Nel 2017, al termine di un processo partecipativo esemplare, la città di Ferrara ha approvato il proprio regolamento per la cura dei beni comuni urbani. Sicuramente ispirato al prototipo ideato da Labsus, il testo che ha avuto l’approvazione definitiva è il risultato di una rielaborazione molto profonda, evidentemente frutto dei momenti di confronto tra amministrazione e cittadinanza e del proficuo dialogo che ne è scaturito.
Una genesi partecipata
Tutto ha inizio grazie al percorso partecipativo Ferrara Mia, ideato dal èFerrara Urban Center e cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna, che si è svolto in due fasi a cavallo tra il 2015 e 2016 e ha visto una massiccia partecipazione diretta ed indiretta di persone. Il percorso aveva, in realtà, una pluralità di obiettivi ma, in seno ad esso, ha avuto avvio anche il procedimento di elaborazione nella città estense di un Regolamento sui beni comuni, conclusosi con la seconda fase del processo, quale coerente proseguimento delle esperienze positive precedentemente maturate.
Tale processo ha avuto termine nel luglio del 2016 con l’approvazione di un atto complesso, contenente tre elaborati: una ‘Carta dei beni comuni’ (manifesto di principi e azioni civiche), il documento ‘dalla carta al regolamento’ (che armonizza la Carta con l’ossatura del futuro regolamento), e le ‘conclusioni’ (che sintetizzano gli impegni tra amministrazione e i cittadini partecipanti al percorso). In coerenza con queste ultime, l’Unità di progetto Ferrara Mia ha proseguito i propri lavori delineando un ulteriore documento contenente le “Linee guida operative per i primi due anni di sperimentazione (2017-2019)”, che sono state adottate contestualmente al “Regolamento comunale per la partecipazione nel governo e nella cura dei beni comuni” nella seduta del Consiglio comunale del 20 marzo 2017.
Partecipativo nel suo dna
Come si è anticipato, il regolamento estense porta impresso nella propria articolazione e struttura il processo partecipativo di cui è l’esito, ragione per cui la sua analisi si presenta di particolare interesse. Sicuramente innovativa è l’adozione di un documento prodromico, la “Carta dei beni comuni”, cui è dedicato l’intero art. 2 del Regolamento. La Carta individua i principi fondamentali e le azioni collettive attraverso cui vengono esercitati la cura e il governo partecipato dei beni comuni; é fondamento interpretativo del Regolamento; ne indirizza la sperimentazione, la valutazione e il costante aggiornamento.
I profili organizzativi
L’Urban center è la struttura deputata al coordinamento, è l’interlocutore unico con i soggetti proponenti e li segue in tutta la fase di progettazione e di svolgimento delle iniziative. Nel caso fossero proposte iniziative che presentino maggiori complessità, l’Urban center e altri uffici tecnici interni dell’amministrazione comunale possono riunirsi collegialmente nel gruppo di lavoro “Beni comuni”, per supportarne l’avvio. Questo organo collegiale ha anche il compito di analizzare criticamente le pratiche attive e valutarle, occuparsi della formazione interna e dell’individuazione e attivazione dei cosiddetti Uffici tutor. Quest’ultimi non sono altro che le articolazioni interne dell’amministrazione chiamate ad esercitare le proprie competenze specifiche nell’attivazione delle pratiche aventi maggiori complessità ovvero che risultino strategiche nell’ottica dell’amministrazione comunale; possono prendere parte, a chiamata, del gruppo di lavoro “Beni comuni”; possono effettuare sopralluoghi per verificare lo stato delle attività. Ciascun Ufficio tutor, sulla base delle proprie competenze, è chiamato poi ad individuare le azioni-tipo da ritenersi strategiche, con le conseguenze che si diranno sul piano del riparto di responsabilità per illecito civile tra amministrazione comunale e comunità di pratiche e della risoluzione di eventuali contrasti.
Un’amministrazione che agisce empaticamente
Entrando così nel profilo dell’attività amministrativa, è emblematico che venga indicata l’empatia amministrativa quale nuovo principale strumento che gli uffici preposti devono impiegare nella «attività di ascolto dell’entusiasmo particolare» e nell’esplorazione e analisi dei contesti. A ribadire ulteriormente questo tratto, si legge nel testo dell’atto regolamentare che l’azione dell’amministrazione comunale è finalizzata alla normalizzazione dell’attività di ascolto delle persone, alla co-progettazione e collaborazione, alla semplificazione delle procedure esistenti, alla legalizzazione e formalizzazione di contesti di partecipazione civica. Ne deriva un processo induttivo di organizzazione e sistemazione delle pratiche che inizia dal riconoscimento delle azioni-tipo ricorrenti nelle comunità locali esistenti, anziché essere il risultato di una rigida distinzione teorica e aprioristica. Attraverso l’attività sul campo degli Uffici tutor e dell’Urban center vengono svolte l’esplorazione e l’analisi dei casi, tradotte poi in un “Quadro di azioni-tipo” e in un “Quadro dei beni comuni”, documenti di sintesi delle varie azioni ed esperienze in corso, di cui si assicura il costante aggiornamento.
Le comunità di pratiche, ovvero i cittadini attivi
Ci si imbatte, poi, in un nuovo termine – quello di “comunità di pratiche” – per individuare coloro che nel Regolamento prototipo di Labsus sono i cittadini attivi («i soggetti, singoli, associati o comunque riuniti in formazioni sociali, anche informali») che si attivano per l’individuazione, la cura e il governo di determinati beni comuni. Viene anche fornito un elenco, da considerare non esaustivo, di possibili soggetti formanti comunità di pratiche, posto che esse debbano garantire la massima apertura verso l’esterno e l’assenza di finalità di lucro. Permane, infine, il principio rappresentativo, per la sottoscrizione del patto e per tenere le relazioni dirette con l’amministrazione comunale.
Nel solco del processo partecipativo generativo del regolamento, è degno di nota l’obiettivo di costituire una rete delle comunità di pratiche. Infatti, è sancito che l’agire comune non si esaurisca all’interno della singola comunità o nelle relazioni tra questa e la pubblica amministrazione, ma anzi presupponga una rete tra le varie comunità che ne stimoli il confronto e la conoscenza reciproca. Per questa ragione si stabilisce che l’Urban center debba predisporre un calendario di incontri di aggiornamento e confronto. Inoltre, sul suo sito internet sono previste sezioni dedicate i cui materiali potranno essere forniti e incrementati su iniziativa dei soggetti promotori.
Le categorie di attività
Ancora nel segno dell’innovazione, tre sono le diverse modalità di attuazione delle iniziative, in funzione del loro grado di complessità: quelle spontanee, che non richiedono particolari formalità per il loro avvio; quelle che richiedono una previa comunicazione all’amministrazione; infine, quelle che presuppongono la sottoscrizione di un Patto. L’amministrazione comunale ha l’obbligo di individuare quali tipologie di azioni ricadono nelle prime due tipologie di attività e, ove opportuno, di predisporre la modulistica necessaria. In caso di dubbi sul procedimento da seguire, sarà l’Urban center che, di concerto con gli Uffici tutor, indicherà l’iter attuativo più appropriato. Degna di particolare nota è la disposizione per cui, in ogni caso, vige la logica della complementarietà con gli operatori pubblicistici, non quella di una loro sostituzione.
I patti: tipologie e procedimento di adozione
La definizione di Patto data all’art. 10 riprende quella fornita dal regolamento prototipo di Labsus, così come sostanzialmente uguali sono i contenuti. Differenti, invece, sono le categorie tipologiche dei patti. Infatti si ritiene che ciascun patto sia ascrivibile ad una delle tre diverse possibili forme di dialogo, elencate secondo una logica di complessità decrescente: la ‘collaborazione fattiva’ nel caso di azioni strategiche; la ‘condivisione della responsabilità’ per azioni non strategiche; ed infine il mero ‘riconoscimento della comunità/iniziativa’. Per ciascun tipo di azione, l’Ufficio tutor competente per materia redige uno schema-tipo di patto cui fare riferimento, da adeguare poi in relazione alle peculiarità delle singole esperienze.
Il procedimento di elaborazione e approvazione del patto è puntualmente disciplinato. L’iniziativa è sempre dei soggetti interessati, che sono tenuti a rivolgersi all’Urban center. Sarà questo poi a prendere contatto con l’Ufficio tutor competente e, nel caso di proposta innovativa e non già codificata, a convocare il Gruppo di lavoro “Beni comuni” per una valutazione congiunta della proposta. L’Ufficio tutor seguirà il proponente nella formalizzazione della proposta e fornirà il necessario supporto alla progettazione. Ciascuna proposta dovrà essere sottoposta alla valutazione degli uffici competenti, i quali sono chiamati ad esprimersi entro 60 giorni per il tramite dell’Ufficio tutor. Nel caso di più proposte che vertano su un medesimo bene, sono stabiliti i criteri da tenere in considerazione per stabilire quale debba avere la priorità. Degno di nota è che gli interventi sugli spazi pubblici (art. 13) debbano essere condivisi con le persone che abitano nei pressi delle aree interessate e che nessuna delle attività svolte possa contrastare con la fruizione collettiva dei medesimi.
Le responsabilità
Per quanto concerne il problema delle responsabilità – su cui si veda anche quanto stabilito dalla Corte di conti – l’art. 12 dispone che il Comune di Ferrara garantisca la copertura assicurativa contro gli infortuni ai soli soggetti sottoscrittori di patti inerenti àmbiti o aree strategiche, ferma restando la natura non pericolosa delle attività svolte e l’accertamento del possesso delle capacità pratiche specificamente necessarie. Per le altre tipologie di intervento, il regolamento imputa le eventuali responsabilità civili e penali ai soggetti coinvolti.
Alcune considerazioni
Al di là delle numerose novità che sono state menzionate, il testo estense è – a giudizio di chi scrive – quanto di più compiuto e autentico sia stato elaborato finora sul solco dell’iniziativa di Labsus per la diffusione del regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni. In ogni sua disposizione trapela la spinta propulsiva e l’energia impressa dai cittadini attivi nelle sue fasi generative, legate al progetto partecipativo Ferrara Mia, ma anche l’autentica volontà di ascolto di quelle istanze da parte dell’amministrazione estense. Sintomatico di un profondo rispetto per questo risultato, è il fatto vi sia in più punti un’ammissione di perfettibilità, un’apertura verso la crescita incrementale del regolamento approvato, tramite il dialogo e il confronto di esperienze, da tenere vivo e costante non solo tra comune e cittadinanza ma anche tra comunità di cittadini attivi fra loro. Come se l’amministrazione redigente mantenesse viva l’attenzione sul fatto che il testo approvato non è soltanto un atto proprio, ma il frutto della collaborazione e del sentire della popolazione che vive in quel territorio comunale. Un atto, perciò, che muta necessariamente con la sua società e che però pone le basi di un nuovo agire e di una nuova funzione amministrativa, di cura condivisa dei beni comuni e di ascolto “empatico” delle istanze sociali del territorio.