La sentenza
Con giudizio promosso in via principale, la Regione Lombardia lamenta l’incostituzionalità del primo articolo del decreto di riforma del comparto delle banche popolari (d.l. n. 3/2015, conv. l. n. 33/2015). La disposizione impugnata fissa a otto miliardi di euro la consistenza patrimoniale massima degli istituti di credito popolare, imponendo a questi, in caso di superamento del limite stabilito, la riduzione dell’attivo o, in alternativa, la trasformazione in S.p.A.
Una delle quattro distinte questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione attiene precipuamente all’art. 118, co. 4, Cost., che si assume violato in combinato disposto con gli artt. 45 e 47 della Carta costituzionale.
Nell’ottica della ricorrente, infatti, il superamento del tradizionale regime giuridico delle banche popolari impedirebbe il perseguimento ad opera delle regioni degli obiettivi tipici della cooperazione e della tutela del risparmio, tutelati dagli artt. 45 e 47, nonché annoverabili nell’ambito di quelle «attività di interesse generale » di cui all’art. 118, ultimo comma. Detto altrimenti, negando agli enti regionali la possibilità sia di promuovere la cooperazione nel settore bancario, sia di destinare gli utili delle banche popolari ad attività di carattere socio-sanitario, culturale e scientifico, il legislatore statale ostacolerebbe di fatto la piena attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale da parte delle regioni.
La questione cosìrappresentata è giudicata tuttavia inammissibile dalla Corte, a causa dell’inidoneità delle argomentazioni addotte a dimostrare l’effettiva invasione, imprescindibile nell’ambito di un procedimento in via principale, di una sfera di competenza costituzionalmente riservata alle regioni.
Il commento
La sentenza in esame è utile a rammentare l’esatta portata del principio di sussidiarietà orizzontale, sgomberando il campo da un frequente equivoco.
A differenza della sua accezione verticale, infatti, la sussidiarietà qui considerata non pone in alcun modo una regola attributiva di competenze, intervenendo invece in una fase successiva all’individuazione dell’ente competente e riguardando, essenzialmente, la relazione tra questo ed i privati.
Di conseguenza, non può che risultare infruttuosa l’elezione dell’art. 118, co. 4., a parametro di giudizio nell’ambito di un procedimento in via principale, dovendosi in questa sede anzitutto provare l’ingerenza statale in un settore puntualmente riservato al soggetto ricorrente. Per contro, il principio invocato si dimostra del tutto inadeguato a fondare una specifica attribuzione regionale, limitandosi invero ad incoraggiare la valorizzazione da parte degli enti pubblici territoriali, latamente intesi, dell’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Se è dunque possibile annoverare le regioni tra gli enti costitutivi della Repubblica chiamati a onorare il principio di sussidiarietà orizzontale, non è altrettanto possibile affermare la titolarità di questo compito esclusivamente in capo a tali strutture. Ma soprattutto, nel caso di specie, appare tutt’altro che agevole dimostrare la sussistenza di un nesso concreto ed immediato tra l’innovazione della veste sociale delle banche in questione e la difficoltà dell’amministrazione regionale a dare applicazione al canone della sussidiarietà .
Andando oltre le ragioni dell’inammissibilità della censura, rispetto al merito sembra comunque opportuno precisare che la contestata trasformazione della forma giuridica delle banche popolari non è incondizionatamente imposta dal legislatore riformatore, essendo viceversa riferita non soltanto ai soli istituti di grandi dimensioni ma, più precisamente, a quelli che, tra questi, scelgano volutamente di non ridurre il loro patrimonio entro la soglia prevista.
A ben vedere, pertanto, l’intervento statale asseconda l’espansione di banche popolari che di fatto già travalicano i confini locali e che, conseguentemente, necessitano di un nuovo modello organizzativo tale da migliorarne il funzionamento, la stabilità e la competitività nel mercato. Non è quindi l’intervento di riforma a recidere arbitrariamente il legame tra queste banche e la comunità di riferimento, ma è la singola banca, a monte, a scegliere autonomamente se farlo o meno.
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