasione. O vuoi più spesso per una vera e propria missione civica. Il tutto per documentare ciò che è decadente, abbandonato, dimenticato. Forse troppo presto.
Esplorazione Urbana: una lunga storia
Nata in Francia – addirittura si pensa che il primo tentativo risalga al 1793 nelle catacombe di Parigi, ad opera dell’archeologo Philibert Aspairt – questa via interessante di studio del territorio, tutta a metà tra avventura, divertimento e scienza, si è diffusa soprattutto negli Stati Uniti, dalla seconda metà dell’Ottocento: New York, Boston, Chicago e Detroit…lìdove l’industria c’è, fa sentire la sua presenza, e lascia traccie non sempre positive, a lungo andare. Cosìil fenomeno è rimasto nei confini del capitalismo anglofono per molto tempo (anche Scozia e Australia), poi negli anni ‘9 la svolta. Anche perchè con l’apertura al mondo delle ex protagoniste del socialismo reale, ha preso piede in fretta il desidero di cambiare. Partendo da quanto c’era, ma apparteneva a logiche urbanistiche, abitative economiche ed industriali superate. Esperienza pilota quella di Vadim Mikhailov e del suo gruppo Underground Planet, dal 199, ma la rete offre mille esempi. Esempi che con la rete Internet, l’informatica e le tecnologie digitali possono però essere messi a sistema, e formare grandi banche dati condivise.
Lo “stato dell’arte” con Urbanexplorers.net e Skycrapercity
Il risultato è Urbanexplorers.net, creato nel marzo 1999, e dove si trovano non soltanto video e foto delle esplorazioni, ma anche qualche consiglio su come attrezzarsi e quali rischi evitare. Ma un’alternativa valida, sulla falsa riga del portale statunitense, può essere il forum mondiale Skycrapercity: nato ufficialmente l’11 settembre 22, con la fusione di alcuni forum e siti web preesistenti, promuove discussioni sullo stato di opere pubbliche e di paesaggi urbani in generale, con sondaggi e interventi che solleticano cittadini di diverse competenze, in alcuni casi molto molto approfondite, e cariche di spunti. Un catalogo di luoghi abbandonati lo si trova invece su Forbiddenplaces.net, mentre digitando la voce “Urban Explorers” su Google compaiono centinaia di siti tematici di associazioni del campo, oppure casi concreti attorno ai quali si costruisce un vero portale: consigliamo in italiano “Osservatorio Nomade” e “Derelicta.net”, semplici ma ben strutturati per chi vuole approfondire.
La materia è vasta, e in piena espansione. Spesso oltre non si è d’accordo su cosa sia davvero la Urban Exploration: importante in questo senso il libro ” Access all Areas – The Art of Urban Exploration ” , edito nel 24 dal canadese Jeff Chapman, in arte Ninjalicious, notissimo urban explorer canadese, che se ne andò lo stesso anno per una grave malattia. La linea che lui propone è trasversale, e risponde a tre obiettivi : 1) definire quali sono i luoghi abbandonati 2) capire come dialogano e si legano ad altri luoghi (abbandonati o meno) 3) capire come si lega a queste riflessioni la modifica di quel luogo e del suo contesto (il progetto architettonico).
Urban Exploration: prima risposta contro il consumo del suolo
Nessuno sa esattamente se si tratti di fotografia, arte civica, infiltrazione, archeologia post-moderna o altro, ma tutto può rientrare e contribuire alle tre direttrici descritte da Chapman. Si tratta in fondo di un modo per conoscere per capire il mondo, con vari strumenti, vari punti di vista.
Nel frattempo, secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_reference_report_212_2_soil.pdf) , tra il 199 e il 2 si sono persi 275 ettari di terreno agricolo al giorno a causa dell’urbanizzazione e della costruzione di nuove infrastrutture. Una media che fra il 2 e il 26 è salita del 3% a livello europeo, ma con punte fino al 15 per cento in alcune nazioni come Spagna, Irlanda e Cipro. Per questo motivo, serve limitare il consumo e provvedere a compensazioni ambientali.Quanto all’Italia, la superficie urbanizzata negli ultimi 5 anni è aumentata di quasi 6 mila ettari, e le nuove infrastrutture già programmate in base alla Legge Obiettivo del 21, se realizzate, porteranno via una parte dei terreni di ben 84 aree protette e 192 Siti di interesse comunitario.Siti che magari sono sotto il nostro naso, e potremmo contribuire a scoprire. Anzi, a riscoprire.