Dalle iniziali resistenze dell’amministrazione comunale all’occupazione, sembra si sia passati a una maggiore collaborazione, che non può che far bene alla salute del progetto.
Abbiamo contattato Luisa, che fa parte dell’Assemblea che si è costituita per la gestione dello spazio cittadino e che ci ha riportato le risposte che la stessa Assemblea ha approvato in un innovativo esperimento di “intervista comune”.
Partiamo dal principio. Da dove e da chi nasce l’idea di occupare il teatro Montevergini?
L’idea di occupare il complesso del Montevergini è nata da un gruppo informale di cittadini, accomunati dalla volontà di sollevare il problema della gestione degli spazi pubblici a Palermo e dal desiderio di riaprire alla città un luogo di interesse artistico, storico e culturale, per proporne la gestione come un bene comune. In questa città negli anni scorsi si è svolto un ampio dibattito sui beni comuni e le loro forme di gestione e si è realizzato un percorso di assemblee cittadine, che ha consentito di redigere in maniera partecipata una proposta di regolamento presentato al consiglio comunale, ma poi rimasto lettera morta. Oggi, alla città ed alla sua amministrazione si lancia la sfida, coraggiosa e inedita, di avviare una gestione condivisa e partecipata di un bene pubblico sottoutilizzato come il complesso del Montevergini. Per questa proposta ci siamo ispirati ad esperienze di altre città , dove dei beni pubblici sono stati rivendicati come beni comuni, in particolare al percorso dell’Asilo di Napoli che ha portato tramite diverse delibere comunali al riconoscimento dell’uso civico e collettivo urbano, in seguito esteso anche ad altri spazi cittadini.
Qual è stato il ruolo dei cittadini palermitani nell’occupazione e, soprattutto, il loro livello di partecipazione? Hanno compreso le ragioni dell’occupazione?
La risposta della comunità alla riapertura del Montevergini è stata da subito positiva e si è concretizzata nella partecipazione attiva alla vita dello spazio e nella proposizione di moltissime attività artistiche, politiche e culturali. E’ passato il messaggio che la questione posta non riguarda soltanto uno spazio o un settore, ma è di natura culturale, sociale e politica in senso ampio, riguarda le forme di governo di cui la città si dota e la costruzione di processi di partecipazione. Al riguardo noi riteniamo che pratiche che fanno riferimento a partecipazione e beni comuni possono promuovere processi democratici costituenti nuove forme di cittadinanza e di relazioni sociali ed economiche solo, però, se accompagnate da una riappropriazione dal basso del potere decisionale.
Abbiamo letto di alcuni problemi con l’amministrazione comunale, in particolare con l’assessore alla cultura Cusumano. Come è ad oggi la situazione e, soprattutto, quali sono stati, secondo voi, i motivi di queste incomprensioni?
In un primo momento l’amministrazione ci ha tacciato di prepotenza, di esserci appropriati dello spazio e di voler bloccare le attività previste, stravolgendo cosìle nostre pratiche, le intenzioni dichiarate e le questioni poste. Il percorso avviato, infatti, non mira a bloccare le attività che già si svolgono ma, piuttosto, a utilizzare lo spazio al pieno delle sue potenzialità artistiche e sociali, in una prospettiva d’incontro e contaminazione reciproca. Inoltre, fin dall’inizio, l’occupazione non ha riguardato l’ex chiesa del Montevergini, adibita a sala teatrale, utilizzata dal Teatro Biondo che liberamente potrà svolgere le sue attività programmate.
L’incomprensione iniziale deriva probabilmente dall’azione conflittuale dell’occupazione, che rivendichiamo in quanto necessaria. Oggi prendiamo atto di un’apertura dell’amministrazione a un confronto, per consentire la sperimentazione di un processo partecipativo per la gestione condivisa di questo spazio in quanto bene comune. Il momento il confronto è incentrato sui principi della nostra proposta di gestione: molte cose sono ancora da definire, il nostro obiettivo è il riconoscimento dell’uso civico e collettivo urbano. Tale forma giuridica, che trova fondamento in istituti e principi del nostro ordinamento, permette di superare gli strumenti del bando e dell’affidamento a soggetti (con i relativi ampi margini discrezionali precostituiti, al limite del clientelismo politico) consentendo, invece, la gestione dei beni comuni da parte delle loro comunità di prossimità .
Tra le foto che immortalano la vostra iniziativa, una in particolar modo ha colpito la nostra attenzione. Quella dello striscione con lo slogan “Né pubblico, né privato: comune”. Cosa vuol dire per voi questa frase?
E’ un paradigma di gestione dei beni comuni, che indica la possibilità , per beni destinati all’uso e al beneficio della collettività , di una gestione non riconducibile a istituzioni pubbliche o a soggetti privati, bensìalla stessa comunità che fruisce del bene, tramite forme organizzative aperte e orizzontali dotate di un autonomo potere decisionale. Tali modalità di gestione, dunque, si discostano, sia dalla burocratizzazione pubblico-statuale, sia dalla ricerca del profitto da parte del privato; si basano, piuttosto, su forme di democrazia diretta e perseguono la costruzione di relazioni sociali ed economiche improntate sui principi di solidarietà , cooperazione e mutualismo. In una prospettiva che va oltre la gestione dei beni comuni, questa frase esorta a rivendicare ciò che possiamo definire come il ” diritto alla città ” , inteso come l’estensione a tutti dei diritti ai servizi sociali, al reddito e alla partecipazione diretta al governo e alla creazione della città senza mediazioni burocratiche, consentendo cosìdi ricostruire una trama comune nell’alienante spazio urbano.
Quali sono le iniziative attualmente in piedi, e quali sono quelle previste nei prossimi mesi?
Al momento lo spazio è usato quotidianamente per prove teatrali e per laboratori di teatro e di danza. Si alternano, poi, proiezioni settimanali di film e documentari coi registi, performance teatrali e musicali, concerti, mostre, oltre a momenti pubblici di discussione su beni comuni, diritto alla città e sindacalismo sociale. Si sono costituiti dei tavoli di lavoro che portano avanti la programmazione delle diverse attività .
Immaginiamo di poter viaggiare nel tempo e di ritrovarci a dicembre, però nel 2017. Provate a immaginare il teatro Montevergini fra un anno, cosa vi aspettate di trovare?
Per il Montevergini immaginiamo l’avvio di un processo cooperativo e solidale di gestione e cura collettiva, di messa in comune di saperi e strumenti, caratterizzato dalla partecipazione diretta delle persone alle decisioni e da cui possa nascere uno spazio per la creazione, la formazione, la ricerca, l’incontro e la contaminazione reciproca. Uno spazio che sia gestito in maniera condivisa e orizzontale, tramite un’assemblea aperta espressione della comunità eterogenea che realizzerà attività nello spazio. Assemblea che si doterà di un proprio regolamento, che possa essere un esempio cittadino di autonormazione per la gestione dei beni comuni da parte delle comunità che li utilizzano e se ne prendono cura, tutelandoli dall’aggressione dei processi di privatizzazione. Inoltre, vorremmo che il Montevergini, oltre che luogo destinato ad attività artistiche, culturali e sociali, sia il luogo d’inizio di un processo politico partecipato, di costruzione di un’agorà cittadina, volta a raccogliere bisogni e desideri e a esprimere proposte per partecipare alle decisioni sul governo della città partendo, per esempio, da un regolamento comunale sulla gestione e la cura dei beni comuni. Infine, ci piacerebbe costruire reti con esperienze affini avviate in altre città , definibili come esempi di neomunicipalismo, dove beni comuni e partecipazione dei cittadini al governo sono messi in primo piano attraverso il contributo di esperienze nate dal basso.
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