E’ evidente che una città intelligente oggi in Italia non sia e non possa essere questo: è certamente meno anacronistico definire una smart city come una realtà urbana che utilizza nel modo migliore le proprie risorse infrastrutturali ed economiche (poche), territoriali e culturali (molte) per produrre occupazione ed inclusione sociale e per innescare meccanismi virtuosi e processi di rigenerazione urbana, evitando gli sprechi finanziari ed il consumo di risorse limitate, come il suolo.
I nuovi modelli di gestione urbana propongono, ormai in tutto il mondo occidentale, sfide di open government, che vedono i cittadini partecipare in prima persona al processo decisionale, evitando di subire passivamente le decisioni imposte dall’alto, con le tradizionali forme di governo top-down. In un’ottica di progressivo miglioramento della qualità della vita i cittadini dovranno diventare ” sensori umani ” di percezione, per ” misurare ” la qualità della vita nelle città , fornire idee, esperienze, critiche costruttive, per co-progettare strutture e servizi più funzionali, insieme alle pubbliche amministrazioni.
Prima vengono i cittadini intelligenti
Prima di cominciare ad immaginare e progettare occorre, però, lavorare sulla costruzione di qualcosa che in molti Paesi europei già esiste: l’idea di bene comune. Una città non è intelligente se l’intelligenza non appartiene in prima istanza a chi la abita e se non è il rispetto a muovere le azioni quotidiane di quelli che in gergo vengono definiti city users, termine che appare descrivere la città come un oggetto da consumare, deturpare, sfruttare, senza dare nulla in cambio.
E’ di certo più sostenibile il termine ” cittadino attivo ” citato nel Regolamento di Labsus. E questo non è affatto un caso. Accrescere nei cittadini il senso di responsabilità nei confronti del patrimonio comune urbano, che costituisce sìuna ricchezza, un diritto di cui godere, ma determina anche il dovere di aver cura dei beni comuni, affinché possano continuare a costituire lo scenario per la vita dei futuri cittadini è l’obiettivo verso cui tendere. ” C.RE.A! (Clusters RE-think About) Smart cities – Sviluppo di network per il governo condiviso del territorio: proposte per i percorsi partecipati di smart specialization della Puglia ” è uno percorso di studio cominciato durante il master ” Il progetto della smart city ” dell’Università di Firenze, attraverso cui ho provato ad immaginare come la collaborazione tra associazioni di cittadini (i clusters, per l’appunto) e le amministrazioni locali possa influenzare la crescita e la rigenerazione delle città . In particolare mi sono soffermata sulle realtà nate recentemente in Puglia.
I clusters
I clusters sono il fulcro della sperimentazione di forme governo condiviso del territorio. Clusters è una parola che significa sostanzialmente la stessa cosa per tutti i campi dello scibile umano in cui viene adoperata: un gruppo di oggetti o soggetti omogenei per qualche caratteristica. Tuttavia il significato che il termine assume in astronomia è di gran lunga il più interessante e può costituire fonte di ispirazione: un cluster è un ammasso stellare, un gruppo denso di stelle, che con tutta probabilità , essendo cosìvicine, sono nate nello stesso momento dalla medesima nebulosa e quindi hanno all’incirca la stessa età e composizione chimica (fonte: wikipedia, in stile open source). Il termine cluster costruisce quindi una metafora che ha colpito il mio immaginario. In un’idea legata alle mie radici pugliesi ho pensato che come i clusters stellari illuminano il cielo notturno, allo stesso modo i gruppi di cittadini con la propria forza sociale possono risollevare un territorio, ” illuminandolo ” attraverso la collaborazione per un obiettivo comune.
L’esperienza della Puglia
In Puglia, anche grazie a politiche nate per tentare di arrestare la già copiosa fuga dei cervelli, sono state attuate alcune iniziative come Principi Attivi o i bandi per i Living Labs. Questo contesto culturale ha prodotto esperienze virtuose strettamente connesse con il territorio: tra queste il gruppo di Pop Hub di Bari ha realizzato un network che si occupa, tramite tecnologie VGI (Volunteered Geographic Information), della mappatura di edifici dismessi, pugliesi e non, al fine di promuoverne e facilitarne la riattivazione. Interessanti sono altre esperienze come quella di Vuoti a Rendere di Gravina in Puglia o di Esperimenti Architettonici di Altamura, che si occupano dell’organizzazione di iniziative per la rigenerazione e ripopolazione dei centri storici, che versano in condizioni di abbandono. Il Regolamento di Labsus può rappresentare per la Puglia, ricca di piccole realtà come quelle appena descritte, un’opportunità di sviluppo, lo strumento per creare un legame tra amministrazioni e cittadini, attraverso la stipula di patti di collaborazione per la gestione dei beni. Alcuni comuni pugliesi hanno già approvato il Regolamento, soprattutto nel brindisino, dove erano presenti associazioni già promotrici di iniziative spontanee di partecipazione dal basso. Questo conferma quanto la presenza dei clusters sul territorio costituisca una base su cui lavorare per creare città davvero attive. Quando le risorse economiche non sono presenti la creatività può costituire un mezzo non solo per migliorare l’ambiente costruito, ma anche per creare occupazione e per migliorare il contesto sociale attraverso un approccio diverso alla gestione del territorio, che passi attraverso il principio di sussidiarietà orizzontale. Si tratta di stravolgere il modo di guardare: una criticità non è semplicemente uno squarcio sul territorio, bensìun potenziale nodo peculiare da cui ripartire per il rilancio dell’intera area su cui esso sorge. Un’amministrazione attenta a questo tipo di politiche di rigenerazione, piuttosto che al consumo di suolo, insieme a dei cittadini attivi, che decidono autonomamente di riappropriarsi degli spazi, come è avvenuto per la Caserma Rossani di Bari, sono gli ingredienti che devono esistere su un territorio per consentire il cambiamento. La Puglia ha buone basi su cui lavorare e crescere, in questo senso.
La partecipazione, la collaborazione, l’inclusione sociale, la creatività , la ricerca di vie sempre più istituzionalizzate per operare, come il regolamento e la stipula di patti di collaborazione, è la chiave per costruire un masterplan per rendere più intelligenti, efficienti, amichevoli le città , non solo pugliesi.
Scarica in allegato la tesi dell’architetto Cecilia Surace.
ALLEGATI (1):