Con la delibera del Consiglio comunale n. 129 del 23/11/2017 il Comune di Viterbo ha approvato il proprio Regolamento per l’amministrazione condivisa. Sebbene si tratti di un testo particolarmente snello, possono sottolinearsi alcune peculiarità che caratterizzano l’atto approvato all’unanimità dal Consiglio Comunale viterbese.
Nei 19 articoli il Regolamento riprende l’ordinaria impostazione dei vari testi già analizzati su questa rubrica, partendo dalle definizioni di carattere generale per poi dedicarsi progressivamente alle singole voci che esplicano le forme di intervento, con una particolare attenzione verso le specifiche forme di azioni ed interventi, enucleate in maniera più approfondita ed altresì distinte sulla base della dimensione temporale delle stesse, giungendo alle misure di sostegno fino a concludere il dettato legislativo con norme di carattere tecnico-operativo.
Premessa tale impostazione tipica, approfondendo l’esame del testo e del resoconto della seduta di approvazione risaltano alcune specificità su cui appare opportuno soffermarsi.
L’iter collaborativo
Tali peculiarità si rinvengono peraltro non solo nella declinazione di alcuni degli articoli approvati, ma altresì nello stesso iter decisorio, il cui procedimento è risultato essere particolarmente lungo: il Regolamento infatti era stato già studiato nella precedente legislatura e il cambio di maggioranza derivante dalle elezioni amministrative successive ne ha inevitabilmente sospeso (temporaneamente) l’iter di approvazione, allungando pertanto i termini per arrivare alla sua definitiva approvazione oltre quelli sperati dalle stesse compagini politiche.
Da contraltare a tale lungaggine, sottolineata peraltro dagli stessi membri del consiglio comunale in alcuni degli interventi avutesi durante la seduta di approvazione, occorre sottolineare come il cambio di maggioranza non abbia determinato la decadenza del Regolamento, ma altresì una sua continuazione, sintomatica di un comune sentire, una comunità d’intenti tipica delle realtà dove la collaborazione amministrativa riesce maggiormente ad attecchire ed a svilupparsi.
Un approccio collaborativo che è corroborato dalla lettura del resoconto della seduta di approvazione, dove si evince la volontà, manifestata espressamente, di raggiungere una convergenza tra le varie visioni relative alla declinazione della sussidiarietà orizzontale.
In tal senso è stato accolta la proposta avanzata dalla minoranza di inserire l’istituto del baratto amministrativo all’interno del Regolamento.
Una nuova visione del (fu) baratto amministrativo
Si tratta di un istituto che è stato già approfonditamente trattato in questa rivista nell’ambito degli effetti potenzialmente degenerativi del modello di amministrazione condivisa ispirato alla sussidiarietà orizzontale.
Tuttavia la disposizione introdotta al comma 1-bis all’art. 12, rubricato “Proposte di collaborazione presentate dai cittadini attivi”, del Regolamento per l’amministrazione condivisa di Viterbo appare peculiare e diversa rispetto all’ordinaria declinazione dell’istituto e alla sua impostazione di base fino ad ora data dai suoi fautori.
In primo luogo, tale disposizione risulta indirizzata ai soggetti che si trovino “in condizioni di difficoltà economica e/o lavorativa”. Sebbene l’articolo non stabilisca espressamente tali soggetti come gli unici potenziali beneficiari dell’istituto, il richiamo alla volontà “di permettere [a tali soggetti] di usufruire di tale opportunità” spinge ad interpretare la disposizione in maniera restrittiva, escludendo pertanto dal novero dei destinatari tutti i soggetti che non possono essere inseriti in tale numerus clausus.
Quindi, premessa la necessità di definire quando un soggetto si trovi nella difficoltà economica e/o lavorativa richiesta, evitando che l’istituto riguardi solamente i soggetti che si trovino in una condizione debitoria verso l’amministrazione e quindi perdendo interamente la dimensione solidaristica in virtù di un’obbligatorietà già censurata a suo tempo dalla Corte dei Conti, tale approccio ermeneutico permette di superare la patologica indeterminatezza dal lato soggettivo dell’istituto del baratto amministrativo e le conseguenti critiche sollevate al riguardo dalla dottrina e giurisprudenza chiamate sul punto.
Accanto alla predetta dimensione, il Regolamento si premura anche di limitare l’applicazione dell’istituto dal punto di vista dell’attività svolta, affermando che saranno previste “riduzioni o esenzioni da tributi inerenti il tipo di attività svolta (finalizzata a cura e rigenerazione dei beni comunali, riqualificazione, tutela e valorizzazione del territorio) recependole con una norma specifica nei regolamenti applicativi dei tributi”.
Si tratta di una disposizione molto importante, che limita l’applicazione dell’istituto sia riguardo la preventiva determinazione in un atto generale ed astratto che, regolando lo specifico tributo, riconosce quando ed in che misura il medesimo tributo possa esser ridotto se viene svolta un’attività, sia riguardo alla predetta attività, che deve esser necessariamente coerente e connessa con il tributo di cui si chiede la riduzione o, addirittura, l’esenzione.
Il superamento del baratto amministrativo verso forme di sostegno
Si tratta di un approccio che risulta coerente con i recenti arresti giurisprudenziali, e in particolare appare ripercorrere appieno quanto delineato dalla deliberazione Corte dei Conti Emilia-Romagna 27/2016/PAR che aveva riconosciuto l’illegittimità di un istituto che permettesse tale “baratto” disancorato da una specifica preventiva disposizione regolamentare e la necessità che “sussista una stretta inerenza tra l’esenzione o la riduzione stretta inerenza tra le esenzioni e/o le riduzioni di tributi che il comune può deliberare e le attività di cura e valorizzazione del territorio sopra indicate che i cittadini possono realizzare ”.
La delimitazione dell’istituto a requisiti soggettivi dei potenziali beneficiari e la riduzione dell’ambito di applicazione non solo alla sua puntuale previsione nella normativa dei singoli tributi ma ad uno stretto ed effettivo legame tra l’attività svolta e il tributo ridotto o addirittura esente appare segnare una definitiva rottura con l’istituto denominato “baratto amministrativo”: non più la delineazione di un mero mezzo alternativo di adempimento di un tributo ma strumento per attuare il favor verso le attività di interesse generale previsto dall’articolo 118 ultimo comma della Costituzione, mediante un riconoscimento delle forze che si promanano autonomamente e per solo spirito solidaristico.
Si tratta di “un’inversione di corrente” dell’energia: se nel baratto amministrativo (perlomeno nella forma più propugnata) l’attività viene svolta con il solo fine di avere una riduzione di tributo, e quindi non preesiste alla stessa previsione normativa, nel caso delle attività sussidiarie queste nascono, esistono e si sviluppano per spontanea (e si potrebbe dire automatica) iniziativa dei cittadini, volenterosi di curare cioè che “appartiene” a tutti, i beni comuni. Così la riduzione o l’esenzione di tributi eventualmente prevista dal Comune (sulla scorta di un preesistente Regolamento validante tale scelta) corrisponde a un riconoscimento dell’attività sussidiaria svolta dai beneficiari, favorendone la continuazione e il consolidamento.
Vengono così a perdersi le qualità (negative) del baratto amministrativo prevedendo una forma di sostegno coerente con quella già indicata da Labsus fin dal 2014 quale mezzo di equità, di scelta del Comune di riconoscere la rilevanza, anche economica, dell’attività cittadina mediante un riequilibro dell’imposizione fiscale conscia del minor aggravio di bilancio.
Un ragionamento che appare ricalcare le medesime conclusioni già raggiunte ed esplicate in questa rubrica dal Prof. Gregorio Arena.
Un nuovo modello di implementazione del Regolamento
Dall’analisi si evince un’importante qualità che ha il Regolamento per l’amministrazione condivisa: la capacità di adattarsi, non solo alle realtà locali ed alle loro peculiarità, ma alla stessa evoluzione normativa e giurisprudenziale, facendo propria l’interpretazione che gli organi preposti danno di un istituto e della sua conseguente legittimità o meno. Risultanze che sono state fatte proprie dal Comune di Viterbo nella loro enunciazione del baratto amministrativo, come documentato nella stessa relazione della seduta di approvazione.
Tuttavia, occorre comunque evidenziare alcune contraddizioni che caratterizzano il testo. In primo luogo si evince una “confusione” tra i vari istituti asseritamente connessi con l’amministrazione condivisa: tra le finalità del Regolamento viene indicata la volontà di attuare gli istituti introdotti nel Codice degli appalti pubblici, che non rispondono al medesimo spirito solidaristico alla base dei patti di collaborazione. Occorre poi sottolineare che gli stessi promotori della disposizione approfonditamente analizzata hanno qualificato l’istituto come “baratto amministrativo” e in egual direzione si sono mosse le ritrosie di chi non era favorevole all’introduzione di tale misura; circostanza che potrebbe inevitabilmente ridurre le effettive ricadute in concreto di tale innovazione. A sostegno di ciò appare contraddittoria la stessa collocazione dell’istituto, inserito come disposizione relativa all’iter procedurale dei patti di collaborazione anziché nel capo dedicato alle forme di sostegno.
Inoltre, non convince il ruolo principe che nel testo sembra assumere il Dirigente del Settore Patrimonio, individuato come primario soggetto pubblico artefice della stipula dei patti di collaborazione ed interlocutore delle realtà associative interessate: caratteristica che potrebbe portare ad una deriva dell’interpretazione ed applicazione del Regolamento, e quindi dei patti di collaborazione derivanti, sul versante prettamente economico, frustando la dimensione solidaristica e in controtendenza con quello che è normalmente il bene più interessato dalle proposte, ossia il verde urbano, che presupporrebbe un auspicabile primario coinvolgimento del relativo settore (laddove non si prevedesse invece, come fatto in molti regolamenti, la creazione di un apposito ufficio dedicato appositamente ed esclusivamente a tale scopo).
In definitiva, al netto delle possibili criticità e soprattutto della non piena consapevolezza della forma di sostegno indicata, tralasciando il nomen juris indicato in sede di approvazione e l’errata collocazione della stessa, la misura delineata appare non solo coerente con le agevolazioni prevedibili e dichiarate legittime dalla Corte dei Conti, ma altresì pienamente rispettosa del principio di sussidiarietà orizzontale e del favor in esso previsto.
Viterbo, deliberazione del Consiglio comunale n. 129 del 23 novembre 2017.