Quasi cinque milioni in Italia, possono essere nuovi beni comuni

"La scarsità  di risorse pubbliche penalizza la dimensione dei servizi. Quindi è molto utile che l ' ente pubblico si renda conto che ha risorse da socializzare" (Aldo Bonomi, Sociologo)

Poche settimane fa, ci siamo occupati di co-housing. E in tempi non sospetti siamo arrivati a una conclusione decisamente in linea con gli ultimi risultati Istat pubblicati a gennaio. Conclusione lineare ma anche amara, due gli aspetti centrali: la casa, per le nuove generazioni, e per le nuove famiglie, è un obiettivo di per sé insidioso volendo acquistarla (lo sottolineano i mutui in costante discesa dal 2011 secondo Eurisc, il centro studi specializzato nelle informazioni sul credito), ma anche per chi è proprietario la casa è tutt’altro che fonte di delizia, tra tasse che salgono, una disciplina degli sfratti confusa (il recente decreto Mille-proroghe ha rinviato gli sfratti per morosità  al giugno 2014, ma con le solite eccezioni), e valore immobiliare che scende. A questo proposito il prezzo delle abitazioni, acquistate dalle famiglie per fini abitativi o investimento, è calato nel terzo trimestre 2013 dell’1,2% rispetto al trimestre precedente. Mentre su base annua il calo è stato del 5,3%. Ci siamo allora domandati se condividere spazi e servizi sia davvero un anticorpo al problema abitativo, visto che un modello per noi assolutamente innovativo è già  realtà  di successo nel Nord Europa, da quasi trent’anni, una vera e propria svolta rispetto all’edilizia popolare o alla fiducia nella mano invisibile del mercato. La risposta è stata sì, anche perchè la cornice c’è già , o meglio ci sarebbe. E non solo per assicurare una casa a chi non può permettersela, ma anche per svolgere attività  artigianali, piccole start-up, o semplicemente attività   ludiche e formative.

I luoghi della riqualificazione urbana, oggi

Quale? Quella dei quasi cinque milioni appartamenti o edifici sfitti che prima Banca d’Italia e poi l’Istat hanno censito nel corso del 2013, un obiettivo storico se pensiamo che spesso, a livello territoriale, mancava non solo un elenco aggiornato, ma addirittura una stima approssimativa. Ecco allora che nelle nostre città , il cui mercato degli affitti è storicamente dopato da vari fattori (dalla lobby dei costruttori, alle sedi universitarie) impressiona il deserto di unità  familiari di molti quartieri. Tutto un tesoro di strutture danneggiate, pubbliche e private; seconde case sfitte; ex caserme; zone industrializzate fatiscenti; capannoni in via di smantellamento: un tesoro che, stando ai numeri ufficiali e non, conta a Torino e hinterland più di un centinaio di costruzioni non utilizzate, 880mila uffici sfitti a Milano, “solo” 200mila a Roma.

Dove la riqualificazione è (e può essere) realtà 

Dunque un tesoro, che però va preparato, organizzato, arricchito del contributo dei cittadini per diventare bene comune, lasciando la condizione di spazio semidistrutto, snaturato, abbandonato a sé stesso. Le iniziative in circolazione non mancano, l’Huffington Post ce ne offre una stupenda rassegna: nella Capitale, l’ex mattatoio del quartiere di Testaccio è divenuto da parecchi anni uno spazio polivalente sede della Città  dell’Altra Economia, del MACRO, il Museo d’arte contemporanea di Roma, della Facoltà  di Architettura di Roma Tre e del Villaggio Globale, uno dei più famosi centri sociali romani. Ma non solo: l’VII municipio Ostiense è ad oggi un vero e proprio laboratorio di riqualificazione partecipata e di riappropriazione degli spazi, e alcuni edifici sono stati anche rivendicati da movimenti di lotta per la casa, centri sociali, organizzazioni autonome, persino semplici muri sono protagonisti, come nel caso dell’italiano Blu, uno dei migliori street-art contemporanei. Salendo invece di latitudine, davvero originale e apprezzabile l’iniziativa con la quale il Comune di Milano ha offerto gratis a cittadini e associazioni 1200 spazi di edilizia pubblica e un centinaio di edifici perché diventino luoghi di aggregazione o di attività  commerciali, il tutto a canone agevolato.

Il futuro? In tre azioni efficaci: realizzare per tutti i Comuni d’Italia un censimento degli spazi e dei beni disponibili, ascoltare le associazioni per valutare il possibile uso sociale di tali beni, incaricare una cabina di regia per garantire un approccio di sistema, pratico e trasparente, per la loro valorizzazione.