Questa serie di contributi intende offrire un’analisi sistematica del tema legato al concetto di “Educazione come bene comune” attraverso l’esplorazione delle normative, politiche e pratiche presenti in Italia, a livello europeo e internazionale.
Come ampiamente discusso nei numerosi contributi di Labsus, è in corso un cambiamento nelle modalità in cui la scuola, l’istruzione e l’educazione vengono concepite, percepite e vissute. Questo spostamento di prospettiva deriva in parte dalla necessità di far fronte a questioni sempre più complesse attraverso l’elaborazione di strumenti e pratiche che sappiano individuare risposte innovative e al tempo stesso sostenibili, sia in termini economici, sia culturali.
In tal senso, il concetto dei beni comuni e i processi legati alla loro governance rappresentano un utile riferimento per attivare risorse e capacità al fine di avviare circoli virtuosi che possano rimettere al centro l’interesse generale e le relazioni tra i cittadini, prima di qualsiasi interesse economico a breve termine e individuale. Come illustrato in un contributo precedente, pensare e “agire” l’educazione come bene comune significa sviluppare un sistema educativo democratico che, per definizione, possa essere partecipato e inclusivo, presupposto per qualsiasi forma di vita in comune.
L’analisi si articola in una serie di tre articoli con l’obiettivo di esplorare principi e strumenti normativi, politiche e pratiche che a livello italiano, europeo e internazionale favoriscono, in modo distinto ma interdipendente, un approccio all’educazione intesa come bene comune.
Scuola, istruzione ed educazione: beni comuni italiani
Questo primo contributo offre un’analisi della legislazione, delle iniziative e delle pratiche più rilevanti sviluppate sul territorio italiano in ambito educativo. L’obiettivo è di mettere in luce i principi costituzionali e le peculiarità del sistema di welfare che consentono da un lato l’attivazione dei cittadini nella condivisione e nella cura di questi fondamentali beni comuni, dall’altro lo sviluppo di pratiche innovative che producano valore comune. Ciò è tanto più necessario se si considerano le persistenti sfide educative cui il sistema italiano è chiamato a rispondere.
Il sistema di istruzione italiano, tra autonomia e tecnicismo
Occorre innanzitutto ricordare come la Costituzione italiana favorisca un approccio partecipativo a numerose attività di interesse generale, sulla base dei principi di solidarietà politica, economica e sociale. Questo approccio è sancito dall’articolo 2, che richiama l’importanza delle formazioni sociali quale possibile luogo di espressione della personalità dell’uomo, e dall’articolo 118, ultimo comma, che promuove “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Senza addentrarci nell’analisi dettagliata delle riforme che hanno segnato il sistema di istruzione italiano, è utile ricordare che l’autonomia scolastica è stata al centro dei provvedimenti che si sono susseguiti nel corso degli ultimi due decenni, fino all’ultima riforma La Buona Scuola. L’articolo 21 della Legge n. 59 del 1997 segna il punto di svolta in questo processo in quanto “modifica radicalmente l’organizzazione del servizio pubblico dell’istruzione ampliando l’offerta formativa delle scuole e promuovendo la loro integrazione con il territorio, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio” (Dal Passo, 2017).
I provvedimenti che hanno portato verso una maggiore autonomia scolastica sono stati ampiamente dibattuti sia a livello nazionale sia locale. In particolare, nelle critiche avanzate al concetto di autonomia è stata rilevata una perdita della concezione culturale della scuola, che ha ridotto il dibattito sulla sfida educativa a un confronto tecnicistico, frantumando il discorso più ampio in merito alla missione culturale ed educativa della scuola.
Affinché l’autonomia scolastica possa essere virtuosa, favorendo un approccio più flessibile e integrato, è necessario che essa non venga ridotta a un mero esercizio tecnico ma sia fondata innanzitutto su di un’etica della responsabilità. In questo senso, il concetto dei beni comuni può rappresentare un utile orizzonte culturale sulla cui base ripensare il sistema scolastico italiano, obiettivo tanto più urgente soprattutto alla luce della crescente complessità dell’attuale contesto educativo caratterizzato da innovazione tecnologica, migrazione e globalizzazione.
Tendenze recenti dell’istruzione in Italia
Nonostante si siano registrati netti miglioramenti in riferimento agli obiettivi previsti dal Quadro Strategico Europeo per l’istruzione e la formazione 2020 e all’Obiettivo 4 della nuova agenda globale per lo sviluppo sostenibile, l’Italia si mantiene ancora distante dalla media europea. Secondo il rapporto Istat sul Benessere Economico e Sostenibile, nel 2017 il tasso di abbandono scolastico è sceso di quasi un punto percentuale, ed è aumentato tra i giovani il tasso di completamento degli studi terziari, raggiungendo per la prima volta alcuni degli obiettivi nazionali previsti in Europa 2020.
Ciò detto, e pur essendosi leggermente ridotto il divario con gli altri paesi europei, l’Italia occupa ancora le ultime posizioni della graduatoria europea in materia di istruzione e formazione. In particolare, il tasso di abbandono precoce degli studenti nati all’estero rimane molto elevato (30% in confronto al 19,7% della media europea); l’Italia è penultima per tasso di conseguimento di un titolo terziario (26,2% contro il 39,1% della media europea), seguita solo dalla Romania. Inoltre, la quota di italiani in possesso di alte competenze digitali è sostanzialmente inferiore rispetto della media europea (19,5 contro il 28% a livello europeo) e rimane altresì “elevata la quota di quindicenni che non raggiunge la soglia minima delle competenze giudicate indispensabili per potersi orientare negli studi, sul lavoro e più in generale nella vita”, come illustrato da Enrico Giovannini nel suo ultimo libro L’Utopia Sostenibile.
Le sfide del contesto educativo
È utile al tempo stesso integrare queste riflessioni con informazioni più generali riguardo lo stato dell’educazione in Italia che sono connesse ma che non si limitano al sistema di istruzione formale. Dallo scorso anno si è registrata un’inflessione della partecipazione alle attività culturali, ossia di persone che, secondo l’Istat, hanno praticato tre o più attività culturali nei dodici mesi precedenti (BES, 2018). Un ulteriore problema è rappresentato dal tasso consistente di analfabetismo funzionale che colpisce il 28% degli italiani, seguiti in Europa solo dalla Turchia e a livello OCSE solo da altri tre paesi. Si tratta di un fenomeno preoccupante che non riguarda tanto l’incapacità di leggere un testo (analfabetismo), quanto piuttosto di elaborarne e utilizzarne le informazioni. È infatti dimostrato che, senza pratica, le capacità legate all’alfabetizzazione possono essere perse progressivamente.
Queste tendenze segnalano l’emergere di rischi preoccupanti non solo per lo sviluppo ma anche per la tenuta del sistema democratico del nostro Paese. Al fine di arginare queste tendenze, si rende sempre più necessaria l’implementazione di una strategia educativa che sia integrata e condivisa, alla cui realizzazione sono chiamati a contribuire i diversi attori della società. Lo Stato mantiene ovviamente la responsabilità principale nell’assicurare opportunità educative di qualità per tutti. Allo stesso tempo, e considerando la complessità dei cambiamenti e delle sfide del panorama educativo nazionale e mondiale, questa responsabilità deve essere condivisa necessariamente nell’ambito di una visione culturale che si ispiri ad una concezione dell’educazione intesa come bene comune, alla cui cura sono tutti chiamati a rispondere.
Esperienze virtuose e innovative
Se da un lato l’Italia non primeggia in quanto a risultati e a livelli di qualità dell’istruzione, è comunque ampiamente riconosciuto che il nostro paese vanti una tradizione non trascurabile di valorizzazione e di collaborazione con la comunità resa possibile dal nostro sistema di welfare. Nel corso degli anni sono stati registrati numerosi progetti volti a ripensare l’attuale modello scolastico in favore di una crescente partecipazione dei cittadini e degli attori locali.
Le “Scuole Aperte” e le “Scuole al Centro”, iniziative promosse dal MIUR nel corso degli ultimi anni, hanno avuto l’obiettivo di rispondere alle sfide e alle trasformazioni del panorama educativo italiano attraverso la promozione di progetti che investissero su maggiore apertura e inclusione per il contrasto alla dispersione scolastica grazie all’attivazione delle energie locali. Si sono così sperimentate nuove forme di dialogo e di progettualità tra i diversi attori del territorio che hanno consentito lo sviluppo di sinergie inedite capaci di attrarre finanziamenti.
A queste sperimentazioni si sono affiancate le iniziative di amministrazione condivisa promosse da Labsus in alcuni comuni italiani. Grazie alla stipula di Patti e collaborazione è stato possibile promuovere una maggiore valorizzazione, integrazione e condivisione delle responsabilità degli attori scolastici classici con le forze e attori presenti sul territorio, promuovendo una piccola, grande, rivoluzione culturale. Nell’ambito di queste iniziative, le scuole hanno così potuto realizzare solide alleanze con le amministrazioni comunali, i cittadini e le cittadine, e diventare veri e propri poli civici di quartiere attraverso cui promuovere forme inedite di cittadinanza attiva.
Una questione sostanziale di democrazia
Queste iniziative e sperimentazioni si rendono sempre più necessarie nell’ambito di un approccio integrato all’educazione che non venga ridotto al sistema di istruzione scolastica ma che, in maniera più aperta e flessibile, favorisca l’apprendimento nell’arco di tutta la vita e in tutte le sue dimensioni. Come sottolineato dal rapporto UNESCO (2015) “Ripensare l’educazione”, infatti, all’insegnamento scolastico si dovrebbero affiancare gli altri aspetti della vita sociale, quali istituzioni sociali, ambiente di lavoro nonché occupazione del tempo libero e svago. È necessario che le persone siano poste nelle condizioni di assumere responsabilità, ossia di essere in grado di acquisire le conoscenze e di sviluppare le competenze necessarie per il libero esercizio delle proprie responsabilità. Ciò è alla base del concetto di educazione come bene comune che promuove lo sviluppo di forme di responsabilità condivisa e di partecipazione attiva da parte degli attori presenti nella società al fine di creare un sistema educativo più inclusivo, democratico e rilevante.
L’educazione riveste un ruolo fondamentale nell’accesso a un sistema integrato di conoscenze, condizione essenziale per la democrazia, e dovrebbe pertanto essere identificata come una delle questioni più decisive per il buon funzionamento degli stati moderni. Considerare l’educazione come bene comune significa porre al centro la questione democratica del nostro paese, incoraggiando lo sviluppo di quelle esperienze virtuose e innovative che favoriscono il rafforzamento delle capacità delle persone – di ogni età e nei diversi contesti – di prendere (responsabilmente) parte attiva alla vita della società.