Il Consiglio di Stato riconduce la trasparenza amministrativa e i suoi nuovi strumenti essenzialmente alla dimensione della partecipazione dei cittadini

In una recente sentenza il Consiglio di Stato si pronuncia sull’ammissibilità di una istanza di accesso civico generalizzato. La particolarità della sentenza (sent. Cons. Stato, sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546) consiste nell’originale riferimento alla cittadinanza attiva e alla cura dei beni comuni. Testualmente, secondo la sentenza, il nuovo accesso civico “attiene alla cura dei beni comuni a fini d’interesse generale”. Nella lettura del Consiglio di Stato la trasparenza amministrativa e i suoi nuovi strumenti, nati con il d.lgs. n. 33/2013, sono così riportati principalmente alla dimensione della partecipazione dei cittadini, valorizzando una specifica declinazione della cittadinanza: la cittadinanza attiva.

Introduzione. Dalla trasparenza amministrativa all’accesso civico generalizzato

Le diverse stagioni della trasparenza e i diversi strumenti con cui si è tradotta nel sistema amministrativo italiano sono passati attraverso una stratificazione normativa da cui emerge l’attuale testo del Codice della Trasparenza (d.lgs. n. 33/2013), che si affianca alla trasparenza e all’accesso di cui alla l. n. 241/1990, generando più di un problema applicativo e interpretativo. Fondamentale ma non del tutto risolutivo il ruolo delle fonti non normative che hanno integrato le disposizioni del d.lgs. n. 33/2013 (ANAC, Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 e Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Circolare n. 2 del 7 giugno 2017). La giurisprudenza ha dunque un ruolo rilevante ma arduo nel dirimere i dubbi sorti su un tema sensibile sotto molti profili.
L’accesso ex l. n. 241/1990 e i successivi strumenti dell’accesso civico “semplice” e dell’accesso civico generalizzato (art. 5, c. 1 e 2, d.lgs. n. 33/2013) assolvono a compiti e hanno caratteristiche molto diverse. Soprattutto il nuovo acceso civico generalizzato ha posto una serie di problemi attuativi e deve rispondere alla sfida del nuovo testo del d.lgs. n. 33/2013 che, riformato nel 2016 (d.lgs. n. 196/2016 di attuazione della delega prevista nella l. n. 124/2015), riconosce la libertà di accesso di chiunque ai dati e documenti della pubblica amministrazione (artt. 1 e 2, d.lgs. n. 33/2013). Il Freedom of Information Act, FOIA, italiano, si dice. Questa libertà si attua attraverso il diritto di chiunque di chiedere la pubblicazione di informazioni, documenti e dati ulteriori rispetto a quelli per i quali sussista un obbligo di pubblicazione da parte della pubblica amministrazione, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico (art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013) nel rispetto di nuovi e specifici limiti a tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti – indicati nel decreto in modo non del tutto soddisfacente – e senza l’onere di motivare l’istanza.

Libertà di accesso versus funzionalismo del diritto all’informazione amministrativa

Anche dopo queste intense riforme l’accesso della l. n. 241/1990 rimane in vita, inalterato nella sua struttura, nei suoi limiti e finalità. Gli strumenti che il Codice della Trasparenza affianca all’accesso della l. n. 241/1990 hanno altra matrice e perimetro e si muovono all’interno di una trasparenza sempre definita quale accessibilità totale agli atti e ai documenti della pubblica amministrazione ma allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (art. 1, d.lgs. n. 33/2013).
L’uso di questi termini, ulteriormente precisati per l’accesso civico generalizzato dall’art. 5, c. 2, d.lgs. n. 33/2013, ha indotto alcuni a parlare non di vera libertà ma piuttosto di un diritto all’informazione amministrativa funzionale agli scopi dichiarati dal decreto, e quindi al controllo sull’uso di risorse e competenze degli organi pubblici. Da un lato, con il d.lgs. n. 33/2013 riformato, abbiamo l’affermazione di una libertà di accesso, che si manifesta nella mancanza di limiti soggettivi (chiunque può esercitare il diritto di accesso civico in entrambe le sue declinazioni) e nell’assenza di un onere di motivazione delle istanze con cui si procede a esercitare l’accesso civico semplice e quello generalizzato. Dall’altro abbiamo una apparente finalizzazione della trasparenza e dei suoi strumenti ad alcuni specifici scopi, prevalentemente interpretati dalla giurisprudenza in una prospettiva di prevenzione di fenomeni corruttivi nella pubblica amministrazione. Il discorso ovviamente meriterebbe qualche approfondimento. Ci si limita qui ad evidenziare che anche nelle sentenze che sembrano premiare l’interpretazione a favore dell’applicabilità dell’accesso civico generalizzato in quanto strumento volto a favorire la partecipazione, questa argomentazione è di sovente utilizzata in chiave negativa, per limitare l’accesso civico e opporre diniego alle relative istanze ritenute emulative, volte a interessi meramente egoistici… La giurisprudenza quindi sembra usare, fino ad oggi, prevalentemente, il dichiarato favor per la partecipazione non tanto per valorizzare questo elemento essenziale e costitutivo dell’accesso civico generalizzato, ma per negare richieste ritenute non coerenti con le finalità della trasparenza e dell’accesso civico generalizzato, con il rischio così – in questo come in altri casi di diniego riferiti anche ad altri “scopi” della trasparenza – di introdurre surrettiziamente un limite indiretto all’accesso civico e un controllo discrezionale delle Amministrazioni sulle finalità delle istanze di accesso civico, in evidente frizione, per non dire conflitto, con la proclamata libertà di accesso (in questo senso si veda la puntuale e raffinata interpretazione del TAR Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, sentenza n. 325/2018).

Dall’accesso civico generalizzato alla sussidiarietà orizzontale. La cittadinanza attiva

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento afferma invece la valenza dell’accesso civico ai fini della partecipazione dei cittadini con una prospettiva ampia e positiva, dando assoluto rilievo alla dimensione partecipativa con argomentazioni in parte già sviluppate dallo stesso Consiglio di Stato in altra sede.
Nel parere reso dalla Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, Adunanza di Sezione del 18 febbraio 2016, n. 343/2016 lo stesso Consiglio di Stato aveva già affermato che la trasparenza si pone non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di ri-avvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri. Il nuovo testo del d.lgs. n. 33/2013 dovrebbe rendere possibile, per il Consiglio di Stato, non solo un occhiuto controllo per prevenire il malaffare nella pubblica amministrazione ma anche qualcosa di qualitativamente diverso, volto alla partecipazione di cittadini attivi nella definizione dell’interesse pubblico.
Questa sembra essere la prospettiva privilegiata anche dalla recente sentenza. Nel caso specifico l’istanza di accesso civico generalizzato era stata presentata da una associazione di categoria (Coldiretti) nei confronti del Ministero della Salute. Avanti il Consiglio di Stato si discute l’impugnazione della sentenza del TAR con cui si confermava il rigetto dell’istanza da parte del Ministero, sentenza che viene ribaltata da quella del Consiglio di Stato. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il d.lgs. n. 33/2013 e i suoi strumenti integrano una partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica” secondo gli articoli 1 e 2, nonché 97 della Costituzione, ma anche secondo il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione, nella declinazione della sussidiarietà orizzontale. In ragione di questo principio, ricorda il Consiglio di Stato, viene favorita la partecipazione dei cittadini mediante lo svolgimento di attività d’interesse generale cosicché al modello solidaristico di cui all’art. 2 Cost. si affianca un nuovo modello di “cittadinanza attiva”. È importante sottolineare in primo luogo che il “chiunque” utilizzato dal Codice della Trasparenza per individuare la titolarità soggettiva del diritto di accesso civico corrisponde altresì alla titolarità soggettiva della cittadinanza attiva, per la quale si prescinde dalle condizioni e limiti della cittadinanza intesa in senso strettamente “costituzionale”, di rapporto di appartenenza ad un ordinamento giuridico statale sulla base dei requisiti previsti dal Legislatore. Il Giudice quindi per la prima volta sembra sancire, quasi involontariamente, la corrispondenza soggettiva sostanziale nei due ambiti: chiunque può essere cittadino attivo e rivendicare la propria libertà di accesso secondo le disposizioni del d.lgs. 33/2013.
L’accesso civico, in particolare quello generalizzato
, secondo l’interpretazione del Giudice, si inquadra dunque in questo modello di cittadinanza attiva e si pone così quale strumento atto a promuovere la partecipazione al dibattito pubblico e quindi a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, secondo il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost., non solo a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
Oltre ad avere riconosciuto il “modello” della cittadinanza attiva accanto al modello solidaristico, e, sembra, con pari dignità, alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale, la sentenza ascrive la trasparenza alla grammatica dei beni comuni individuandola quale fattore indispensabile per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella cura della “cosa pubblica” e affermando che il nuovo accesso civico attiene alla cura dei beni comuni a fini d’interesse generale.
Questo significativo riconoscimento è una buona notizia per chi da tempo crede in un diverso rapporto tra Amministrazione e amministrati, per chi ha una visione condivisa dell’interesse pubblico e della “cosa pubblica” a condizione che l’inclusione esplicita dell’accesso civico generalizzato nella dimensione, nel modello della cittadinanza attiva non si traduca in una ulteriore freccia nell’arco di chi sostiene una funzionalizzazione della libertà di accesso affermata nel d.lgs. n. 33/2013. In definitiva l’auspicio è che a un significativo riconoscimento della cittadinanza attiva e alla partecipazione dei cittadini, giunto con questa sentenza, non corrisponda un neppur minimo condizionamento della libertà di accesso, conseguente a una eventuale verifica delle finalità delle istanze di accesso civico, che merita il più ampio riconoscimento, per una compiuta affermazione del diritto all’informazione amministrativa.