Storie di giardini collaborativi: quando il verde diventa bene comune

Cesarina Ferraris abita a Torino, fa l’architetto ed è appassionata di piante, così come i suoi amici del quartiere. A pochi passi da casa sua, al civico 138 di via Madama Cristina, c’è un cancello sempre aperto da cui si accede a un vasto cortile con alberi di tiglio, uno di quegli spazi che non si capisce bene se siano pubblici o privati, su cui si affacciano diversi edifici. C’è una piccola palazzina al centro, che è una comunità residenziale per minori; c’è una scuola materna, separata da una recinzione; c’è un centro diurno che accoglie utenti disabili. Il cortile è utilizzato prevalentemente dai ragazzi della comunità e Cesarina e i suoi amici entrano in contatto con loro per fare insieme delle attività di giardinaggio e orticultura.

Giardino Cristino: cronaca di una storia

Qualche mese dopo la Città di Torino pubblica il bando “Cocity” con cui invita cittadini e associazioni a proporre patti di collaborazione per la riqualificazione e gestione di spazi pubblici. Cesarina, i suoi amici e la cooperativa Crescere Insieme, che gestisce la comunità di adolescenti, decidono di partecipare: non è male avere qualche risorsa per comprare il terriccio o le piantine!  Sono le Case di Quartiere che gestiscono la diffusione sul territorio di “Cocity e ne coordinano le attività: quella di San Salvario accompagna Cesarina e gli altri nella scrittura della proposta e li sollecita a coinvolgere anche le altre realtà che si affacciano sul cortile: la scuola d’infanzia Cellini e la cooperativa che gestisce il centro diurno per disabili.
La proposta di patto viene presentata al Comune nel mese di settembre 2017: ognuno ha fatto la sua parte per immaginare un nuovo giardino che ora ha anche un nome, Giardino Cristino. Il verde e la sua cura sono l’elemento di connessione tra realtà diverse che collaborano per costruire un nuovo luogo di costruzione di comunità, aperto anche al quartiere. Il tema centrale del progetto del giardino è quello delle erbe spontanee che già caratterizzano questo spazio: si coinvolge anche un esperto, l’agronomo e paesaggista Daniele Fazio, autore di Giungla d’asfalto (Torino, 2008) ed esperto di piante spontanee che crescono in città.
Nei lunghi mesi di co-progettazione con i referenti del Comune, della Circoscrizione e della Casa del Quartiere alcuni pezzi della proposta si perdono per strada, in particolare l’ipotesi di creare un varco nella recinzione della scuola per far accedere i bambini nel giardino è osteggiata dalla Circoscrizione per ragioni di sicurezza e viene eliminata. Nonostante il tempo troppo lungo del processo, i proponenti non si scoraggiano e, dato che i tempi della natura non sono necessariamente quelli degli uffici e della burocrazia, si inizia a piantumare per non perdere le stagioni. A fine maggio 2019 ci sarà la prima festa pubblica del Giardino Cristino e, finalmente, la firma del Patto è ormai prossima.

Il ruolo centrale del verde

Da sempre, nelle città contemporanee, la gestione dei beni comuni si declina innanzi tutto nella cura di parchi pubblici, nella trasformazione di terrainsvagues in giardini o orti comunitari, nella riappropriazione, attraverso il verde, di spazi pubblici abbandonati, sotto-utilizzati o degradati.
Il ruolo centrale del verde in questi processi è legato senz’altro ad alcuni fattori che caratterizzano le nostre città, quali la sempre maggior scarsezza di risorse pubbliche per la cura del verde, la sempre più limitata disponibilità di aree non privatizzate per i cittadini e, non ultimo, i minori vincoli rappresentati dal giardinaggio rispetto, ad esempio, alla costruzione. Ecco che allora le maglie rigide delle città, fatte di norme, vincoli, interessi e conflitti, sembrano allargarsi di quando in quando, lasciando spazio all’iniziativa di gruppi informali di cittadini che si auto-organizzano per curare o implementare il verde urbano.
È quello che sembrerebbe succedere a Torino dove, negli ultimi due anni, decine di associazioni e cittadini attivi hanno proposto all’amministrazione progetti di riqualificazione di beni e spazi pubblici in condizioni di degrado. Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2019, infatti, l’amministrazione torinese ha ricevuto 119 proposte di patti di collaborazione per la gestione condivisa di altrettanti luoghi della città.
Non si tratta ovviamente di una improvvisa e inaspettata attenzione per questi temi da parte dei cittadini ma di un processo guidato dalla PA, avviato nel 2016 con l’approvazione del Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura, la gestione condivisa e la rigenerazione dei beni comuni urbani e immensamente facilitato dai 5,1 milioni di euro messi a disposizione dall’Unione europea grazie a “CoCity”, il progetto con cui la Città ha vinto il bando Urban Innovative Actions (UIA) proponendo la riqualificazione di parti di città pubblica attraverso la stipula, appunto, di patti di collaborazione.
Una stagione, dunque, che si prospetta particolarmente promettente, per lo meno nelle intenzioni, ma dovremo aspettare ancora un po’ per vederne i frutti: delle 119 proposte giunte all’amministrazione, infatti, solo 40 sono proseguite nelle definizioni dei patti e, tra queste, ad oggi 6 sono state deliberate e si avviano alla firma e solo 2 sono state firmate.

Il DNA verde di Torino

L’approvazione in Consiglio comunale del Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura, la gestione condivisa e la rigenerazione dei beni comuni urbani avvenuta nel gennaio 2016, scritto in sintonia con quello bolognese del 2014, è uno degli ultimi atti dell’amministrazione di centro-sinistra, fortemente voluto dall’allora assessore alla rigenerazione urbana Ilda Curti.
Torino ha una tradizione ormai consolidata e riconosciuta nelle politiche urbane innovative, con un forte accento sulle pratiche “dal basso” e, anche sulle forme di sussidiarietà tra amministrazione e cittadini nella cura dei beni comuni, la Città aveva già fatto alcuni tentativi, forse ancora immaturi, ma senz’altro degni di nota.
Nel 2009, all’indomani di una intensa trasformazione urbana che interessa Torino tra il 2004 e il 2006 e che modifica in modo sostanziale anche la qualità degli spazi pubblici, la Città lancia i Patti di Gestione per la cura di alcuni spazi residuali della città, aree che non sono state interessate dalla trasformazione, ancora degradate e prive di attrezzature, ma che hanno una forte valenza di spazio pubblico per gli abitanti che le frequentano.
La Città ne individua trenta e successivamente avvia un lavoro di coinvolgimento sul territorio di comitati di cittadini o associazioni interessate al progetto. I Patti stipulati riguarderanno alla fine tre aree (via Balbo, via Cecchi e Giardino Spanzotti) che vengono riqualificate, inverdite e consegnate a gruppi di cittadini che si impegnano col Patto a prendersene cura. Purtroppo questi progetti si arenano presto, i gruppi di cittadini si smembrano e perdono interesse e là dove il presidio e la cura dello spazio continua è grazie all’avvicendarsi piuttosto casuale di altri cittadini volenterosi. Possiamo immaginare che sia mancata in questa prima forma ante literram del Patto di collaborazione un accompagnamento maggiore dei firmatari del Patto o una troppo breve fase di co-progettazione, tutti elementi che invece il progetto “Cocity” ha ritenuto prioritari, investendo in essi tempo e risorse.
Un altro progetto che ha senz’altro facilitato la definizione del Regolamento dei beni comuni ed è servito come terreno di sperimentazione di pratiche di sussidiarietà è Torino Spazio Pubblico. Si tratta di un progetto di cittadinanza attiva che il Comune ha avviato nel 2013 e che favorisce la cura di spazi pubblici e beni comuni attraverso interventi di pulizia e piccola manutenzione degli elementi di arredo urbano e, soprattutto, cura del verde pubblico.
Sono gli stessi cittadini che segnalano parchi, strade o giardini di cui vogliono prendersi cura e, settimanalmente o periodicamente, si auto-organizzano in attività di volontariato per potare, piantumare, abbellire col verde la città. Queste attività di volontariato, oltre che sopperire alla mancanza di risorse pubbliche per la manutenzione del verde, ha favorito la diffusione di un maggior senso civico tra i cittadini, dando a molti di essi l’occasione di prendersi cura in modo attivo della propria città. Non è un caso se proprio da alcuni di questi gruppi di volontari sono nate proposte di patti di collaborazione, confluite in “Cocity”.

Il Parco della Clessidra, un progetto lungo 20 anni

Un ultimo progetto di cittadinanza attiva in cui è centrale il ruolo del verde che vogliamo citare è il ridisegno della cosiddetta Clessidra, una vasta area verde tra corso Turati, largo Orbassano, corso de Nicola e via Tirreno, nata dalla realizzazione nel lontano 1999 del Passante ferroviario e della sua copertura, e mai realmente completata. Il parco, disegnato a suo tempo dallo studio Cagnardi, non è mai stato realizzato per mancanza di fondi e l’area è rimasta un prato incolto.
Nel 2016 la Circoscrizione 1 di Torino decide di utilizzare lo strumento del Bilancio Deliberativo: sono i cittadini di questa parte di città, a partire dalle linee guida definite dalla Circoscrizione, a scegliere quali priorità dare e quali progetti finanziare nel loro quartiere. Il percorso, molto complesso, è coordinato dall’Università di Torino, con gli uffici competenti del Comune e con la Circoscrizione.  Si individua in quest’area il luogo su cui intervenire e su cui concentrare le risorse messe a disposizione dal Comune, mezzo milione di euro. Parte dunque la progettazione partecipata del parco, attraverso una serie di incontri pubblici con i residenti che portano alla redazione finale, da parte degli stessi abitanti, di due progetti tra cui scegliere, tramite votazione.
Siamo a fine 2016: la scelta ricade su una soluzione che predilige l’idea della “campagna in città”, con alberi da frutto e orti urbani. Da allora gli abitanti della Circoscrizione dovranno ancora aspettare molti anni per vedere realizzato il loro parco: per due anni il processo si arresta, cambia l’amministrazione, il finanziamento previsto viene meno e l’idea del parco pare sfumare nel nulla. Finalmente nel 2019 il Comune reperisce le risorse necessarie e gli uffici possono redigere il progetto esecutivo che sarà presto presentato agli abitanti.
I tempi lunghi della politica e della burocrazia rappresentano qui, come in tutti i casi torinesi, una grande criticità per i processi dal basso di cura dei beni comuni. Speriamo che in questi due anni i cittadini della Circoscrizione che tante energie e sogni avevano riposto in questo parco non abbiano perso l’entusiasmo e possano finalmente goderselo.