Secondo la Convenzione di Ginevra, un rifugiato è ” una persona che nel suo Paese è stata oggetto di persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalità , appartenenza a determinati gruppi sociali o per le opinioni politiche o se ha fondato e provato motivo di ritenere che potrebbe essere perseguitata in caso di ritorno in patria ” . Lo status di rifugiato si ottiene dopo l’accoglimento della domanda di asilo che deve essere presentata dal cittadino straniero all’Ufficio di polizia di frontiera al momento dell’ingresso in Italia oppure facendo domanda direttamente all’Ufficio immigrazione della Questura.
Il problema è che il percorso non è cosìsemplice e in realtà si interrompe molto prima di cominciare. Molti si chiedono infatti perché i richiedenti asilo non utilizzino i tradizionali mezzi di trasporto invece di affrontare pericolosi viaggi. Uno dei nodi centrali è costituito dal sistema internazionale dei visti. I richiedenti asilo non sono provvisti di visto e pertanto, in virtù della direttiva europea 2001/51/Ce, in base alla quale sono di fatto le compagnie di viaggio ad effettuare controlli sui visti, pena il rischio di dover sostenere i costi del rimpatrio, non hanno accesso ai più comuni mezzi di trasporto. Ciò impone loro un lungo viaggio a tappe attraverso le rotte più accessibili, in una sorta di avvicinamento progressivo alla meta finale.
I corridoi umanitari
Per ovviare a ciò un primo passo sarebbe rappresentato dall’apertura di corridoi umanitari dai paesi in guerra. Un progetto realizzato grazie all’accordo tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche italiane e la Tavola valdese da una parte, e il Ministero degli Esteri e quello dell’Interno dall’altra, consentirà a mille profughi – attualmente in Marocco, Libano ed Etiopia – di giungere nel nostro Paese con visti rilasciati per ” motivi umanitari ” . Il progetto prevede l’ingresso in Italia di profughi in condizioni di ” vulnerabilità ” come donne sole con bambini, vittime potenziali della tratta di essere umani, anziani, persone affette da disabilità o serie patologie, e soggetti riconosciuti dall’UNHCR come rifugiati; le spese per il viaggio e l’ospitalità saranno sostenute dalle stesse associazioni. In questo modo saranno anche garantiti maggiori controlli rispetto a chi arriva con i barconi; saranno inoltre facilitati i ricongiungimenti familiari. Si tratta di una buona pratica, replicabile in altri paesi europei.
Dal viaggio all’accoglienza
Se il viaggio è difficile, l’accoglienza non è da meno. Il primo passaggio è rappresentato dai C.D.A. (centri di accoglienza), strutture destinate a garantire un primo soccorso allo straniero entrato in maniera irregolare nel territorio italiano. Il più noto è quello di Lampedusa. In alcuni casi i richiedenti asilo trovano ospitalità nei C.A.R.A. (centri di accoglienza per richiedenti asilo) tristemente noti per le condizioni di vita in cui vengono a trovarsi anche per periodi superiori ai venti/trentacinque giorni previsti dalla legge. Diversa è la funzione dei C.I.E. (centri di identificazione ed espulsione), nei quali il rifugiato può essere trattenuto solo in casi ben specifici; in questi centri le condizioni di vita rischiano di subire un degrado ulteriore e lasciano il richiedente asilo in un limbo spesso senza regole.
Il riconoscimento dello status di rifugiato dà diritto a un permesso di soggiorno di durata quinquennale. Dopo almeno cinque anni è possibile richiedere la cittadinanza italiana, ma anche senza questa opzione i rifugiati, cosìcome gli immigrati, sono cittadini di fatto del paese in cui si trovano a vivere.
La rete Sprar
Lo Sprar costituisce un esempio di buone pratiche di accoglienza a livello europeo. Lo Sprar è il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, costituito dalla rete degli enti locali che, realizzano progetti di accoglienza integrata accedendo al fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Grazie all’attività delle realtà del terzo settore, realizzano interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.
Attualmente il decreto del Ministro dell’Interno del 21 dicembre 2015 ha prorogato la scadenza per la presentazione delle domande di contributo da parte degli enti locali che prestano o intendono prestare, nel biennio 2016 – 2017, servizi di accoglienza in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria. La nuova scadenza è fissata alle ore 12.00 del 14 Febbraio 2016.
Il sapore dell’accoglienza
Interessanti i progetti finalizzati al rilancio, attraverso l’accoglienza, di vecchi mestieri o al recupero di terre abbandonate, contribuendo alla valorizzazione del territorio e dei prodotti locali nell’interesse della collettività .
Ad Asti un gruppo di rifugiati e richiedenti asilo, provenienti dal Gambia, Mali e Nigeria ospiti del centro di accoglienza Villa Quaglina, si sono dedicati alla semina e alla raccolta del mais usando tecniche di agricoltura biologica senza l’uso di prodotti chimici.
A Trento, Alìrifugiato dal Pakistan, dopo aver svolto un tirocinio in un panificio del centro storico, è stato assunto dal proprietario .
A Valderice, in provincia di Trapani, le terre confiscate alla mafia vengono coltivate e restituite alla legalità grazie al lavoro dei rifugiati.
Recupero del territorio, legalità , accoglienza si intrecciano in progetti che ridanno dignità ai rifugiati, promuovendo un modello di integrazione diffusa sul territorio.
Leggi anche:
OIM: Rapporto mondiale sulla Migrazione 2015
Rapporto sulla protezione internazionale 2015