La sentenza
Un cittadino del Comune di Limitola impugna, di fronte al Tar campano, sede di Napoli, la delibera consiliare del 24 aprile 2013, n. 10 avente ad oggetto ” Approvazione regolamento per la alienazione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare ” .
Il ricorrente denuncia vizi plurimi che renderebbero illegittima la suddetta determinazione (mancata contestuale approvazione del bilancio di previsione; omessa indicazione della attuale e futura destinazione dei beni; illegittima inclusione nel piano di immobili destinati all’istruzione pubblica; mancata preventiva stima) e assume altresìche ” il provvedimento impugnato andrebbe a ledere fortemente l’interesse della generalità dei cittadini in relazione alla fruibilità ed all’utilizzo di beni essenziali per la crescita e la valorizzazione della comunità stessa ” .
Il Comune resistente, costituitosi in giudizio, predica l’infondatezza del ricorso, eccependone l’irricevibilità per tardivo deposito e l’inammissibilità per carenza di legittimazione attiva della parte proponente.
Il Tar campano risolve il caso processale respingendo la prima eccezione formulata dall’amministrazione resistente e accogliendo, invece, la seconda con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione processuale. A detta del Giudice, infatti, la sola qualità di ” residente ” del ricorrente non costituirebbe una posizione differenziata ” idonea a costituire fondamento di un interesse qualificato e dunque suscettibile di essere fatto valere in sede giudiziaria ” .
Il commento
A ritornare sotto i riflettori della presente rivista è un nuovo caso di legittimazione attiva di un soggetto agente in giudizio per la tutela di un interesse più ampio, appartenente alla collettività .
Prima di addentrarsi nell’analisi del caso de quo, potrebbe tuttavia essere utile l’elaborazione di una parabola ricognitiva che aiuti a inquadrare meglio la pronuncia in esame.
Agli esperti in materia risulterà noto che, per lo meno fino all’età liberale, la possibilità di un cittadino di contestare una decisione pubblica attraverso la rivendicazione della sua incidenza negativa su interessi generali – e, pertanto, non solamente privati – non era sostanzialmente contemplata.
Questo approccio tradizionale, basato su un paradigma bipolare e sulla convinzione che la pubblica amministrazione fosse l’unico soggetto detentore degli interessi pubblici, ha via via ceduto il passo ad una visione più estesa e flessibile del rapporto tra amministrazione e cittadini che, a sua volta, ha inevitabilmente inciso – in termini evolutivi – anche su vari profili della tutela giurisdizionale.
Si è cosìgradualmente assistito all’ingresso, in sede processuale, di nuovi interessi, adesso tutelabili anche se rientranti nella categoria degli interessi ” superindividuali ” .
Azione processuale uti civis e principio di sussidiarietà orizzontale
A giocare un ruolo decisivo nel percorso di arricchimento della tutela giurisdizionale è, certamente, il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale ex art. 118, co. 4, Cost., che, riconoscendo in capo ai cittadini una piena titolarità su interessi di natura generale – e non, dunque, solo privata – appare in grado di dare legittimità ad interessi diffusi – quindi plurali e collettivi – di cui si facciano promotori i diversi soggetti della società civile.
L’approccio della giurisprudenza al movimento di apertura delle sedi giurisdizionali attraverso il ricorso alla sussidiarietà , è stato – cosìcome costantemente recensito dalla presente rivista – mutevole ed eterogeneo.
Tra le pronunce più significative, infatti, è possibile individuare almeno tre orientamenti giurisprudenziali differenziati[1]: quello in cui il principio viene adoperato come strumento di rinforzo di criteri di individuazione della legittimazione processuale, tradizionalmente già consolidati (es. Cons. St., Sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760); quello in cui il principio assume invece una forza vincolante nell’individuazione dei soggetti legittimati ad agire (es. Tar Puglia, Lecce, 5 aprile 2005, n. 1847); e, infine, quello in cui la sussidiarietà viene evocata dal giudice per riconoscere la legittimazione di organizzazioni sociali sulla base di connotati oggettivi, piuttosto che soggettivi (es. Tar Calabria, Catanzaro, 24 giugno 2011, n. 917).
Se l’ultima linea segnalata è quella che più lascia intravedere novità importanti in termini di ampliamento delle cause di legittimazione processuale attraverso la forza propulsiva della sussidiarietà orizzontale, maggiori perplessità sorgono invece con riguardo ai primi due indirizzi giurisprudenziali sopra enunciati. In entrambi i casi, infatti, il giudice, sebbene si preoccupi di elaborare una cornice teorica entro cui esaltare la valenza del principio costituzionale, appare pur sempre strettamente vincolato alla verifica della sussistenza di quei requisiti elaborati secondo un approccio più tradizionale del diritto amministrativo.
Quanto finora asserito è comunemente riscontrabile soprattutto nelle pronunce il cui il giudice è chiamato a valutare la sussistenza della legittimazione di cittadini che agiscono uti civis, e la sentenza del Tar Campania, Napoli, 21 aprile 2015, n. 2248 ne costituisce un nuovo e concreto esempio.
Nel caso di specie, infatti, è un soggetto singolo ad insorgere in sede giurisdizionale e a lamentare gli effetti potenzialmente lesivi che il provvedimento emesso dalla pubblica amministrazione andrebbe a determinare sull’interesse della collettività . Nella verifica della sussistenza della legittimazione del ricorrente, il Tribunale campano imposta la sua valutazione sulla base del consolidato criterio giurisprudenziale della ” residenza ” – riconducibile al noto parametro della ” vicinitas ” – che, nella causa in esame, non è però ritenuta condizione sufficiente per delineare una posizione differenziata e quindi idonea a costituire fondamento di un interesse qualificato all’azione in processo. Sarebbe invece necessaria – argomenta il giudice – la sussistenza delle due condizioni di legittimazione e di interesse al ricorso, non potendo, l’azione giurisdizionale, «essere esercitata dal quisque de populo ».
Cosìstatuendo, il giudice adito inserisce la sua pronuncia in una linea giurisprudenziale non ancora pronta ad applicare meno elementi fattuali e più criteri avanzati e attenta, piuttosto, a difendere il processo amministrativo dal baluardo dell’azione popolare.
«Non vi è spazio per richiami alla sussidiarietà », sostiene testualmente il giudice. Eppure l’enunciato costituzionale appare abbastanza chiaro nella parte in cui precetta di favorire la valorizzazione di cittadini che intendono tutelare gli interessi generali – anche come singoli.
E così, anche la pronuncia in esame finisce col rappresentare un’altra e nuova occasione in cui il principio viene sìrichiamato, ma per respingere la legittimazione di persone fisiche agenti in nome di interessi generali, con il supporto di argomentazioni appartenenti perlopiù ad un indirizzo giurisprudenziale più tradizionale.
Continuano, dunque, a rimanere inesplorate le potenzialità che il principio di sussidiarietà orizzontale potrebbe esibire per consentire letture più ampie dell’istituto della legittimazione processuale di cittadini che agiscano uti civis.
Un richiamo alle norme sul federalismo demaniale
La posizione restrittiva adottata nel caso in esame risulta altresìevidente nelle righe in cui il giudice, proseguendo la sua dissertazione a sostegno della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, chiama in esame le norme sul federalismo demaniale, in particolare l’art. 2 comma 4 del d.lgs n. 85/2010.
La disposizione citata sancisce, infatti, tra i parametri principali per le nuove regole di federalismo, quello della «massima valorizzazione funzionale del bene attribuito a vantaggio diretto o indiretto della collettività territoriale rappresentata, assicurando l’informazione alla collettività stessa ed il suo massimo coinvolgimento e partecipazione circa le finalità dei beni oggetto del conferimento […] ».
Questa apertura alla partecipazione dei cittadini alla destinazione funzionale del bene – leggibile, senza dubbio, anche in un’ottica di sussidiarietà orizzontale – ha consentito ad altra giurisprudenza (cfr. Tar Liguria, 31 ottobre 2012, n. 1348) di far derivare direttamente dalla suddetta norma il pieno riconoscimento, in capo ai soggetti residenti nel territorio comunale, della legittimazione ad impugnare gli atti di destinazione dei beni pubblici comunali.
Di avviso opposto appare, invece, il giudice campano che, scegliendo di seguire le linee interpretative del Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 8 settembre 2011, n. 5063, giunge ad asserire che tale disposizione «non contiene veri e propri precetti giuridici, bensìla semplice raccomandazione ad attenersi a generici e ben noti canoni di buona amministrazione: ricercare la soluzione più conveniente per gli interessi della popolazione e tenere informata la popolazione stessa delle scelte che si stanno prendendo ». Di conseguenza, quella normativa statale non viene ritenuta idonea ad incidere sul profilo di legittimazione ad agire.
Sostanzialmente un percorso contrario, quello del Tribunale della Campania, rispetto a quello intrapreso da una più recente giurisprudenza tesa ad ampliare, invece, il principio generale di partecipazione della collettività alla gestione di beni pubblici, anche attraverso la possibilità di contestare in sede giurisdizionale la scelta dell’amministrazione di alienazione dei beni.
[1] La sistematizzazione è quella proposta dall’autore F. Giglioni nel suo scritto, ” La legittimazione processuale attiva per la tutela dell’ambiente alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale ” , in Dir. Proc. Amm., Anno XXXIII, Fasc. 1, 2015, pp. 413-456.
LEGGI ANCHE:
- Tar Liguria, 15 giugno 2011, n. 938
- Cass, Sez. un., 16 febbraio 2011, n. 3811
- Tar Liguria, 31 ottobre 2012, n. 1348
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