Stefano Consiglio, coordinatore del corso di studi in Organizzazione e Gestione del Patrimonio Culturale e Ambientale dell’Università Federico II di Napoli, apre il libro con una lucida trattazione sull’attuale situazione del patrimonio culturale delle regioni meridionali dell’Italia. Solo per avere un’idea più precisa di ciò di cui stiamo parlando basta citare il fatto che nelle regioni meridionali sono presenti siti culturali pari al 48% del patrimonio nazionale, il 30% dei 49 siti Unesco italiani e 14 dei parchi nazionali su un totale di 24. All’abbondanza dei siti e delle ricchezze si contrappone un modello gestionale inadeguato, di stampo conservativo, imbalsamato nella burocrazia e non capace di leggere correttamente la reale conformazione del patrimonio presente, un patrimonio certamente di difficile gestione. Consiglio afferma infatti che ” la possibilità di valorizzare un sito è spesso connessa alla particolarità ed esclusività di quel luogo ” . In Italia in un’area geografica limitata ci sono decine se non centinaia di siti con caratteristiche simili, per questo il compito diventa più arduo. Nel solo centro storico di Napoli sono più di 200 le chiese abbandonate. Inoltre il patrimonio culturale italiano ha un’elevata varietà , beni di epoche diverse, di valore diverso e di civiltà diverse si trovano insieme, uno accanto all’atro, sovrapposti e intersecati. Questo patrimonio poi è composito, musei, biblioteche, archivi, siti archeologici che richiedono competenze e conoscenze diverse. Infine il patrimonio italiano è diffuso sul territorio, frammentato e fortemente legato alle realtà territoriali. Si può affermare che in tutti i comuni c’è almeno qualche traccia del patrimonio culturale italiano. Al contempo però sappiamo che 1650 comuni italiani, prevalentemente situati nelle zone interne e montane del sud, potranno definirsi già il prossimo anno Ghost Town. Le politiche pubbliche oggi sono ancora molto orientate ai «grandi attrattori culturali » che si ispirano a modelli gestionali centralizzati. La strada sembra invece cominciare a riconoscere che le soluzioni per il rilancio dei territori devono partire dal basso, ossia dall’ascolto e dal coinvolgimento dei cittadini.
Avventure di innovazione
Ed ecco in risposta alla difficile situazione in cui versa il nostro patrimonio, 11 ” storie di innovazione spontanea e necessaria ” , dove cittadini appassionati hanno dato una risposta culturale al disagio sociale, al bisogno di comunità , alla ricerca di condivisione e aggregazione, alla necessità di sviluppo. Sono storie di turismo sostenibile e responsabile, come quella nata in Sicilia da Addiopizzo Travel, che propone un turismo che rifiuta di pagare il pizzo e vuole raccontare una terra che cerca riscatto dalla mafia. Sono storie di tenacia e speranza, come quella di Don Giuseppe Rassello e dei ragazzi della cooperativa La Paranza che decidono di valorizzare tutta l’area storica artistica del Rione Sanità – in particolare le catacombe di San Gennaro e San Gaudioso, creando lavoro per giovani locali. Sono storie di collaborazione e solidarietà , come Lìberos, una piattaforma di collaborazione virtuale e reale che unisce gli operatori della filiera del libro in Sardegna.
Cosa hanno in comune queste e altre esperienze? Nascono tutte dal bisogno sociale di gestire e dare valore, nel senso più profondo del termine, al patrimonio culturale diffuso sul nostro territorio, minacciato dal degrado e dall’abbandono. Questa necessità porta i cittadini da semplici fruitori a diventare attori e protagonisti del processo di innovazione. Le storie raccontate in Sud Innovation sono storie che arrivano dai margini, nessuno dei casi analizzati è nato all’interno di processi avviati come quello dei distretti culturali, e molto spesso come raccontato dagli autori, ha trovato davanti a sé un PA ostile e non pronta a rispondere con strumenti nuovi alle problematiche presenti nella realizzazione di questi progetti di frontiera. Un’altra caratteristica che li accomuna tutti è la volontà di non andare via e di rimanere per fare qualcosa per la propria comunità di origine, cercando di rispettare i valori di sostenibilità sociale, economica e ambientale. Purtroppo anche la solitudine li accomuna, ma anche grazie a Consiglio e Riitano, è possibile trovarli tutti insieme non solo nelle pagine di questo libro ma anche online al sito www.sudinnovation.it, una piattaforma digitale che mira a mappare tutti i casi di innovazione sociale applicata al patrimonio culturale che arrivano dal sud.
Mediterraneo e Cittadinanza
Forse il vero tratto distintivo di queste storie di innovazione, e quello che gli autori stessi identificano come il vero valore di queste iniziative, è che l’innovazione sociale dal basso mira ad allargare la civitas. Come affermato da Agostino Riitano, cultural manager e membro della direzione artistica di Matera 2019 Capitale europea della Cultura, ” cittadino non significa essere sottoposto ad una certa burocrazia o godere del diritto di voto, bensìessere soggetto fondante la vita sociale, di essa responsabile e non subente ” . Per questo ormai da qualche tempo l’innovazione sociale ” si è assunta il compito politico, sociale, culturale, di ripristinare tipi di aggregazione che, progredendo dall’istintivo bisogno di comunità , diano valore alla relazione umana ” . E questa estensione della civitas travalica i confini nazionali e si riconosce in quelli naturali del bacino mediterraneo, dove le due sponde si riconoscono simili e con destini intrecciati sotto l’aspetto economico, ambientale e culturale. Il Mediterraneo, non come sud dell’Europa, ma come centro, intorno al quale ruota una civiltà che cerca nuove forme di dialogo e nuove interpretazioni della vita civile.
Il panorama di innovazione raccontato è sorto perlopiù in maniera spontanea e volontaristica, ma è poi riuscito a superare la fase più difficile dell’avvio e creare le condizioni economiche per trarre da queste iniziative occasioni di lavoro retribuito. Questa nuova idea del patrimonio culturale come risorsa condivisa, o come bene comune come lo chiamerebbe Ostrom, necessita di nuove forme di collaborazione tra le autorità di gestione classiche, come le Soprintendenze statali ad esempio, e i cittadini singoli o associati, che intendono prendersi cura del patrimonio culturale nell’interesse generale. Il cittadino innovatore sociale deve quindi non più essere considerato come utente/consumatore ma diventare parte attiva, essere coinvolto nella co-progettazione, co-produzione e co-gestione del patrimonio culturale italiano. Va in questa direzione CO-Mantova, un prototipo istituzionale/organizzativo di collaborazione tra cittadini e amministrazione per la valorizzazione condivisa della cultura e della creatività .
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