La legge regionale del Veneto n. 14 del 2017 ha riconosciuto una forma di rigenerazione urbana finora ancorata alla sola disciplina dei Regolamenti per l’amministrazione condivisa, una scelta che va coordinata con quanto previsto dai Regolamenti.
Rigenerare la città per darle vita nuova
Come gran parte delle normative regionali di nuova generazione in materia di governo del territorio, anche la l.r. Veneto del 6 giugno 2017, n. 14, riconosce la rigenerazione degli ambiti urbanizzati tra i suoi princìpi informatori. Questa legge provvede ad attribuire alla rigenerazione urbana un valore giuridico autonomo rispetto a quello della riqualificazione. Infatti, sebbene anche quest’ultima sia disciplinata dalla normativa in esame, gli interventi ad essa riconducibili si realizzano in quelle aree urbanizzate caratterizzate da situazioni di degrado, sia esso edilizio, urbanistico, socio-economico oppure ambientale. L’obiettivo che invece si cerca di perseguire con i programmi di rigenerazione urbana è quello di dare una vita nuova (art. 2, c. 1, lett. h), punto 4)) ad aree urbane che non necessariamente versano in situazione di degrado fisico.
Oltre il recupero fisico della città
Infatti, gli interventi di rigenerazione possono aver luogo in ambiti urbani caratterizzati dalla presenza di attività di “notevole consistenza”, sia dismesse che da dismettere, che però risultano incompatibili con il contesto paesaggistico, ambientale o urbanistico; oppure, in “parti significative di quartieri” centrali nel contesto urbano, poiché presentano un sistema infrastrutturale della mobilità e dei servizi (art. 2, c. 1, lett. h)). Il fine che si intende perseguire con l’attuazione di questi programmi di rigenerazione urbana sostenibile, pertanto, non si esaurisce nel mero recupero edilizio ed urbanistico delle aree urbane, ma prevede un rinnovamento totalizzante della città, intesa anche sotto il suo profilo sociale. Evitare la segregazione nelle città, superare le disuguaglianze sociali, favorendo la coesione e l’integrazione sociale attraverso la realizzazione di spazi comuni che rendano agevole la socializzazione della comunità, sono ulteriori obiettivi che i comuni con l’approvazione dei programmi di rigenerazione urbana sostenibile intendono perseguire.
La macro-rigenerazione urbana: il ruolo della comunità
Attraverso gli interventi di rigenerazione urbana, si tende ad una rivitalizzazione della città pubblica (art. 3, c. 3, lett. i)), organizzata e gestita in maniera tale da prestare attenzione alle esigenze della comunità locale insediata. Al fine di individuare i bisogni della collettività, quest’ultima è chiamata a partecipare attivamente sia alla programmazione che alla stessa gestione dei programmi di rigenerazione urbana. Infatti, i comuni, attraverso l’adozione del piano di assetto del territorio, individuano gli ambiti urbani di rigenerazione, entro cui, sia i soggetti pubblici, sia gli stessi privati, possono proporre e realizzare gli interventi che danno attuazione ai programmi di rigenerazione. I privati, nel presentare all’amministrazione comunale la proposta di un programma di rigenerazione sostenibile, devono anche allegare uno schema di accordo (art. 7, c. 3, lett. d)), che definisce quali sono gli impegni che le parti intendono assumere, così come le indicazioni di coordinamento dei diversi progetti da realizzare, nonché le modalità di monitoraggio dell’attuazione dell’intero programma. Il contenuto di tale accordo richiama in parte quello dei patti di collaborazione, anche se quest’ultimi disciplinano interventi di micro-rigenerazione che si pongono al di fuori delle scelte di pianificazione territoriale.
Gli interventi rigenerativi fuori dalla pianificazione territoriale
Tale accordo non è il solo elemento che permette di cogliere un collegamento tra la rigenerazione urbana disciplinata dai Regolamenti per la cura dei beni comuni e quella intesa nella normativa regionale in esame. Infatti, per rivitalizzare la città pubblica la si deve anche rendere fruibile nel suo complesso alla comunità. Affinché ciò possa realizzarsi, si riconosce ai privati la possibilità di attuare degli interventi di micro-rigenerazione, scollegati e non previsti al momento della pianificazione del territorio comunale. I privati possono attuare degli interventi di riuso temporaneo del patrimonio immobiliare urbano esistente, dismesso o inutilizzato, così da potergli far riacquisire la propria funzione sociale venuta meno per lo stato di abbandono, attraverso l’attuazione di misure che producono effetti positivi in termini economici, culturali e sociali (art. 8, c. 2, lett. a), b), c), d)). Con tale previsione, la legittimazione a prendersi cura dei beni urbani abbandonati per il perseguimento di interessi generali, per la prima volta, viene riconosciuta anche da una normativa di rango primario, mentre fino all’adozione della l.r. Veneto n.14 del 2017 questa forma di rigenerazione urbana era stata rimessa alla sola disciplina dei Regolamenti per l’amministrazione condivisa.
Dal mancato coordinamento al futuro dei Regolamenti
Questo riconoscimento legislativo apre, però, a diversi problemi: fra tutti si rileva la sovrapposizione di due normative non coordinate tra loro ma che, seppur di rango diverso, disciplinano una forma di micro-rigenerazione che, per i fini perseguiti, è sostanzialmente uguale. Il legislatore regionale con tale previsione non ha tenuto conto di quanto già previsto dai Regolamenti adottati in diversi comuni veneti, né sembra essersi curato dell’efficacia di questi ultimi atti in un contesto che conta la presenza di una normativa primaria. Attualmente, nel concreto, non si rilevano problemi, in quanto la disciplina resta ancora inattuata. Alla luce di quanto rilevato, tuttavia, sarebbe auspicabile che, prima che vengano emanati i decreti di attuazione, si definiscano delle procedure di raccordo con i comuni, in particolare quelli che hanno già approvato il Regolamento, così da garantire ancora spazio a quest’ultimo strumento.
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