I minori con cittadinanza straniera regolarmente residenti in Italia ammontano a circa un milione. Si tratta di ragazzi nati in Italia o arrivati con i propri genitori in età prescolare. Nell’anno scolastico 2011/2012 ammontavano a 755.939 (+45.676 rispetto all’anno precedente, con una crescita particolarmente significativa degli iscritti alle scuole dell’infanzia), corrispondenti all’8,4% della popolazione scolastica totale. Le stime relative all’a.s. 2013/2014 danno questa cifra in ulteriore crescita.
La percentuale dei nati in Italia tra gli stranieri presenti nelle scuole dell’infanzia è pari all’80,4 percento; interessante anche la percentuale dei nati in Italia tra gli stranieri al quinto anno delle secondarie II grado (7,2 percento): costoro infatti sono vicini al compimento della maggiore età .
Domani in Italia i ragazzi di seconda generazione che hanno raggiunto la maggiore età e non sono riusciti ad ottenere la cittadinanza, non potranno votare per le elezioni europee (come d’altro canto non possono votare per quelle nazionali).
Le seconde generazioni e la legge sulla cittadinanza in Italia
In Italia infatti vige lo ius sanguinis, in base al quale acquisisce la cittadinanza italiana chiunque abbia almeno un genitore italiano. Pertanto per tutti coloro che hanno entrambi i genitori stranieri si apre un percorso lungo e complicato, che di fatto relega le seconde generazioni in una terra di nessuno dalla quale è molto difficile uscire.
Se infatti, in base alla Legge n. 91 del 1992 che regola l’accesso alla cittadinanza, qualche soluzione è individuata per i nati in Italia da genitori non italiani, nessun percorso specifico è previsto per i figli di immigrati non nati in Italia, i quali possono solo seguire i canali di accesso alla cittadinanza disponibili per i loro genitori: quindi per residenza (10 anni più la dimostrazione di un reddito minimo, requisito discrezionale ma spesso applicato e non facile da possedere al compimento della maggiore età ) o per matrimonio con cittadino/a italiano/a.
La scarsa informazione chiude il cerchio di un percorso che evidentemente non si vuole facilitare, come dicevamo già nel 2009.
Il diritto di essere europei
Le elezioni europee sono uno degli appuntamenti che fanno emergere tutta l’inadeguatezza di una legge sulla cittadinanza che esclude di fatto dal godimento dei diritti politici una porzione della società italiana. Il dibattito politico ha spesso strumentalizzato questa questione che, al contrario costituisce un segno di civiltà e sulla quale lo stesso Presidente della Repubblica ha in più di un’occasione richiamato l’attenzione. La riforma della legge sulla cittadinanza non implica il concedere la cittadinanza a chiunque sbarchi sul territorio italiano e nemmeno necessariamente a chiunque nasca sul territorio italiano (esistono diversi modelli di ius soli temperato), ma di riconoscerla a chi di fatto cittadino italiano lo è da anni, per aver frequentato in Italia la scuola, l’Università e per avere costruito qui la sua rete di relazioni, spesso senza alcun legame con il paese d’origine.
I differenti percorsi che segnano l’acquisizione della cittadinanza nei diversi paesi europei si ripercuotono sulla cittadinanza europea, disegnando una geografia dei diritti ad andamento variabile. Questo comporterebbe l’individuazione di un criterio nuovo per la stessa acquisizione della cittadinanza europea ( ” è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro ” ), svincolandola di fatto dall’appartenenza ad uno stato-nazione e ripartendo da una cittadinanza di residenza, maggiormente inclusiva e rispettosa dei diritti di tutti.
A fronte del temuto astensionismo, domani ci sono persone che non voteranno perché non ne hanno il diritto. Domani votiamo anche per loro e per il loro diritto di essere europei!
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