Con la nascita del Comitato Popolare di Difesa Beni Comuni, Sociali e Sovrani “Stefano Rodotà” e con la presentazione in Cassazione, lo scorso 18 dicembre, della proposta di legge di iniziativa popolare, si è aperto l’iter che porterà alla raccolta di firme sul territorio nazionale (in allegato il report completo dell’evento “I lavori della Commissione Rodotà, 10 anni dopo” del 29 novembre 2018, in occasione del quale è stata annunciato l’avvio della campagna).
Labsus ha deciso di aderire a questa campagna principalmente per tre motivi:
1. In questa fase della storia del nostro Paese è essenziale che tutti coloro che si occupano di beni comuni siano uniti.
Credevamo di aver finalmente relegato nelle catacombe della storia il nazionalismo, il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e tutti gli altri demoni che hanno insanguinato il secolo scorso. E invece stanno ritornando, tutti.
Chi si occupa e si preoccupa dei beni comuni non può che essere contrario a queste ideologie, se non altro perché i beni comuni sono beni per definizione condivisi, la cui cura si fonda su rapporti di collaborazione e di fiducia reciproca, mentre i demoni del Novecento crescono e si sviluppano sulla paura, sull’esclusione e sulla chiusura.
Tutti noi che ci occupiamo in vari modi dei beni comuni dobbiamo quindi in questa fase essere uniti. Questo non significa che noi di Labsus condividiamo tutte le posizioni sui beni comuni dei promotori di questa campagna. Ma in questo momento le ragioni che ci uniscono sono più numerose di quelle che ci dividono.
2. Di fronte agli attacchi in corso nei confronti della democrazia rappresentativa è indispensabile creare e sviluppare nuovi spazi di partecipazione alla vita pubblica.
La cura condivisa dei beni comuni che Labsus promuove fin dalla sua fondazione 13 anni fa è una palestra straordinaria di partecipazione e di democrazia. Quando un gruppo di abitanti di un quartiere si prende cura di una piazza, un giardino o una scuola, di fatto esercita i propri diritti costituzionali, impara ad organizzarsi, a riunirsi, a discutere, ad interagire con le istituzioni, in una parola fa vivere concretamente una delle forme della democrazia, quella fondata sull’amministrazione condivisa dei beni comuni.
Se si ammette (ma è da discutere, naturalmente) che la democrazia sia un bene comune immateriale, si potrebbe allora dire che i cittadini attivi nel prendersi cura dei beni comuni si prendono cura anche di quel particolare bene comune che è la democrazia.
La campagna per una legge sui beni comuni riaccende molto opportunamente l’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema, ma le motivazioni oggi non possono più essere soltanto quelle che giustificarono il referendum sull’acqua pubblica del 2011. Oggi parlare di beni comuni vuol dire parlare anche della crisi della democrazia rappresentativa e quindi di nuovi strumenti di partecipazione, che per noi non sono quelli della “democrazia diretta” fondata sulla semplificazione dei quesiti referendari, quanto quelli della “democrazia diffusa” che i cittadini attivi realizzano quando si prendono cura dei beni comuni applicando il modello dell’amministrazione condivisa.
Democrazia rappresentativa, democrazia deliberativa e partecipativa, democrazia diffusa: sono tre modi non alternativi ma complementari per la realizzazione della democrazia, senza aggettivi.
3. L’ultimo ma per noi assai importante motivo per aderire a questa campagna consiste nella speranza, forse nella presunzione, di poter arricchire la campagna con la nostra esperienza in materia di cura condivisa dei beni comuni.
Nella proposta della Commissione Rodotà, ripresa fedelmente dal progetto di legge oggetto della campagna, manca ovviamente qualunque riferimento ad un’esperienza che si è sviluppata soprattutto negli anni successivi alla conclusione dei lavori della Commissione e, in particolare, negli ultimi cinque anni, grazie all’adozione in oltre 180 città italiane (ed alla sua diffusione anche all’estero) del Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni promosso da Labsus.
In questi 180 comuni vivono 10 milioni e 400 mila cittadini circa (dati Istat). Una forza imponente in vista delle future battaglie per i beni comuni, perché il Regolamento sta liberando le infinite preziosissime energie nascoste nelle nostre comunità locali.
I patti di collaborazione previsti dal Regolamento contribuiscono a migliorare la qualità della vita sia dei cittadini attivi, sia di tutti gli altri cittadini, anche di quelli che non fanno nulla. Ma il punto veramente importante, il vero valore aggiunto dei patti è che quando i cittadini si organizzano per la cura dei beni comuni presenti sul loro territorio, essi ricostruiscono e rafforzano i legami che tengono insieme le loro comunità, producono senso di appartenenza, educano al senso civico, facilitano l’integrazione, aiutano le persone a uscire dalla solitudine.
Essi mostrano insomma con i loro comportamenti come sia possibile costruire una società fondata sulla collaborazione e la fiducia reciproca, anziché sul rancore, sull’egoismo e sul sospetto, praticando concretamente una delle nuove forme della democrazia.
Il 19 gennaio si svolgerà a Roma l’assemblea nazionale di lancio della raccolta firme e della sottoscrizione di azionariato popolare, presso la Casa Internazionale delle Donne, in via Lungara 19, dalle 10,00 alle 17,00. Noi ci saremo.
ALLEGATI (1):