Si segnalano, in particolare, alcuni aspetti di rilievo. Innanzitutto, la disposizione di cui all’art. 1, co. 2 individua nel ” principio della sostenibilità ” , al contempo, economica, sociale ed ambientale, un caposaldo dell’intera infrastruttura giuridica assieme al ben noto principio di sussidiarietà orizzontale.
Alle consuete definizioni regolamentari se ne aggiungono tre: la ” comunità di riferimento ” , intesa quale soggettività autonoma che si attiva stabilmente per un determinato bene; la ” fondazione aperta di scopo ” e la ” fondazione di vicinato ” . Queste ultime due figure sono ascrivibili alla c.d. ” fondazione di partecipazione ” , a sua volta species del genus ” fondazione ” : trattasi, per quanto qui interessa, di fondazioni orientate al perseguimento di un fine predefinito, aperte alla partecipazione tout court di plurimi soggetti, nel primo caso, ovvero di persone residenti o domiciliate in prossimità dei beni comuni coinvolti, nel secondo.
Nel quadro delle disposizioni atte a promuovere l’innovazione e i servizi collaborativi, si sottolinea – all’art. 7, co. 4 – il particolare impegno del Comune nel favorire le iniziative sostenute dai ” giovani attivi ” nella promozione e produzione delle varie espressioni artistiche e della musica, in particolare.
Come risulta agevole dalla lettura degli artt. 10 e 11, dal punto di vista procedimentale, viene confermato l’assetto consolidatosi nel corso degli ultimi due anni e mezzo, volto a rinsaldare il rapporto collaborativo tra i cittadini e l’Amministrazione, secondo lo schema dell’ ” amministrazione condivisa ” .
Al riguardo, tuttavia, viene riservato al Comune di Pordenone un ruolo di primo piano in due casi particolari. Si dispone, infatti, all’art. 10, co. 7, che in presenza di plurime proposte di collaborazione avanzate dai cittadini attivi, tra loro non integrabili, afferenti ad un medesimo bene comune, l’Amministrazione sia chiamata a scegliere la più idonea mediante esame ” comparativo ” delle medesime; la scelta della proposta, dunque, non avviene mediante l’esperimento di procedure di tipo ” partecipativo ” , come accade in altri comuni. Similmente, all’art. 16, co. 2, titolato ” Individuazione degli edifici ” , si stabilisce che la periodica ricognizione degli edifici in stato di parziale o totale disuso e delle proposte di cura e rigenerazione avanzate dai cittadini debbano essere promosse con procedure trasparenti, aperte, ma non ” partecipate ” . In tal senso, le previsioni in esame, sebbene non intacchino nei suoi tratti essenziali il modello di amministrazione condivisa prefigurato nel Regolamento, possono, comunque, costituire un limite all’instaurazione e al consolidamento di sinergie ” orizzontali ” (tra cittadini attivi) e ” verticali ” (tra cittadini attivi e Amministrazione) che, invece, paiono auspicabili.
Interessante, poi, la disposizione di cui all’art. 20, co. 4, che richiama l’art. 24 del c.d. ” Sblocca Italia ” (decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) quale fonte legislativa, peraltro non esclusiva, di legittimazione per il conferimento di ulteriori esenzioni e agevolazioni, in materia di entrate e tributi, a favore delle diverse forme di cittadinanza attiva. In questo caso, infatti, il disposto di cui al citato art. 24 risulta configurato nell’ampio e coerente spazio del Regolamento sui beni comuni, in adesione a quanto sancito recentemente dalla Corte dei conti (deliberazione n. 27/2016/Par) e già sostenuto in questa Rivista (si veda l’editoriale pubblicato il 16 dicembre 2015).
Insomma, il testo rappresenta un avanzato esempio di Regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, presentando solamente due passaggi potenzialmente problematici nel senso indicato, i quali, peraltro, potranno essere oggetto di un intervento correttivo (al pari delle altre disposizioni) al termine dell’anno di sperimentazione fissato nell’art. 35, co. 1.
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