Il 14 ottobre scorso il Cinema Impero ha ricominciato a ” respirare ” dopo 38 anni di serrata. Un’area di ottanta metri quadrati posta nella ” torre ” , la facciata dell’edificio, che ristrutturata a spese della proprietà vedrà ospitato uno spazio di formazione per arti performative, teatrali e circensi. Un piccolo passo rispetto alla superficie e alla volumetria totale dell’edificio, un gigante di oltre 2 mila metri quadrati. Ma questo è stato sufficiente a dare ulteriore energia alle tante associazioni supportate da centinaia di cittadini che hanno dimostrato, con numerose iniziative consultive e partecipative, tutto il loro interesse alla riqualificazione di quest’area.
Abbiamo ripercorso con Claudio Gnessi, fra i principali animatori e coordinatori dell’esperienza partecipativa CantiereImpero, le tappe più importanti raggiunte e le (molte) azioni ancora da fare per restituire ai cittadini romani questo luogo-simbolo del quartiere di Torpignattara.
Come nasce l’idea di riqualificazione e come mai è stato scelto proprio l’edificio del Cinema Impero?
Incomincio dal perché della scelta: il Cinema Impero è percepito, nel quartiere, al pari della scuola Pisacane e del Parco Sangalli, come un simbolo stesso del quartiere. Tutti e tre questi simboli sono stati, nel corso del tempo, per una serie di questioni legate a mutamenti generazionali nel quartiere, al flusso di cittadini migranti, alla dimenticanza delle istituzioni, marginalizzati. Sono diventati, pur essendo al centro del quartiere, delle periferie dello stesso. Il Cinema Impero, da quando fu chiuso, nel 1976, è rimasto un fantasma urbano e si è auto-marginalizzato dal tessuto urbano. Noi del Comitato di Quartiere abbiamo sempre attivato dei processi di riacquisizione degli spazi marginalizzati. Per questo motivo abbiamo fatto gli interventi di adozione delle aiuole, interventi, come quello che stiamo facendo adesso con ” Karawan ” , andando a mettere cinematografia e spettacoli di intrattenimento in un posto abbandonato come la sala consiliare; o il mercato Laparelli, o ancora gli interventi di pulizia del Parco Sangalli. Recupero della marginalità , perché marginalizzare ciò che è simbolico significa perdita dell’identità del quartiere, frammentazione del suo tessuto sociale e dunque marginalizzazione del quartiere stesso. Se il simbolo si marginalizza il quartiere gli va dietro.
Come si è articolato il percorso partecipativo?
Nel 2007, attraverso una prima raccolta firme, abbiamo incominciato a ragionare sul Cinema Impero, ma all’epoca l’iniziativa non ebbe un grande seguito. Poi, nel 2011, abbiamo ripreso in mano il progetto e la raccolta firme, ma abbiamo proposto alla gente un modello diverso, fondato sulla riapertura del cinema come presupposto di base, e la sua trasformazione in un centro di produzione culturale, e, terzo punto, laboratori di progettazione partecipata come strumento per decidere. Anche la raccolta firme, non è stata effettuata attraverso il classico metodo del banchetto, ma abbiamo attivato gli stessi cittadini, consegnando loro un modulo e chiedendo di fotocopiarlo e farsi carico della distribuzione e della raccolta, trasformandoli in veri e propri ” cacciatori di firme ” . Le persone, dai ” nativi ” ai nuovi residenti di qualsiasi nazionalità , hanno partecipato di buon grado, permettendo di raccogliere, nell’arco di 4 mesi, 4 mila firme. Da qui è incominciato il secondo passaggio: una modalità di partecipazione che fonda diversi livelli di democrazia diretta, a partire da sondaggi che rilevassero i desideri, i sogni, che le persone avevano circa la destinazione d’uso di quello spazio. Abbiamo cosìraccolto 600 questionari, con risposte che andavano dal parcheggio multipiano al centro culturale polifunzionale, con tutte le possibili sfumature fra i due estremi. Il risultato è stato che circa 500 risposte su 600 si indirizzavano verso il centro culturale polifunzionale.
Questo è stato il punto di partenza per l’organizzazione di tavoli partecipati con rappresentanti delle associazioni di zona con cui abbiamo definito un primo perimetro operativo. Il primo punto era che la proprietà continuava a essere privata, a meno di un’operazione di esproprio con compensazione da parte del Comune. Ma questa è una faccenda fra proprietà e istituzione, e a noi non interessa fare una battaglia sulla proprietà del cinema. A noi interessa che il cinema riapra. Se poi dovesse riaprire come edificio pubblico tanto meglio! L’importante è che quello spazio non rimanga chiuso. Secondo punto: destinazione d’uso culturale. Deve essere un luogo in cui si produce e si fruisce cultura. Terzo punto: estensione della partecipazione. Quarto punto: partecipazione agli eventuali tavoli di progettazione che sarebbero seguiti alla raccolta firme, con proprietà , istituzioni e attori che avrebbero voluto far parte della partita.
Cosìsi giunge ai laboratori partecipati…
Sì, nell’aprile del 2013 siamo partiti con il laboratorio partecipato ortodosso, diciamo, secondo i canoni formali. Dico sempre che prima di questo passo, abbiamo compiuto un lavoro etnografico, prima ancora che antropologico; abbiamo prima lavorato con la gente, poi abbiamo sollevato il dato per modellizzarlo in una maniera puntuale. Ai laboratori hanno partecipato circa 1000 persone, e 32 fra associazioni e piccole imprese culturali locali, e abbiamo invitato diversi portatori di competenze: un esperto di teatro, uno di cinema, uno di finanziamenti europei, un esperto di urbanistica, uno di architettura sostenibile, il presidente del municipio e l’assessore municipale ai lavori pubblici. Abbiamo partecipato ai laboratori ponendo domande: come finanziare il progetto? Cosa farci dentro? Come riprogettarlo? Chi deve operarci dentro? Come animarlo? Abbiamo definito una serie di questioni, le abbiamo analizzate, abbiamo scritto assieme ai partecipanti le varianti di risposta, ma soprattutto abbiamo messo a fuoco le questioni. A marzo abbiamo chiuso il laboratorio e abbiamo presentato i risultati, che erano sostanzialmente le risposte alle cinque domande con cui eravamo partiti, con tutti i contenuti ben definiti e strutturati, gli obiettivi e l’analisi dei bisogni che parallelamente avevamo fatto. Abbiamo quindi affidato tutta questa documentazione a un gruppo di cittadini che si erano fatti avanti nel corso del laboratorio di progettazione per stendere le linee guida. Lo sottolineo perché neanche noi del coordinamento dei laboratori abbiamo steso le linee guida, ma abbiamo delegato quei cittadini che si erano volontariamente offerti. Noi non abbiamo fatto altro che metterle in ” bella copia ” una volta stese, e pubblicarle sul nostro blog, inviandole contemporaneamente a Comune, Municipio e proprietà . Una cosa importante che mi preme inoltre sottolineare è che il progetto lo abbiamo fatto in stretta collaborazione con l’università La Sapienza, con il Corso di Project Management del professor Silvano Curcio. Lo sottolineo perché questi ragazzi hanno praticamente tenuto i loro esami del corso occupandosi del Cinema Impero e del Laboratorio di Progettazione Partecipata. Addirittura alcuni studenti si sono laureati scrivendo una tesi sul Laboratorio, e uno di questi ha sviluppato tre progetti, tre varianti, in accordo con le linee guida deliberate dal laboratorio. L’ultimo passo è stato di richiamare nuovamente attorno a un tavolo le istituzioni e la proprietà per decidere assieme la road map degli interventi.
A che punto è il percorso oggi?
Il proprietario ha fatto un investimento immediato, conforme al progetto partecipato e confortato dal via libera dell’amministrazione, ha deciso di investire una somma per ristrutturare le prime tre aule, ciascuna su un piano, gestite da lui, attraverso la sua associazione, e ospitarvi, rispettivamente, danza, recitazione e arti circensi. Fare dunque formazione artistica. Guardando le linee guida e confrontandole con quanto messo in cantiere, noi siamo stati soddisfatti, proprio perché le attività rientrano in quella dimensione culturale che richiedevamo fin dall’inizio per quello spazio. La presentazione ufficiale è stata fatta lo scorso 16 ottobre. Per ora abbiamo ” aperto ” i primi tre piani, ma ora dobbiamo cercare di recuperare quei ” tre ettari ” , come li chiamiamo noi, corrispondenti al retro dell’edificio, che vanno rifunzionalizzati secondo le linee guida del progetto. Nel frattempo però è cambiato l’assessore alla cultura. A Flavia Barca è subentrata la Marinelli, che ha deciso di cambiare strada rispetto alla questione dei cinema chiusi creando un tavolo permanente in cui tutti gli assessorati coinvolti – attività produttive, urbanistica, cultura, lavori pubblici – lavorano assieme per analizzare i vari dossier. I primi due giunti all’analisi sono stati quello del Cinema America e noi, del Cinema Impero.
Quali le tempistiche per una riqualificazione dell’intero edificio?
Dal nostro punto di vista la partita è tutta politica, nel senso che il comune deve essere in grado di dimostrare che su simili questioni ha volontà di agire, e per farlo deve cominciare a ragionare col privato, dicendo che non è possibile erogare direttamente fondi, ma i fondi possono essere recuperati costituendo, ad esempio, una società di trasformazione urbana, con cui riqualificare il cinema secondo le linee guida elaborate dalla realtà civica. Noi la visione civica ce l’abbiamo messa…ora toccherebbe al politico farsi carico del progetto prevedendo una tempistica adeguata per darne esecuzione. Sappiamo che i tempi non sono brevi, sappiamo che non è possibile che il Cinema Impero sia completamente fruibile domani, perché il percorso è lungo, si parte aprendo tre sale perché il privato ha messo dei fondi di tasca sua, però non ci possiamo fermare lì, perché altrimenti ci staremmo prendendo in giro. L’apertura di queste tre sale è stato un momento importante, un bel passo, una pietra angolare, ma il cinema non ha riaperto! Quello è un punto di partenza, non d’arrivo!
Quali effetti ha prodotto il percorso partecipativo oltre alla definizione di queste linee guida?
Gli effetti ” indiretti ” sono stati, innanzi tutto, quello di scoprire una comunità molto ampia di cittadini interessati a partecipare attivamente alla riqualificazione del quartiere, a tutti i livelli: dal Cinema Impero alle aiule nei giardini e lungo i viali! Il Cinema Impero ha avuto una visibilità tale, sia nel quartiere che, più in generale, nell’area urbana, una tale risonanza, anche grazie all’essere stato annoverato come un caso di best practice dalla Sapienza e dal Forum PA…insomma, la gente ha percepito l’importanza di questo percorso e ha iniziato a realizzare che la possibilità di poter lavorare in prima persona per trovare delle soluzioni a problemi del quartiere esisteva concretamente. Poi c’è stato l’effetto di ricreare un ” orgoglio ” nei cittadini della zona che si affaccia sul Cinema Impero, perché essendo stati coinvolti nella riprogettazione e nei momenti mediatici, con interviste, video…tirati dentro in questo modo, si sono sentiti parte in causa del processo. Infine, dal mio punto di vista, c’è stato un ulteriore effetto positivo: il quartiere è emerso ” mediaticamente ” , come un’area capace di farsi carico dei propri problemi. Torpignattara non è solo il quartiere dove ci sono tante cose che non vanno, non è solo la semiperiferia dove sussistono criticità irrisolte perché non c’è stata nessuna pianificazione per, ad esempio, l’integrazione fra le diverse culture, e non esistono interventi se non portati avanti da realtà associative, che ad esempio offrono corsi di formazione per insegnare l’italiano ai migranti…Quello quindi che è emerso grazie al percorso del Cinema Impero è che Torpignattara è un quartiere che sa come farsi carico, attraverso il suo consistente tessuto associativo, dei propri problemi. Magari non in modo sempre lineare, magari con contraddizioni, ma tenta di risolvere i propri problemi. E’ un messaggio molto forte che è stato anche, per cosìdire, un’eco per altri comitati.Se una realtà civica si ferma alla fase di ” denuncia ” ma non opera per trovare delle soluzioni, rimane una realtà civica di rivendicazione, di lotta, ma non contribuisce alla soluzione del disagio. Per farlo deve trasformarsi in una realtà proattiva!
Non più fantasma, non ancora bene comune
Il Cinema Impero ha una storia lunga, incominciata negli anni Trenta con la sua costruzione per opera dell’architetto Mario Messina. Esempio di razionalismo architettonico, ma anche progetto ” gemello ” di un edificio tuttora in funzione ad Asmara, capitale dell’Eritrea. Chiuso nel 1976, il cinema si è a poco a poco trasformato in un ” agente ” di degrado, con ricadute forti per il tessuto sociale del quartiere e l’immagine che lo stesso proietta all’esterno. Con un processo incominciato sette anni fa, il Comitato di Quartiere ha intrapreso un percorso di proposta più che di protesta, iniziando a dar forma a un’opinione pubblica locale, informando i cittadini circa ” quell’edificio abbandonato a via dell’acqua bulicante ” ; un percorso lento che ha scavato, seminato, e raccolto cooperazione, rilanciato attivismo associativo e individuale, risvegliato coscienza civica e legami di appartenenza a un territorio con una specifica connotazione storica e culturale (sono i luoghi di Pier Paolo Pasolini e gli scorci di indimenticabili inquadrature nelle pellicole di Alberto Sordi), ma anche attraversato da profondi mutamenti del suo tessuto sociale grazie all’arrivo di nuove comunità etno-culturali.
La partecipazione ha decretato funzioni tutte orientate alla produzione e fruizione culturale, senza dimenticare la sostenibilità del progetto. Lo strumento ha dunque prodotto non solo uno ” scenario progettuale ” con cui intraprendere un dialogo con la proprietà e l’amministrazione pubblica, ma soprattutto l’attivazione e la diffusione di un coinvolgimento cittadino che si è tradotto in festival multiculturali, azioni di guerrilla gardening, mercatini di prodotti a chilometro zero, facilitazione per ” incursioni ” di urban art, e altre azioni civiche sussidiarie all’intervento amministrativo e generatrici di spirito civico.
In conclusione, un ” Impero ” come simbolo di partecipazione e coesione sociale.
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