La sentenza
La vicenda processuale discende dalla concessione da parte del comune di Roma Capitale, a titolo gratuito e per la durata di sei anni, di un immobile incluso nel demanio accidentale dell’ente locale. Beneficiaria della concessione è Roma Capitale Investments Foundation (RCIF): fondazione istituita nel 2012, su iniziativa della stessa amministrazione capitolina, al fine di dotare la città di un soggetto giuridico in grado di favorire la realizzazione di progetti strategici finalizzati ad attrarre investitori e a produrre benefici sociali per la capitale e per il Paese tutto.
Oggetto di impugnazione è la delibera n. 90/2014 con cui la Giunta capitolina revoca la concessione dei locali adibiti a sede di RCIF adducendo la necessità di destinare gli stessi a sede di uffici comunali.
Il Tar Lazio accoglie le censure mosse dalla fondazione ricorrente in relazione alla mancata attuazione delle basilari garanzie del procedimento, riconoscendo l’inidoneità del mero rinvio alle esigenze di spending review di cui alla l. n. 135/2012 a soddisfare l’obbligo di motivazione gravante sull’amministrazione in sede provvedimentale.
Ferma restando la facoltà accordata all’amministrazione dall’art. 21 quinquies, l. n. 241/1990, di revocare provvedimenti ad efficacia durevole in presenza di sopravvenute ragioni di interesse pubblico, il Tar laziale reputa infatti non esaustivo il generico richiamo all’obiettivo dell’ottimizzazione dell’uso delle risorse comunali operato nell’atto di revoca a fronte della mancata indicazione dell’effettivo nuovo utilizzo dei locali oggetto di concessione e dell’effettivo risparmio derivante alle casse comunali dalla nuova allocazione di essi.
Ad avviso del Giudice adito il contegno dell’amministrazione resistente viola le garanzie proprie del procedimento amministrativo, impedendo al privato, oltreché allo stesso giudicante, di comprendere i concreti motivi della revoca e dando cosìragione al ricorrente di vedere annullato il provvedimento gravato.
Il commento
Ai fini del nostro ambito di interesse, l’aspetto che merita di essere considerato riguarda la legittimazione a partecipare adesivamente al giudizio, a sostegno delle ragioni del ricorrente o di quelle del comune resistente, riconosciuta dal Tar Lazio a tutte le associazioni intervenute.
Pur dando atto del coinvolgimento del Codacons (intervenuto ad adiuvandum) «nella realizzazione di alcuni dei progetti promossi dalla fondazione ricorrente » nonché della coerenza dell’iniziativa processuale del Centro di Iniziative per la Legalità Democratica e del Comitato per il Progetto Urbano di San Lorenzo (intervenuti ad opponendum) «con lo scopo statutario di salvaguardia dei beni comuni radicati nel territorio romano », il Tribunale regionale riconduce indistintamente l’ammissibilità degli interventi proposti alla titolarità in capo alle varie associazioni di un interesse dipendente, in senso favorevole o sfavorevole, dall’interesse azionato dal ricorrente.
Aderendo ad un orientamento in costante espansione, il Tar Lazio si porta poi a identificare l’interesse dipendente, richiesto ai fini della valida proposizione dell’intervento volontario nel processo amministrativo, con un interesse anche di mero fatto, purché tale da giustificare l’aspirazione della parte eventuale all’accoglimento o al rigetto del ricorso.
Ammettendo l’intervento in giudizio a tutela di interessi semplici – e dunque a tutela di interessi non ascrivibili alle categorie dell’interesse legittimo e del diritto soggettivo a cui l’ordinamento garantisce in via esclusiva protezione giudiziale -, la sentenza in esame apre un varco attraverso il quale trovano accesso nel processo amministrativo anche gli interessi diffusi, ovvero la categoria di interessi non qualificati sostanzialmente coincidente, di volta in volta, con l’interesse ultraindividuale alla tutela di un determinato bene comune.Degna di nota è peraltro l’espressa menzione nella sentenza in questione del sintagma ” beni comuni ” , a riprova del progressivo attecchimento di una categoria sino a pochi anni addietro del tutto estranea al linguaggio giudiziario.
La decisione commentata non risolve tuttavia, né era tenuta a farlo, il problema della tutela giurisdizionale dei beni comuni, e dunque il problema della legittimazione a ricorrere (in via principale e non già puramente adesiva) in difesa di posizioni distanti dalle tradizionali posizioni individuali. Al netto della legittimazione ad agire in sede di giurisdizione amministrativa espressamente riconosciuta alle associazioni ambientaliste ex l. n. 349/1986, e delle varie aperture giurisprudenziali che si sono succedute nel tempo, permane infatti l’esigenza di una risposta organica alla questione della difesa giurisdizionale degli interessi presenti allo stato diffuso nella società , con particolare riferimento al problema dell’ingresso in giudizio di quello stesso singolo cittadino apertamente investito dall’art. 118 Cost. della cura dell’interesse dei consociati.
Ciononostante, la conferma dell’apertura della giurisprudenza verso gli interessi non qualificati, seppur limitatamente all’istituto dell’intervento volontario, lascia ben sperare nel senso di un graduale e più ampio adeguamento delle corti alle stringenti istanze della società .
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