Le parole chiave scelte da Montanari non sono solo quelle facilmente ricollegabili al settore culturale: ambiente, bene comune, musei… Sono anche parole che contraddistinguono concetti: conoscenza, educazione, humanitas, narrazione, uguaglianza, verità … Sono anche parole connotate da una presa di posizione su tematiche sociali: diritti e doveri, ius soli, lavoro, ricerca… Sono anche parole che parlano delle esigenze materiali della vita: finanziamenti, periferie, quotidiano…
Montanari vuole coniugare cultura e vita concreta, patrimonio culturale e cittadinanza. La cultura è il punto di partenza per fondare una nuova mentalità che si distacca dal consumismo e dal materialismo. Far vivere nuovamente i valori, dare piena applicazione alla Costituzione, invitare ad un impegno personale avente come fine la partecipazione alla comunità -stato: è questa la volontà che sorregge i pensieri dell’autore. Gli esempi di malcostume riportati sono concreti; fattibili le proposte ed i suggerimenti di miglioramento. All’apparenza, parrebbe che Montanari professi un’ortodossia culturale difficilmente applicabile alla realtà : egli stesso riferisce di essere stato accusato di essere a suo modo un talebano, un integralista nella difesa del patrimonio culturale. Secondo la sua visione, è necessario evitare che la gente sia deviata verso una cultura superficiale: eventi legati al marketing, mostre di gran richiamo ma di pochi contenuti, usi del simbolo culturale a fini propagandistici sono alterazioni di quel messaggio che il patrimonio culturale è in grado di trasmettere.
Piuttosto che una cultura fuorviante, è meglio il nulla! Questo trapela dalle idee di Montanari. Si può essere concordi sulla preferibilità di una cultura che adempia appieno al suo fine di trasmissione di valori, consapevole testimone di una verità storica in grado di portare insegnamenti ai nostri giorni. Ma combattere quelle che sono descritte come mere versioni mercificate potrà davvero rendere automaticamente onore al nostro patrimonio culturale o rischia di allontanare definitivamente la cultura da coloro che riescono a digerirla solamente in salsa pop e consumistica? L’autore insiste sulla portata democratica del nostro patrimonio culturale contro una visione oligarchica per pochi ristretti, ma un’educazione al bello e alle radici che coinvolga la totalità della popolazione richiede quell’auspicato passaggio di mentalità da un uomo totalmente concentrato all’accumulo ed al denaro, ad un uomo virtuoso in grado di riflettere sul significato della propria esistenza. Nell’attesa che questo salto di qualità avvenga, il male minore, rispetto ad un vuoto totale, forse è quell’assaggio di cultura che è possibile ricavare da eventi forzatamente legati al marketing.
L’obiettivo dell’autore non è barricarsi in una torre d’avorio, bensìrendere ogni cittadino partecipe di quel patrimonio italiano che non si respira soltanto visitando un museo, ma soprattutto camminando per la strada e vedendo i monumenti, le chiese, i palazzi, i reperti. Gli italiani devono essere educati a saper vedere quello che li circonda perché, come vien detto con un’elegante similitudine, mentre ” in America l’arte del passato è una rarissima mela conservata nel congelatore di lusso che è il museo, in Italia, invece, è una mela viva, attaccata al ramo del suo albero ” . Il tessuto culturale italiano deve essere percepito come una proprietà collettiva di cui tutti i cittadini possano dirsi partecipi: solo in questo modo si può dare piena attuazione al dettato costituzionale che, all’articolo 9, affida al patrimonio storico ed artistico un compito educativo in conoscenza e formativo in cittadinanza.
LEGGI ANCHE:
- Le pietre e il popolo. Come restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane?
- Arte, paesaggio e ambiente vittime dell’incompiutezza della Costituzione
- La cultura come un bene comune