La memoria collettiva è un bene comune immateriale, di cui tutti dobbiamo prenderci cura, perché da essa dipende la qualità  del nostro futuro

Coloro che si impegnano per dare peso e senso alla “Giornata della Memoria” sanno che devono fare i conti con spinte di varia origine a favore dell’oblio. A Roma la terza edizione di una cena per raccogliere fondi (promossa da Eataly con l’associazione Terra del Fuoco, che porta ragazzi di scuole italiane a Auschwitz per vedere i campi di sterminio) è stata annullata per mancanza di adesioni. “Forse si preferisce dimenticare” ha detto amaramente il presidente di Terra del Fuoco (Corriere della Sera, 13 gennaio 2015, cronaca di Roma). In realtà  negli anni hanno lavorato alla “rimozione” anche inconfessabili scelte politiche: si scopre ora dopo settant’anni un documentario didattico sui campi di concentramento, che originariamente avrebbe dovuto “ricordare ai tedeschi quello che volevano non vedere”, richiesto al tempo a un molto motivato Alfred Hitchcock: lavoro che fu poi abbandonato in un archivio di Londra, per favorire l’integrazione anticomunista della Germania nella Guerra Fredda.

La vergognosa tendenza negazionista

Tra le conseguenze di questo nascondimento il sorgere negli anni in Germania, e non solo, della vergognosa tendenza “negazionista” circa la vicenda stessa della Shoah. La questione connessa al celebrare una giornata della Memoria così si precisa: non pone genericamente una questione di metodo (conoscere la verità, per non ripetere la storia), ma esige che l’apprendimento storico  sia considerato irreversibile fondamento di una opposta scelta di civiltà. L’antisemitismo e il precipitare nella guerra mondiale sono parte di un’unica vicenda di distruzione del Novecento, che ancor oggi atterrisce.
Chi nega la dignità  dell’essere umano non promuove la propria appartenenza a una qualche “razza superiore”, ma toglie ogni limite agli orrori possibili e degrada se stesso. Con l’Olocausto dello storico “capro espiatorio” ebreo la Germania, l’Italia, l’Europa tutta cessarono d’essere luoghi di civiltà, l’umanità  si ridusse a presenze ferine. Chi “non volle sapere” che effettiva sorte toccasse ai perseguitati non salvò se stesso. Thomas Mann ha denunciato che non c’era stata “un’altra Germania”, il nazismo aveva avuto anche il consenso tacito di tutti quelli che comunque credevano al destino dei tedeschi “uberalles”. La giornata della Memoria serve a tener fermo questo contenuto determinato: non c’è una civiltà  che s’afferma su altra, se si negano i fondamenti comuni dell’essere umano.

La solidarietà  umana si costruisce nella storia

Dobbiamo vedere quanto questo punto fermo sia necessario ancor oggi. Per tutti. Prendere pretesto da una vignetta satirica per ammazzare persone non è esaltazione di un proprio dio, è la negazione dell’esistenza di quel dio. Come le principali religioni sono monoteiste, così il bene dell’umanità  è indivisibile: se rispettiamo la vita, la rispettiamo in ciascun individuo e allo stesso tempo attribuiamo alla parola umanità  un valore processuale, non meccanicamente progressivo. L’umanizzazione è un cammino storico in corso di sviluppo: una   possibilità  per cui lottare, non un esito scontato di premesse di valore da tutti condivise. Il legame di ciascuno con chiunque altro è una “utopia necessaria” ha scritto di recente Stefano Rodotà: la solidarietà  umana si costruisce nella storia, assumendo un modello normativo esigente e aperto. Alla base di questa scelta sta l’idea che, dopo l’Olocausto, “mai più si può consentire che popoli e nazioni tornino a guerre, stermini, atrocità  dell’uomo sull’uomo”.
Dichiarazioni solenni, come la Carta dell’ONU e poi quella dei diritti umani hanno segnato uno spartiacque irreversibile, un’altra storia da allora è invocata, pretesa, possibile. Ma bisogna produrla ogni giorno. La memoria, di ciò che non deve più essere, è il fondamento del nuovo. E’ un bene comune dell’umanità. Prima, umanità  non c’era. Ora, con la cura gelosa di questo bene, si custodisce un seme. La solidarietà  umana può svolgersi, può dare frutti. Far valere principi e pari dignità. Tradurre in presenze e valori operanti quello che per miliardi di uomini era – ed è – ancora speranza.

I doveri morali delle religioni

Una rotazione completa di significati è avvenuta con la “discontinuità” storica attraverso cui la utopia dell’Umanità  ha preso forma. Andrè Chouraqui, biblista algerino di fama internazionale, nel 2001 pubblicò un libro bellissimo sui Dieci Comandamenti. I doveri dell’uomo nelle tre religioni di Abramo (trad. it. Mondadori), offrendo una lettura trasversale e unitaria delle dieci Parole che scorrono in tutte e tre le religioni abramitiche, quella ebraica, quella cristiana e quella dell’islam. Egli chiamava i Comandamenti dichiarazione universale dei doveri dell’uomo e sottolineava che c’erano voluti tre millenni per arrivare ad un’analoga dichiarazione universale dei diritti, proclamata appunto dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948. Come chiarì René Cassin, uno dei principali estensori della Carta dei diritti – presidente dell’Alleanza israelitica universale con cui Chouraqui collaborò per trent’anni – nelle intenzioni la Carta era un decalogo laico. Ci si era sforzati di “tradurre” in positivo i doveri morali delle religioni: non era più Dio a dare comandi, ma gli uomini stessi a proclamare come diritti e regole delle proprie organizzazioni politiche e sociali, i fondamenti per cui la divinità  li costituiva appunto come soggetti responsabili. Con l’Olocausto, s’era capito che l’uomo deve restituire valore all’uomo nella storia: attraverso la Dichiarazione l’umanità  per la prima volta appariva soggetto unitario. La parola di Dio poteva e doveva essere tradotta in parola dell’uomo.

Memoria bene comune: una nuova Storia

Gli amanti del “vivere tranquilli” s’illudono che serva   a qualcosa velare, attenuare, rimuovere la memoria di questa tragica responsabilità  di tutti nel presente. Ignoranza e arroganza fanno strada insieme: l’America di George W. Bush ha riproposto l’idea di “guerra giusta” , ha usato le armi per imporre il proprio modello di democrazia. Odio e violenze terribili si sono moltiplicati, imprenditori della morte si sono serviti anche dei sentimenti religiosi. Le profonde vie della ragione, che avevano portato l’Assemblea dell’ONU a osare di fare del decalogo di Mosè la lingua nuova dei diritti dell’uomo, devono essere ritrovate. Ma è con la Memoria che la culla comune delle tre religioni monoteiste riemerge, riemergono le ragioni universali per cui nessun popolo può disconoscere il diritto dell’altro. I significati subiscono rotazioni impensate: i doveri sono anche diritti dell’uomo. Quando i popoli lo capiscono, comincia una nuova Storia. La complessità  e la profondità  delle ragioni che fanno del diritto alla dignità  di ogni persona un valore fondante sono riassumibili in una sola espressione: bene comune dell’umanità  è questa “memoria”, è con tale Memoria infatti che l’Umanità  comincia a esistere.

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