Il secondo degli aspetti senz’altro più interessanti è poi la valorizzazione del metodo partecipativo e dei principi di democrazia e trasparenza, come è possibile rilevare leggendo l’art. 4, concernente la definizione del ruolo delle cittadine e dei cittadini attivi. Infatti, troviamo stabilito che tra le attività rilevanti per il regolamento vi sia anche quella di collaborare con l’amministrazione comunale nell’analisi, catalogazione, mappatura e valorizzazione degli spazi pubblici cittadini allo scopo di dare rilievo al punto di vista della cittadinanza nei processi gestionali di tali spazi, potendo ciò confluire nella redazione di banche dati, anche in modalità Open Data.
Sul profilo della legittimità dell’azione si stabilisce, inoltre, che l’efficacia dei patti di collaborazione sia subordinata alla formazione con metodo democratico della volontà della formazione sociale che assume l’impegno di svolgere gli interventi sui beni comuni. Similmente, viene inserito il principio per cui la gestione comunitaria degli interventi debba ispirarsi a forme di gestione democratica individuate attraverso la scrittura di regole condivise. Sul fronte dell’amministrazione ciò si esplicita nella valorizzazione dei Quartieri come articolazione istituzionale più appropriata per lo sviluppo e il governo dei percorsi di cittadinanza attiva e di gestione condivisa dei beni comuni urbani.
Entrando maggiormente nel dettaglio del testo, sono confermate le tre fattispecie di attività , ovvero la cura e la gestione – che possono essere occasionali ovvero costanti e continuative – e la rigenerazione – che a sua volta può essere temporanea o permanente, senza che, tuttavia, vi siano ricadute in termini di maggiore o minore complessità dei patti. Scompare, invece, la specificazione che cittadini attivi possano essere tutti coloro che si mobilitano per la tutela dei beni comuni urbani, indipendentemente dal possesso della cittadinanza o della residenza o dalla durata del loro impegno. Ugualmente, nella definizione dell’attività di cura dei beni comuni manca il riferimento all’inclusività e alla integrazione come valori guida dell’azione.
Si tratta senz’altro di semplici omissioni, seppur un po’ sorprendenti, tanto più se si considera il percorso di redazione del regolamento si è caratterizzato proprio per un serio processo partecipativo e che ha posto sotto i migliori auspici l’obiettivo cardine di Labsus rappresentato dal desiderio di ” fare comunità ” prioritariamente rispetto a tutti gli altri. Ancora in termini di mera dimenticanza dovrebbe essere letto il mancato accoglimento di alcuni elementi di innovazione che sono stati introdotti di recente nel regolamento prototipo, come la cancellazione di ogni riferimento all’attività amministrativa di natura non autoritativa, resa necessaria per evitare una poco consona applicazione della disciplina contenuta nel nuovo codice dei contratti pubblici.
Ma, al di là di questi dettagli, l’aspetto più inatteso del testo sta nel venir meno di ogni riferimento al fatto che le attività in questione non possano in alcuno modo comportare la costituzione di un rapporto di lavoro o committenza con il Comune o alla possibilità che, invece, esse possano costituire progetti di servizio civile. Questo approccio lo si trova confermato anche dall’art. 5, dedicato ai patti di collaborazione, dove tra le responsabilità menzionate sono incluse anche quelle in relazione a quanto disposto dalle norme in materia di sicurezza dei luoghi e delle lavoratrici e dei lavoratori.
In generale, la percezione che si ha leggendo il regolamento di Firenze è che esso sia il risultato di un’interessante rielaborazione del modello bolognese, dove sono stati raggiunti risultati importanti dal punto di vista dell’ampliamento degli strumenti partecipativi. Un po’ più di coraggio avrebbe forse potuto essere usato per disarticolare invece le attività dei cittadini attivi dalla disciplina dei dipendenti pubblici in modo tale da renderne chiari i perimetri e evitare sul nascere possibili sovrapposizioni.
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