Il Paese uscirà  dalla crisi economica, ma, soprattutto, dalla crisi di fiducia in sé stesso, quando riuscirà  a dare ai cittadini le redini del governo e delle amministrazioni pubbliche

L’ipotesi che ha circolato in questi ultimi decenni è: la democrazia passa attraverso la sua rappresentanza, i partiti; quindi, senza i partiti non può esserci democrazia. La dimostrazione per assurdo, fatta propria in particolare dall’allievo di Parmenide, Zenone, riconosce la verità  di un asserto dimostrando la falsità  del suo opposto, non essendovi altre possibilità .

I tempi sono maturi

Invece, ormai ci siamo. I tempi sono maturi. Il lungo percorso avviato da Carlo Donolo e ripreso e innestato sull’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione da parte di Labsus, il laboratorio per la sussidiarietà  (orizzontale) sta gemmando e nel Bel Paese si sta affermando la convinzione che la democrazia italiana dovrà  ritrovare la forza per sopravvivere risalendo direttamente ai cittadini stessi.

Sarà  questione di anni, forse pochi, probabilmente alcuni, ma la strada che ci attende ormai è chiara. L’Italia è forte, ha delle risorse straordinarie (gli italiani e le famiglie italiane) e il Paese riuscirà  ad uscire dalla crisi economica, ma, soprattutto, dalla crisi di fiducia in sé stesso, quando riuscirà  a dare ai cittadini le redini del governo e delle amministrazioni pubbliche. Attraverso un’amministrazione condivisa e il pieno, radicale, sviluppo di quella meravigliosa parola utilizzata nell’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione: “favoriscono“. Le amministrazioni pubbliche «favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività  di interesse generale ».

La grande, lunga, marcia

Ripercorrendo le tappe di questo cammino possiamo partire dall’intuizione iniziale, quando Gregorio Arena, professore di diritto amministrativo a Trento, come presidente dell’Opera di Trento ha reso esplicito che il cittadino non è necessariamente un intralcio, la fonte di nuovi problemi, ma può essere un tesoro (e non solo perché le paga) per le amministrazioni pubbliche se, quest’ultime, si decidessero ad abbandonare il modello bipolare e aderissero convinte ed entusiaste al modello dell’amministrazione condivisa (Arena, 27).

E, per quanto questo sembri improbabile non dovremo attendere molto affinché questo accada; ci siamo vicino e la crisi economica aiuterà .

La società  moderna è ormai pronta, per uscire dalla crisi planetaria del modello di sviluppo consumistico, ad avviare forme continuative di collaborazione tra Stati e cittadini, basati sulla fiducia e sull’istinto sociale dell’umanità .

Occorre, innanzitutto, capovolgere il paradigma fondamentale che ha dominato il diritto amministrativo dell’Europa continentale negli ultimi duecento anni, quel paradigma definito da Sabino Cassese “bipolare”, secondo il quale spetta all’amministrazione pubblica prendersi cura dell’interesse generale, perché i privati, gli amministrati, sono per definizione egoisti (cioè chiusi nel proprio “particulare”) e incompetenti (cioè incapaci di occuparsi di ciò che esula dalla loro sfera immediata di interessi) (Arena, 26).  Un’idea dell’amministrazione pubblica figlia diretta dell’esplicita affermazione di Luigi XIV «Lo Stato sono io »; un’amministrazione pubblica, quindi, direttamente discendente, come organizzazione, finalità  e gestione delle relazioni, da quella sovrana, cioè del Re.

Amministrazione “reale” e democrazia rappresentativa garantita dai partiti politici sono derive della riproduzione di modelli organizzativi geneticamente manipolati, non originali. Il risultato è l’occupazione  ipso facto et manu militari delle amministrazioni pubbliche da parte dei partiti politici.

Dal verticale all’orizzontale

Applicando una visione geometrica potremmo asserire che è un problema cartesiano. Un passaggio dal modello delle ordinate a quello, più egualitario e solidale, delle ascisse.

Occorre accettare che cambia il ruolo dei poteri pubblici cosìcome sta cambiando quello del mercato.

Il tradizionale impianto verticale amministrazione – amministrato o, nel mercato, produttore – consumatore, oramai in crisi strutturale, si sta trasformando ineluttabilmente in uno orizzontale, più flessibile, meglio orientato ai bisogni effettivi dell’amministrato, che diventa cittadino; del consumatore che diventa prosumer, efficace crasi tra produttore e consumatore (Giglioni, 213).

Agire per il bene comune, in pratica

Torniamo al lungo percorso culturale che ha associato il concetto di bene comune a quello di interesse generale e al principio della sussidiarietà  e che ci mette di fronte al diritto di un Piano nazionale per la cura civica dei beni comuni.

In questi ultimi decenni sono da registrare alcuni passaggi culturali e operativi che val la pena ripercorrere:

  • l’intuizione del movimento Febbraio74 di lanciare la Cittadinanzattiva;
  • la rivalorizzazione del bene comune;
  • l’inserimento dell’ultimo comma nell’articolo 118 della Costituzione;
  • la messa a fuoco della centralità  dell’amministrazione condivisa contrappunto di quella bipolare;
  • la difesa del principio di sussidiarietà  avviata dal “Laboratorio per la sussidiarietà ” (LabSus);
  • la messa in luce del cittadino come “tesoro”;
  • la distinzione tra interesse generale e bene comune;
  • il confine sempre più labile tra il generico volontariato e la cittadinanza attiva;
  • la sussidiarietà  quotidiana che arruola milioni di eroi “della porta accanto”;
  • la “Scuola di manutenzione civica dei beni comuni” nei licei romani;
  • il “Laboratorio per la governance dei beni comuni” alla Luiss

sono alcune delle pietre miliari del percorso che ci portano alla “Città  come bene comune“.

Quest’ultimo progetto prevede, a Bologna, la realizzazione di tre laboratori: tre aree urbane in cui sperimentare forme strutturate di collaborazione tra amministrazione e cittadini nella cura degli spazi pubblici. L’individuazione delle aree, dei soggetti da coinvolgere, delle azioni di cura da condividere, nonché la risoluzione delle varie questioni giuridiche, di relazione e di comunicazione che la sperimentazione farà  emergere, costituiscono la preziosa materia da cui trarre gli spunti necessari per costruire le regole dell’amministrazione condivisa.

Un “Piano nazionale per la cura civica dei beni comuni”

Stiamo percorrendo, dunque, gli ultimi passaggi di una sequenza di attività , di una crescita di consapevolezza che ci legittimano a ritenere che i tempi sono maturi per lanciare la proposta di un “Piano nazionale per la cura civica dei beni comuni“.

Un “Piano nazionale per la cura civica dei beni comuni” potrebbe essere figlio dei nostri giorni per la maturazione giuridica dei concetti che lo legittimano, per il diritto dei cittadini ad avere strutture pubbliche evolute, per la rilevante riduzione dei costi che graverebbero sulle amministrazioni pubbliche, sui conti dello Stato e dei cittadini tutti, per il bisogno delle amministrazioni pubbliche di rigenerarsi e riposizionarsi.

Per poter parlare della diffusione di una cultura della governance dei beni comuni occorre ripartire dalla leva della “comunicazione pubblica”, intesa come politica pubblica centrata, da un lato, sulla diffusione della consapevolezza di una visione del mondo e, per l’altro lato, sulla creazione e sul governo delle reti di relazione e di interesse generale e sulla valorizzazione delle energie presenti nella società .

La proposta richiede la creazione di un “luogo” (Labsus ha parlato di una “Cabina di regia per la governance dei beni comuni“), i cui interlocutori principali dovranno essere le amministrazioni pubbliche e i cittadini e gli operatori impegnati quotidianamente nella trincea della ricerca di soluzioni condivise per la cura dei beni comuni (Iaione, 213).

Il Piano nazionale per la cura civica dei beni comuni va oltre, con il compito di svolgere una funzione di incentivazione della cura dei beni comuni, di promozione e sostegno delle buone pratiche, per  favorire il dialogo, lo scambio di competenze, informazioni ed esperienze tra tutti i soggetti interessati alla creazione di una concreta partnership tra istituzioni e comunità  per la protezione, il recupero, la manutenzione e la gestione dei beni comuni, con il fine di pianificare nel tempo e nello spazio finanziamenti, energie, interventi e metodologie organizzative ed amministrative.

Un Piano nazionale che potrà  trovare supporto solo sull’autorevolezza, e quindi sulla  credibilità , competenza e coerenza dei soggetti che lo redigeranno, perché un processo di relazione, di adesione volontaria, fondato sul senso comunitario e di responsabilità   di tutti i soggetti che ne fanno parte non potrà  mai ricorrere all’autorità  o ai decreti per avanzare ed attuarsi.

Saranno i primi passi di un’amministrazione condivisa che troverà  linfa vitale nella fiducia tra le parti, nella consapevolezza dell’obbiettivo, nell’istinto sociale dell’uomo.

Fonti

Carlo Donolo “Ancora sulla sussidiarietà  come bene comune

Christian Iaione “Una cabina di regia per la cura dei beni comuni

Gregorio Arena “Beni comuni, una proposta a Bersani e Monti

Gregorio Arena “Classe dirigente per promozione interesse generale cercasi…

Aristotele “I paradossi di Zenone” (in Fisica, libro Z, cap. IX, 239 b)