La Cooperativa La Paranza ha riqualificato le Catacombe di Napoli, un modo per produrre ricchezza e valore sociale. Intervista a Vincenzo Porzio, socio fondatore e responsabile della comunicazione

Contestualizziamo la vostra esperienza, puoi spiegare che cos’è il Rione Sanità  a chi non conosce Napoli?
Il Rione Sanità  è uno dei quartieri più antichi di Napoli, è abbastanza centrale ed è il centro storico cristiano di Napoli in quanto in epoca romana vi sorgeva una necropoli. Nel 1810 l’esigenza di unire Capodimonte al centro della città  spinse Murat a costruire un ponte che passava sopra il rione a totale discapito di quest’ultimo. Venne cosìabbattuta una parte del seicentesco complesso di Santa Maria della Sanità  e il rione da zona di passaggio divenne un luogo paradossalmente ” isolato ” . Un rione particolarmente popoloso è diventato un vero e proprio ghetto, specchio dei problemi della città : disoccupazione, abbandono scolastico e piccola criminalità . Il tutto in un quartiere con un grande patrimonio storico artistico e un forte bagaglio di cultura della napoletanità  (per capirci qui è nato Totò, ndr).

Qual è stato lo stimolo alla nascita della vostra cooperativa?Sanità 
Quasi quotidianamente vedevamo i media utilizzare un certo tipo di narrazione per il nostro rione, questo è stato uno dei tanti elementi che ci ha spinto a voler raccontare la nostra realtà . Nel 2006, anno di fondazione della cooperativa, noi avevamo vent’anni e vedevamo la bellezza del patrimonio storico del quartiere e pensavamo che potesse essere un possibile strumento di crescita. Abbiamo sentito che potevamo sfruttare questa grande ricchezza per creare lavoro e garantire un futuro a noi e alla nostra comunità . La cooperativa nasce dalla voglia di riscatto e dalla volontà  di valorizzare il patrimonio storico artistico del rione che era molto sottoutilizzato. In pratica volevamo mostrare che la medicina per molti problemi era già  nel territorio.

Come è nato e come si è evoluto il vostro progetto?
Il complesso della Basilica di Santa Maria della Sanità  era, ed è, una piazza coperta, un luogo di aggregazione aperto a tutti i ragazzi del quartiere. Il parroco già  organizzava a livello amatoriale delle visite guidate notturne alla basilica ed alla catacombe, noi eravamo dei frequentatori di questo oratorio e quindi abbiamo iniziato col dare continuità  a quel progetto che è poi diventato il primo prodotto culturale della Cooperativa La Paranza e l’inizio del progetto Catacombe di Napoli. Attraverso le catacombe di San Gaudioso abbiamo iniziato ad imparare come gestire un bene culturale, lavoravamo a titolo gratuito e i pochi profitti li reinvestivamo nelle piccole cose (lampadine, messa in sicurezza ecc.). Per i primi due anni navigavamo a vista mettendo nel progetto quello che potevamo. Piano piano abbiamo ristrutturato un antico convento e ne abbiamo fatto un b&b (La Casa del Monacone) e cosìabbiamo gettato le basi per credere in questo sogno.  La svolta è arrivata nel 2008 quando abbiamo intercettato il bando di Fondazione con il Sud che premiava le idee progettuali che favorissero l’occupazione giovanile e la valorizzazione del patrimonio storico artistico. Quando abbiamo letto il bando ci sembrava scritto esattamente per noi. Abbiamo partecipato progettando l’apertura delle Catacombe di San Gennaro, volevamo rendere le catacombe totalmente disponibili, abbattere le barriere architettoniche, creare percorsi per i non vedenti, un impianto di illuminazione a luci fredde che non impattasse sul micro clima, la rifunzionalizzazione dei percorsi, ma soprattutto volevamo investire in formazione per i giovani e assumere una decina di persone. Ci hanno finanziato con 500 mila euro ma ci siamo resi conto che non sarebbero bastati; cosìabbiamo fatto  fundraising per altri 400 mila euro e realizzato quello che avevamo in mente.

logo catacombeCome hanno reagito il territorio e la comunità ?
Considera che noi siamo gente del rione, e la nostra azione ha portato consapevolezza non solo in noi, ma in tutta la comunità . Ti faccio un esempio semplice, ci sono pizzaioli che magari non parlano bene nemmeno l’italiano ma mettono il menu in inglese per dare l’opportunità  al turista di venire a visitare il rione. Il flusso turistico ci ha permesso di creare tante reti sul territorio. Facendo marketing territoriale siamo riusciti da un lato ad attrarre visitatori e, dall’altro, ad aggregare la comunità , incontrando tante persone che hanno scelto di sostenere i nostri progetti e hanno favorito la nascita di altre cooperative. La nostra produce un’economia e sostiene le altre realtà :  cooperative di amici, o fratelli come diremmo noi, che si occupano di altro come il sostegno alle persone, alle giovani madri, e alla valorizzazione del capitale umano.

Qual è stato il vostro principale alleato?
Don Antonio Loffredo, un prete straordinario arrivato nel quartiere nel 2000. Da un lato è riuscito a raccogliere al meglio l’eredità  del parroco precedente, Don Luigi Rassello – un prete luminare e teologo del Papa – che già  aveva intuito il potenziale delle risorse del rione. Dall’altro è riuscito, grazie alla sua forte leadership, a sfruttare le sue esperienze a Poggio Reale, dove con altre cooperative si era impegnato nel recupero dei tossicodipendenti. E’ lui che ci ha permesso di tirare su tutto questo. L’altro nostro grande alleato è stato Ernesto Albanese, Presidente dell’associazione L’Altra Napoli onlus, che ci ha permesso di aggiungere professionalità  alle nostre strategie.

Come avete fatto a diventare  economicamente sostenibili?
In generale il nostro obiettivo è sempre stato di essere auto-sostenibili, sostenendo le spese ordinarie con gli incassi e coprendo le spese straordinarie attraverso sponsor privati e finanziamenti. Dopo il 2008 è stato un crescendo che ha portato nuovi progetti e nuovi fondi. Il percorso però non è stato facile, ad esempio per rendere le catacombe pienamente autosufficienti ci sono voluti circa sei anni: nel 2014 raggiungendo i 40 mila visitatori abbiamo raggiunto il c.d. break even.

Com’è il rapporto con la pubblica amministrazione?
Diciamo che i beni su cui noi lavoriamo sono beni gestiti dal Vaticano, quindi probabilmente questo ci ha un po’ avvantaggiati in termini di facilità  e rapidità  dei rapporti.  Il primo vero momento di dialogo con l’amministrazione comunale, se cosìsi può dire, lo abbiamo avuto nel 2010 quando siamo stati protagonisti dell’occupazione del Cimitero delle Fontanelle. Il cimitero era stato ristrutturato per 1,8 milioni di euro però rimaneva chiuso perché il Comune non sapeva a chi farlo gestire. Una logica totalmente opposta alla nostra, per cui insieme ad altri 100 cittadini del Rione Sanità  lo abbiamo occupato e iniziato ad organizzarvi visite guidate gratuite. Per 4 mesi abbiamo dimostrato che era possibile valorizzare un bene ed avere un impatto sulla realtà  circostante. Adesso il comune lo tiene aperto ma senza visite guidate, il che a mio avviso non genera né lavoro, né valorizza a pieno il bene.

E con la criminalità  organizzata avete mai avuto problemi?
Quest’idea di criminalità  è un po’ frutto della narrazione giornalistica di cui parlavamo prima. Alla fine a Napoli la cosa che prevale è l’umanità . Don Antonio Loffredo dice sempre che ” noi parliamo con tutti ” , è possibile che lui parlando con le persone si senta dire da chi ha fatto delle scelte sbagliate che non vuole vedere i suoi figli fare gli stessi errori.   E’  auspicabile avere maggiori opportunità  ed un miglioramento nella vita del rione e della città .

A distanza di 10 anni cosa vi rende più orgogliosi della vostra attività ?Santa Maria della Sanità 
Sicuramente il dato occupazionale: se creiamo un posto di lavoro stappiamo una bottiglia di Champagne. Poi il miglioramento qualitativo della vita dei cittadini del rione. E’  stato un percorso lungo ma adesso se ne percepiscono i risultati. Poi una piccola cosa di cui vado fiero è un articolo pubblicato sul Daily Mail: sentir parlare all’estero del Rione Sanità  e delle Catacombe come di un posto da visitare è veramente eccezionale. Significa che  la passione che mettiamo nel nostro lavoro riusciamo a trasmetterla anche al visitatore facendogli vivere un’esperienza che è più di una semplice visita guidata (guardare su Trip Advisor  per credere, ndr).

Quali strumenti (normativi od economici) potrebbero agevolare la nascita di altre realtà  come la vostra?
Quello che ostacola la crescita economica, secondo me, è la tassazione sul lavoro, che è veramente molto alta. Noi oggi siamo 20 lavoratori, ma se ci fosse stata una tassazione inferiore al 40% noi avremmo potuto assumere molto di più ed avere un impatto maggiore sul territorio. Inoltre sarebbe utile favorire la gestione di un bene da parte di cooperative. Credo sia un argomento chiave per generare occupazione diffusa, anche perché i risultati sono molti positivi.

La vostra esperienza insegna che il patrimonio artistico può essere una vera e propria opportunità  di rilancio. Quanto e in che modo il vostro modello è replicabile?
Il progetto è replicabile ovunque ci sia un patrimonio artistico-culturale e voglia di fare, infatti abbiamo collaborato con moltissime altre realtà  come ad esempio la Cooperativa San Nicola da Tolentino  nei quartieri Spagnoli, o il Parco del Cerillo a Bacoli. Il vero punto di forza di realtà  come la nostra non è solo la replicabilità , ma la capacità  di stimolo anche per i soggetti circostanti, come ad esempio la Fondazione di comunità  di San Gennaro, di cui siamo parte, che è una rete di soggetti eterogenei il cui fine è migliorare la qualità  della vita della comunità  e che la settimana scorsa ha portato 6 mila persone in piazza a ballare e divertirsi.

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