Profondamente disorientati, come una barca in un bosco: posata sulla terra, fuori posto, all’ombra di alberi scuri, come possiamo sentirci?
Anzitutto fragili: viviamo cambiamenti profondi, in giorni in cui principi e valori che sembravano acquisiti vengono invece continuamente messi in discussione. Incertezza e precarietà alimentano paure. Il patto sociale su cui è nata la nostra Costituzione rischia di rompersi, eppure i padri e le madri costituenti ci avevano avvisato: “attenti perché la libertà è come l’aria: ci si accorge che non c’è solo quando viene a mancare”. Egoismo, incapsulamento nelle proprie solitudini, senso di incapacità e costrizione al dovere alimentano attitudini passive. Chi governa e amministra la cosa pubblica raramente valorizza il senso di responsabilità, propria e dei cittadini, quale elemento centrale nella relazione con i cittadini. Ma ciò che più spaventa sono i comportamenti di chiusura e razzismo, che discriminano il genere, l’origine, la (non) cittadinanza, la condizione sociale, il credo religioso, l’orientamento sessuale, le disabilità: quante volte questi elementi sono penalizzanti, sotto i nostri occhi, e noi siamo spettatori di evidenti ingiustizie sociali? Il clima è di generale disattenzione a chi ha esigenze “diverse” quando non di nervosismo verso situazioni non “normali”.
Fa paura che anche gli interventi di cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni siano talvolta organizzati solo per “i nostri” e in modo da escludere altri cittadini potenzialmente interessati a dare il proprio contributo aggregandosi alle attività. In questo senso non aiuta l’opacità di quelle amministrazioni che non garantiscono sempre la massima conoscibilità delle opportunità di collaborazione, delle proposte pervenute, delle forme di sostegno assegnate, delle decisioni assunte, dei risultati ottenuti e delle valutazioni effettuate. Si abbassa l’attenzione sulla trasparenza come strumento principale per assicurare l’imparzialità nei rapporti con i cittadini attivi e la verificabilità delle azioni svolte e dei risultati ottenuti, salvo poi scontrarsi con responsabili tecnici e politici, ma anche soggetti privati e del mondo delle associazioni, che lamentano un’eccessiva formalità, mancanza di flessibilità e semplicità nelle relazioni con l’amministrazione. Infine, tanto a livello generale quanto localmente, spiace che non venga dato più spazio a temi come la prossimità e la territorialità: il valore delle comunità locali, definite sulla base di identità storicamente determinate o di progettualità in atto, non è sufficientemente riconosciuto.
La cura dei beni comuni: come una pioggia
Quando inizia a cadere, nel bosco, la pioggia provoca un certo fastidio. Bagna la barca, la sposta da una posizione che non era la sua e in cui stava male, ma che almeno conosceva perfettamente. Ma l’acqua non smette di battere su tutto, s’infiltra ovunque, arriva alle radici, spinge la barca più in là…
La cura dei beni comuni, rispetto ai sentimenti negativi che abbiamo descritto sopra, è come una pioggia di antidoti. E qui vogliamo provare ad elencarne alcuni.
- La fiducia, che ha il sapore della rivoluzione. Le città e i territori, dove tocchiamo con mano le diseguaglianze, diventano il luogo privilegiato delle relazioni, delle opportunità, delle sperimentazioni. Attraverso la cura dei beni comuni si aprono percorsi nuovi, che hanno, in definitiva, il merito di dare nuova linfa alla democrazia. Sarà la fiducia tra i cittadini attivi e l’amministrazione a sconfiggere la paura, immaginando e gestendo insieme attività di interesse generale.
- La solidarietà, intesa come sviluppo di particolari capacità che gli abitanti hanno, ad esempio, nel campo della salute piuttosto che dell’animazione sociale, che possa esprimere non solo e non tanto ubbidienza civica, quanto vero senso del piacere di esprimersi, oltre che di stare insieme.
- L’autonomia e la responsabilità, in un’epoca in cui la prima sembra essere intesa più come forma di egoismo, chiusura e gretto localismo è urgente sottolineare l’importanza e la necessità di riannodare i fili tra territori, persone, luoghi. In questo senso l’autonomia è l’esatto opposto della separazione, per divenire consapevolezza dei diritti e doveri che ci accomunano. Autonomia e responsabilità sono le caratteristiche che legano storie e regioni diverse legate da esperienze di cura e rigenerazione di beni comuni attraverso patti di collaborazione capaci di opporre alle idee di separazione principi di condivisione e valorizzazione di ogni contesto e ciascuna realtà.
- L’inclusione sociale, che caratterizza i migliori processi di rigenerazione prodotti dall’amministrazione condivisa, protesi a rendere partecipi i soggetti tradizionalmente esclusi e, proprio per questo, profondamente differenti da altre politiche di riqualificazione – talvolta anch’esse chiamate di rigenerazione – che invece sono mosse da obiettivi diversi (anche se legittimi) di esclusione e di espulsione di ceti sociali meno abbienti o di categorie sociali disomogenee. L’obiettivo di salvaguardare l’inclusione larga dei cittadini è garantita da tre condizioni:
– le azioni di rigenerazione dell’amministrazione condivisa sono sempre finalizzate a garantire l’uso collettivo dei beni e degli spazi rigenerati;
– eventuali competizioni che si sviluppino tra più cittadini sull’uso di un bene o di uno spazio non sono risolte secondo regole di concorrenza, ma secondo soluzioni di dialogo collaborativo guidato dalle pubbliche amministrazioni;
– la rigenerazione di beni e spazi non può avvenire senza coinvolgere chi, pur in condizioni di disagio, vive quei luoghi. La rigenerazione dell’amministrazione condivisa non prevede la sostituzione di un gruppo sociale omogeneo (per etnia, cultura o classe sociale) con altri. - L’attivismo contro le discriminazioni e per le pari opportunità perché ogni persona è una risorsa! Con le sue competenze, la sua creatività, il suo tempo, la sua storia. Stato e mercato, da soli, non riescono a rispondere al grande tema di oggi: la lotta alle diseguaglianze. Le azioni positive, la valorizzazione delle differenze, le storie costruite nel Paese attraverso la cura dei beni comuni fanno emergere un valore universale, la diversità come ricchezza. Le discriminazioni si abbattono costruendo relazioni. Origine etnica, culture e religioni diverse, orientamento sessuale, attraverso l’incontro e il lavoro in comune non rappresentano più elementi di divisione ma la base per una società aperta e inclusiva.
- La trasparenza, su cui si fonda l’amministrazione condivisa. Con questa non si intende solamente che le procedure e i processi finalizzati alla stipula e alla realizzazione dei patti devono essere pubblici e tracciati sui siti delle amministrazioni locali, ma occorre anche garantire in ogni momento la partecipazione alla realizzazione dei patti di nuovi cittadini, oltre a quelli che hanno assunto l’iniziativa di avvio, purché – ovviamente – condividano gli obiettivi del patto. La trasparenza dell’amministrazione condivisa è dunque non solo conoscenza e conoscibilità, ma anche partecipazione ampia alla sua realizzazione.
- L’informalità: l’amministrazione condivisa è una soluzione innovativa per risolvere problemi di interesse generale, non solamente perché è fondamentale garantire sul piano del metodo un confronto tra amministrazione e cittadini, ma anche perché valorizza l’informalità delle espressioni sociali in un duplice senso. In primo luogo, infatti, a stipulare accordi con le amministrazioni sono anche gruppi non necessariamente strutturati, singoli cittadini e comunità diffuse, ancorché si chieda loro di avere comunque un rappresentante come interlocutore dell’amministrazione; in secondo luogo, l’informalità è esaltata anche sul piano oggettivo perché l’amministrazione condivisa non ha l’obiettivo di trasformare in istituti giuridici classici (autorizzazioni, concessioni, appalti) azioni di valore sociale, ma semplicemente di dare dignità istituzionale e giuridica a soluzioni di autogestione sociale senza reprimere la creatività prodotta dai gruppi sociali. L’amministrazione condivisa è dunque finalizzata a emancipare le esperienze sociali che soddisfano interessi della collettività.
- La consapevolezza del valore della prossimità e della territorialità, in quanto esiste una scala innata a intensità variabile che regola il sentimento che ci lega a un luogo, talvolta facendocelo percepire più vicino e più nostro, talaltra più distante e lontano. Allo stesso modo è possibile attribuire alle relazioni umane una gradazione di forza che ci muove a una solidarietà più spontanea e immediata, un sentimento che diventa sempre più astratto quanto più le relazioni diventano impersonali o mediate. I termini che esprimono quell’intensità, facendo emergere la forza e lo spirito di una comunità, sono la territorialità e la prossimità. Non sono e non devono essere termini esclusivi ed escludenti, ma costituiscono l’orizzonte sensibile entro cui l’uomo va in cerca di sé e di un senso comune, accompagnandosi per questa via ai suoi concittadini, compagni di viaggio. Il cittadino “prossimo” è colui che ci vive accanto, è chi si incrocia negli spazi comuni, il vicino di casa, il collega di lavoro, il genitore che frequenta, il parco dove gioca il nostro bambino insieme al suo, il pensionato che riconosce ancora i luoghi di quando era ragazzo e che ora li racconta e li condivide con i più giovani, e ne ripercorre la storia attraverso le emozioni. Il prossimo è colui con cui ci è più facile stabilire una relazione, entrare in sintonia per avviare un confronto su problemi e questioni comuni, che riguardano l’ambiente in cui abbiamo deciso di costruire il nostro futuro e tessere la rete delle nostre relazioni. Così il territorio è lo spazio intorno a noi, quello appunto della “prossimità”, che osserviamo con speranza e vorremmo migliore, quello in cui siamo nati o viviamo, a cui ci leghiamo con sentimento e desiderio di cura, quello che immaginiamo più bello e che vorremmo lasciare così, in dono, a chi sarà dopo di noi.
La portata politica della società della cura
E alla fine l’acqua, bene comune per eccellenza, riportò la barca in mare.
È possibile sentirci al nostro posto e ottimisti solo attivandoci insieme a coloro che ci sono “prossimi” nel senso che, come noi, sentono l’urgenza di cambiare le cose e di costruire un mondo migliore in cui vivere partecipando al bene comune. Questo spirito rafforza la volontà di cooperazione e riduce le distanze fra le persone e le istituzioni. Non a caso, l’amministrazione dei beni comuni si fa più “condivisa” nelle comunità locali, dove le identità, le storie, le progettualità si incontrano, si intrecciano e dialogano con più facilità, mostrando il loro potenziale inclusivo grazie soprattutto ai patti di collaborazione che fanno della prossimità e della territorialità un principio irrinunciabile. Ma quello dei “commoners” è un movimento globale. L’amministrazione condivisa dei beni comuni, c’è da dire, è un’innovazione tutta italiana. Le migliaia di patti di collaborazione stipulati nei 180 Comuni che la stanno praticando lanciano, anche in ambito internazionale, un messaggio importante: si può fare!
Ma quale sia la possibile portata politica della nostra comunità “di cura” è una domanda che lasciamo aperta a chi si sente di farne parte. Ci interessa il parere di tutti: di coloro che sono attivi nei patti di collaborazione con ruoli diversi, così come di chi ha riflessioni a proposito. Scriveteci, via social o su contatti@labsus.net.
E buon anno nuovo insieme a Labsus!