Il 5 ottobre 2018 si è tenuto a Livorno il convegno “Azione Pubblica Partecipata – Cantieri toscani dell’innovazione locale e regionale”. La giornata è stata dedicata al tema della progettazione partecipata e del suo rapporto con l’innovazione democratica. L’evento si è significativamente svolto presso lo storico Cisternino di Città, struttura la cui stessa fruibilità si deve al successo del progetto partecipativo “Cisternino 2020”. Ha partecipato ai lavori il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia Diretta, Riccardo Fraccaro.
Le attività della mattinata sono state aperte dalla presentazione della complessa e variegata realtà dei progetti di partecipazione attivati nel comune di Livorno. La città ha saputo trarre considerevole vantaggio dalle possibilità offerte dalle leggi regionali sulla partecipazione succedutesi in Toscana dal 2007 a oggi. L’analisi dei 4 progetti di partecipazione discussi (“Salute”, “Quartieri Eco Solidali”, “Scuole APPerte”, “Porta a mare”) ha offerto prova concreta non solo della efficacia dello strumento partecipativo, ma anche della grande diversità di situazioni alle quali può dare adeguata risposta.
Partecipazione e fiducia
Lo scenario della partecipazione nel contesto livornese ha fatto da utile base per le discussioni a seguire, il cui tema centrale è stata la natura del ruolo dei meccanismi partecipativi all’interno di processi di innovazione democratica.
L’avvio al dibattito su questo importante argomento è stato dato dal Ministro Fraccaro. Nel suo intervento, il Ministro ha evidenziato come oggigiorno la partecipazione pubblica possa ridurre il diffuso senso di sfiducia nelle istituzioni, che sta da tempo alimentando frustrazione verso la stessa idea di democrazia rappresentativa. L’esperienza di un progetto di partecipazione consente al cittadino di innescare nuove forme di responsabilizzazione nei confronti della vita di comunità, conseguentemente garantendo la crescita civica indispensabile per ricreare fiducia nell’interlocutore istituzionale. Il Ministro segnala tuttavia come lo strumento partecipativo possa essere addirittura controproducente a questo fineladdove non venga accompagnato da meccanismi atti a sottrarre al potere pubblico la possibilità di rimanere inerte rispetto all’attivazione del cittadino. La partecipazione pubblica non può infatti raggiungere il suo pieno potenziale di innovazione democratica senza essere accompagnata da strumenti di democrazia diretta: in questa visione, la partecipazione pubblica diventa innesco di una vera e propria “riappropriazione di sovranità” da parte dei cittadini ai danni di una classe politica strutturalmente inadatta ad incontrare le loro necessità.
Questa tesi, quanto mai rilevante dato l’alto ufficio governativo del proponente, è stata utilmente problematizzata nel prosieguo della conferenza.
La democrazia diretta non basta
Il professor Gangemi (Università degli Studi di Padova) ha sottolineato come l’inerzia dell’interlocutore istituzionale non sia l’unico problema strutturale dei meccanismi di partecipazione. Bisogna sempre considerare anche la possibile presenza di soggetti che ne ostacolino consapevolmente i fini, attraverso strumentalizzazioni egoistiche dello strumento partecipativo oppure azioni di ostacolo volte a garantirne il fallimento. Un sistema di partecipazione che non si armi nel senso di poter neutralizzare tali condotte sarebbe intrinsecamente inadatto a costituire stabile risorsa di innovazione democratica.
Un differente approccio, sia disciplinare che metodologico, è stato offerto dal professor Sorice (Università LUISS). Con riferimento all’opporre tra loro da un lato democrazia diretta e partecipazione attiva, dall’altro la democrazia rappresentativa, si sottolinea come bisogna fare attenzione a non ridurre il concetto di rappresentanza al mero esito elettorale. Così facendo si trascura che il pericolo maggiore per la democrazia in senso generale sta nel venir meno del pluralismo delle voci al suo interno. In questo senso, il riporre eccessiva fiducia nella predisposizione di strumenti di democrazia diretta può avere effetti altamente antidemocratici: invece di un risanamento nel senso della reale partecipazione al dibattito sulla gestione delle esigenze della comunità, condiviso da tutte le sue componenti, si torcerebbe il sistema in senso plebiscitario, appiattendo il concetto di partecipazione su quello di avallo della direzione politica di turno.La partecipazione, da meccanismo di inclusività deliberativa e di garanzia di emersione delle esigenze di chi nella comunità ha bisogno, diventa mero strumento di aggregazione del consenso.
La democrazia diretta da sola, quindi, non fornisce reali soluzioni al corrente stato di “depoliticizzazione” dei cittadini, neanche assistita dall’elemento partecipativo. D’altro canto, è evidente la necessità di reagire allo svuotamento di rappresentatività delle istituzioni, le quali, legate ad una concezione sempre più tecnicizzata della amministrazione, più economica che politica, dall’essere “governo” sono ormai percepite come mera “governance”.
Al rischio di torsione plebiscitaria del concetto di partecipazione, così come al deficit di rappresentatività istituzionale, si può rispondere proponendo un nuovo modello di cittadinanza attiva, come quello dell’amministrazione condivisa dei beni comuni: un modello basato sulla condivisione di conoscenze civiche, sul coinvolgimento diretto dei cittadini nella determinazione dell’interesse generale, sul senso di inclusività come base della partecipazione pubblica e fonte di innovazione democratica.