Per la prima volta sulle pagine di Labsus ci troviamo a commentare un regolamento adottato da un’Unione di Comuni, quella della Romagna Faentina. La particolarità di questa esperienza sta nel fatto che la sinergia per la cura dei beni comuni nasce all’interno di un’ente territoriale sovra-comunale, disciplinato dall’art. 32 decreto legislativo n. 267/2000, qual è l’Unione di comuni, il cui scopo istituzionale è «l’esercizio congiunto di una pluralità di funzioni».
Un’esperienza apripista
In altri termini, qualora due o più Comuni scelgano – nell’esercizio della propria autonomia – di spogliarsi di alcuni dei propri compiti per delegarli al nuovo ente che li rappresenta, l’atto regolamentare è adottato da un unico organo collegiale (il Consiglio dell’Unione) e trova applicazione in tutto il territorio interessato. In quest’ottica, quella dell’Unione della Romagna Faentina rappresenta un’esperienza apripista, che desta vivo interesse per i possibili effetti che potrebbero prodursi nella diffusione del regolamento di Labsus tra le numerosissime Unioni di comuni presenti in Italia.
Il processo partecipativo a monte della sua adozione
La seconda caratteristica degna di nota è che l’iter di adozione di questo testo normativo scaturisce da un progetto denominato “Patto di governance collaborativa” che ha dato vita ad un percorso partecipativo, denominato “Fermenti”, svoltosi a cavallo tra il 2017 e 2018. Il testo del regolamento, elaborato da un gruppo di lavoro intersettoriale, è stato sottoposto durante tre incontri di approfondimento ad una discussione allargata, a cui sono stati chiamati a partecipare non solo i membri del Tavolo di Negoziazione del percorso “Fermenti”, ma anche i capigruppo di ciascuno dei sei Consigli comunali e i singoli cittadini che ne avessero avuto interesse. Grazie a ciò, il regolamento approvato si è ulteriormente arricchito, trovando al contempo una più ampia e solida legittimazione popolare.
Flessibilità e coesione territoriale
Ovviamente, dalla particolarità di un regolamento sovra-comunale, scaturiscono alcune conseguenze. Ad esempio, il fatto che esso si proponga come obiettivo programmatico di «aumentare la coesione delle comunità locali e il capitale sociale del territorio», senza tuttavia tralasciare di riconoscere il ruolo degli enti sub-comunali. In ragione di ciò, il regolamento aggiunge significativamente la “flessibilità” tra i suoi princìpi guida, per garantire che, nell’organizzazione della cura e gestione condivisa, vi sia corrispondenza rispetto alle specificità territoriali e dimensionali dei Comuni aderenti. Ciò ha comportato, coerentemente, l’introduzione di uno specifico articolo (art. 6) che non solo ribadisce l’importanza del ruolo degli organi istituzionali dei Comuni, tanto nella definizione dei patti che nell’individuazione dei beni che possono esserne l’oggetto, ma in maniera del tutto speculare, sottolinea anche il necessario coinvolgimento degli organismi consultivi decentrati (Quartieri e Comitati di Frazione) – ove presenti – per la diffusione e il radicamento delle pratiche di collaborazione. Ciò non toglie, tuttavia, che sia l’Unione a individuare la struttura deputata al coordinamento delle proposte di collaborazione, le quali dovranno ricevere poi il consenso del Comune nel cui territorio ricade la proposta di intervento dell’Unione, per garantire che il tutto si svolga in armonia con gli interessi pubblici e privati coinvolti (art. 8).
La valorizzazione delle risorse ambientali
Infine, tra le altre particolarità che destano attenzione, ce ne sono due degne di nota. La prima è la scelta, di carattere più propriamente stilistico, di far rientrare (art. 2) nel genere dei beni comuni oggetto degli interventi, tanto i beni pubblici che le risorse comuni, ovvero l’insieme delle risorse non direttamente riconducibili all’amministrazione – e perciò non pubblici in senso proprio – ma comunque utilizzate dai cittadini come patrimonio collettivo dell’umanità ed il cui depauperamento va a detrimento di tutti gli altri utilizzatori, come i servizi ecosistemici.
La solidarietà sociale sposa la sussidiarietà orizzontale
In secondo luogo, un notevole risalto viene dato alla possibilità di utilizzare i patti di collaborazione per la realizzazione di attività solidaristiche «da intendersi come interventi di utilità sociale nella comunità». D’altro canto, è lo stesso Statuto dell’Unione della Romagna Faentina, all’art. 54, a favorire la partecipazione ai servizi di interesse collettivo dei cittadini singoli e associati e in particolare delle associazione del volontariato. Tale possibilità applicativa deve comunque essere compiuta nel rispetto dei princìpi stabiliti in apertura del regolamento, dunque anche quelli di complementarietà delle attività solidaristiche rispetto ai servizi di competenza dell’amministrazione e di gratuità. Da ciò consegue che – con la sottoscrizione del patto – il cittadino attivo volontario rinuncia a qualsiasi forma di compenso, né può attendersi il riconoscimento di alcun ulteriore diritto, in pieno accordo con la nozione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui Labsus è promotore.
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