Si tratta di interventi eterogenei sia riguardo il settore di riferimento (spaziando dal turismo alla promozione delle eccellenze locali fino alla promozione della cultura e della comunicazione nei piccoli borghi interessati) sia relativamente al tipo di sostegno statale apportato, graduato dalla semplice promozione sino alla concreta possibilità di utilizzare servizi centrali.
Particolarmente rilevanti ai fini del nostro lavoro appaiono le disposizioni iniziali con le quali, come detto, il legislatore si preoccupa preliminarmente di definire l’ambito di applicazione della legge, individuando in primo luogo i soggetti coinvolti, ossia i comuni “piccoli”.
Vengono identificati come tali i comuni che abbiano una popolazione non superiore ai 5000 abitanti, ancorché formatosi dall’unione di precedenti comuni rientranti in tale tetto massimo. Oltre a tale precondizione demografica, requisito per accedere alle forme di finanziamento previste è la presenza di alcune criticità elencate all’Art. 1, comma II, ossia il ricorrere di problemi demografici, economici, territoriali o comunicativi ovvero l’esistenza di peculiari caratteristiche morfologiche del territorio coinvolto che ne influenzano lo sviluppo.
I finanziamenti a cui possono accedere tali comuni derivano dal “Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni”.
Ai sensi dell’Art. 3 della predetta legge tale fondo è “destinato al finanziamento di investimenti diretti alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, alla mitigazione del rischio idrogeologico, alla salvaguardia e alla riqualificazione urbana dei centri storici, alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici nonché alla promozione dello sviluppo economico e sociale e all’insediamento di nuove attività produttive” con un finanziamento progressivo fino a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2023.
Gli interventi prioritariamente finanziabili con tale fondo sono descritti dall’Art. 3, comma III, dove vengono elencati i vari beni (comuni) di cui è primario il recupero ovvero la riqualificazione o anche la sola manutenzione per riacquisirne la funzione collettiva.
Si tratta nello specifico: di immobili ed aree dismesse, ancorché a rischio idrogeologico; di pascoli in aree montane; di edifici pubblici, con particolare riguardo a quelli destinati a finalità sociali ed educative, e dell’accrescimento della loro efficienza energetica; di terreni e di edifici in stato di abbandono o di degrado, come definiti all’Art. 5; di case cantoniere e del sedime ferroviario dismesso, acquistabili secondo le modalità indicate dall’Art. 6; di beni culturali, storici, artistici e librari degli enti ecclesiastici o degli enti delle confessioni religiose civilmente riconosciuti mediante convenzioni stipulate ai sensi dell’Art. 7, nonché di attività di riqualificazione urbana e promozione di alberghi diffusi mediante interventi di recupero e di sviluppo sostenibile comprendenti “il risanamento, la conservazione e il recupero del patrimonio edilizio da parte di soggetti privati” (Art. 4, comma II).
Riguardo l’effettiva operatività di tale fondo, è prevista l’approvazione di un Piano nazionale di riqualificazione mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato di concerto con i vari Ministri coinvolti ed interessati, mentre il successivo concreto conferimento dei singoli finanziamenti verrà effettuato con appositi puntuali decreti adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Commento
La legge analizzata risponde alla crescente necessità di tutelare realtà che, sia per le loro dimensioni che per ulteriori peculiari ragioni, necessitino di un concreto sostegno per superare le problematiche di sviluppo che incontrano localmente. In particolare la legge si inserisce nel solco dei provvedimenti che mirano a rispondere alle criticità, esponenzialmente più elevate, che hanno sconvolto l’architettura di molti comuni e borghi medievali nei territori recentemente coinvolti nelle scosse sismiche.
In tal senso vengono previsti specifici interventi focalizzati su settori idonei ad incidere sullo sviluppo strutturale del territorio in differenti declinazioni ambientali, tecnologiche e sociali nonché la necessità di limitare le forme di finanziamento previste dall’Art. 3 della predetta legge ai piccoli comuni che per le loro dimensioni difficilmente riuscirebbero, con le sole proprie forze, a riavviare l’economia locale e a sostenere interventi strutturali come quelli indicati.
Proprio in tale senso essenziale appare il contributo dei privati, i quali vengono espressamente chiamati in causa nella declinazione degli interventi finanziabili mediante il Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni.
Tale strumento indica infatti la rilevanza della “capacità e modalità di coinvolgimento di soggetti e finanziamenti […] privati e di attivazione di un effetto moltiplicatore del finanziamento pubblico attraverso il concorso degli investimenti privati” (Art. 3, comma IV, lett. b) sia la possibilità di prevedere “interventi integrati pubblici e privati finalizzati alla riqualificazione urbana” (Art. 4) anche mediante “il risanamento, la conservazione e il recupero del patrimonio edilizio da parte di soggetti privati” (Art. 4, comma II).
Sebbene il legislatore non usi espressamente tale locuzione, la collaborazione delineata (rectius abbozzata dal testo, che come indicato presenta pochi articoli indicanti prevalentemente disposizioni di principio e di indirizzo) rimarca gli istituti di partenariato pubblico-privato che hanno acquisito una crescente rilevanza nello scenario italiano.
In particolare può notarsi la convergenza delle misure comprendenti l’intervento dei privati verso l’istituto del partenariato pubblico-privato delineato dall’Art. 180 del Codice degli Appalti Pubblici, riguardante i contratti a titolo oneroso contratti dall’amministrazione.
Tale assimilazione, coerente soprattutto per gli interventi solamente economici del privato, potrebbe esser criticata alla luce della disciplina indicata nel medesimo articolo, incentrata sulla regolamentazione dei ricavi di gestione e dei fattori di rischio, perlomeno secondari negli interventi prescritti dalla legge per il sostegno dei piccoli comuni.
La rilevanza sociale degli interventi potrebbe portare allora all’accostamento degli stessi all’istituto del partenariato regolato dall’Art. 189 del medesimo Codice, il quale prevede la possibilità di intervento dei cittadini nella realizzazione di opere aventi interesse locale.
Sennonché è la dimensione prettamente sociale degli interventi ascrivibili a tale istituto (alla luce della prevista acquisizione al patrimonio indisponibile dell’opera realizzata) a rendere complessa la riconduzione a tale impianto degli interventi di risanamento, di conservazione e di recupero del patrimonio edilizio da parte di soggetti privati. Ugualmente appare difficoltoso rapportare a tale istituto dei meri contributi economici dei privati coinvolti nell’accrescimento del Fondo per lo sviluppo dei piccoli comuni: tale partecipazione privata sembrerebbe infatti mostrare una preminenza della dimensione economica a quella sociale che costituisce, invece, il fondamento dell’istituto dell’Art. 189 del d.lgs. 50/2016 (non a caso è stato definito “partenariato sociale” dallo stesso Consiglio di Stato chiamato ad esprimersi in sede consultiva sull’istituto).
Diversamente tale istituto potrebbe risultare più idoneo per gli interventi di rigenerazione urbana indicati all’Art. 4, comma I, sebbene solo l’effettiva declinazione degli interventi ricompresi potrà confermarne l’adeguatezza.
Comunque il riconoscimento della rilevanza dei privati, sia nella fase integrativa del Fondo dal lato economico, sia nella concreta declinazione degli interventi di rigenerazione urbana da realizzarsi, mostra un’effettiva consapevolezza della fondamentale partecipazione cittadina all’amministrazione comunale, quand’anche in casi critici come quelli derivanti da catastrofi naturali.
Si manifesta pertanto, anche in un testo avente fini principalmente emergenziali, il riconoscimento del ruolo del privato non solo come destinatario delle misure di sostegno ma quale partecipe, egli stesso, di forme di collaborazione declinabili nelle forme del partenariato pubblico-privato, ora nella sua veste “pura” economica, ora nella sua accezione sociale che, sebbene non possano dirsi del tutto coincidenti con l’idea di co-amministrazione, risultano coerenti con il principio di sussidiarietà orizzontale