Con la sentenza n. 79/2019, la Corte costituzionale si pronuncia sulla legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8, d.lgs. n. 178/2012 – recante «Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa» – confermando, in tal senso, la complessiva riforma varata dal legislatore. Siffatto pronunciamento, oltre a rivestire un’autonoma rilevanza, di cui ovviamente si terrà conto nel presente commento, riveste particolare interesse in questa sede, specie perché consentirà di ragionare sulle potenzialità espansive sottese al principio di sussidiarietà orizzontale, allineandosi, tra l’altro, ad un indirizzo giurisprudenziale volto a valorizzare un’accezione eminentemente oggettiva dell’azione pubblica.
Le questioni di legittimità costituzionale in breve
Dando seguito all’ordinanza del 19 luglio 2017, n. 137, adottata dal Tar Lazio, sezione III, con la sentenza in oggetto, la Corte costituzionale si esprime in ordine alla asserita incostituzionalità degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8, d.lgs. n. 178/2012, per violazione degli artt. 1 e 76 Cost., in relazione all’art. 2, l. n. 183/2010, nonché per violazione degli artt. 3, 97, 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Cedu).
In estrema sintesi, secondo la prospettazione dei giudici rimettenti, la richiamata disciplina normativa (sia essa intesa complessivamente ovvero con riferimento alle singole disposizioni), per un verso, contrasterebbe con quanto previsto nell’art. 2, l. n. 183/2010, configurando un eccesso di delega; per l’altro, determinerebbe una notevole riduzione di risorse, tale da impedire all’Ente strumentale prima e all’Associazione poi (così l’art. 2, d.lgs. n. 178/2012) il perseguimento delle “delicate ed importanti funzioni di interesse pubblico”, elencate nell’art. 1, co. 4, d.lgs. n. 178/2012, nonché, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 117 Cost., un pregiudizio di natura patrimoniale in capo al personale del corpo militare.
Le origini della controversia
Al fine di comprendere le argomentazioni addotte dalla Consulta nel presente giudizio, si rivela di particolare utilità guardare alle origini della controversia. In tale prospettiva, giova ricordare che il giudizio dinanzi al Tar Lazio muove da due ricorsi, con i quali numerosi appartenenti al corpo militare della Croce rossa italiana hanno impugnato il d.P.C.M 25 marzo 2016 – recante «Criteri e modalità di equiparazione fra i livelli di inquadramento del personale già appartenente al corpo militare e quelli previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a tempo determinato della associazione italiana della Croce Rossa» – adottato nell’ambito del processo di trasformazione della Cri da “ente pubblico non economico” ad “associazione dotata di personalità giuridica di diritto privato”, la cui entrata in vigore ha determinato, ai sensi dell’art. 5, co. 5, d.lgs. n. 178/2012, il collocamento in congedo del personale in questione.
Si noti, peraltro, che, nell’ambito del giudizio, i ricorrenti hanno contestato, più in generale, l’ultima fase di trasformazione della Cri, avviata con la l. n. 183/2010 e portata a compimento con il d.lgs. n. 178/2012 e con i successivi decreti attuativi, compresi i provvedimenti di determinazione dei criteri di inquadramento del personale militare nel ruolo civile e di congedo del medesimo personale dal corpo militare, ritenuti direttamente lesivi del loro trattamento giuridico ed economico. Da qui la configurazione di plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, nonché eccezioni di illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 178/2012, da parte dei ricorrenti, poi recepite dal Tribunale amministrativo e poste all’attenzione della Consulta.
Croce rossa italiana: breve excursus normativo…
Volendo focalizzare l’attenzione sui principali aspetti di merito affrontati nella sentenza, si rivela fondamentale ripercorrere brevemente i tratti salienti della evoluzione normativa riguardante la Cri, nonché fotografare il contenuto della riforma operata mediante il d.lgs. n. 178/2012. In particolare, come ben evidenziato dalla Consulta, la Cri rappresenta una “organizzazione dai notevoli trascorsi storici”, in parte condensati nella disciplina positiva di riferimento. A tal riguardo, basti ricordare che siffatto soggetto, fondato nel 1864 e denominato Associazione italiana della croce rossa – sulla scorta di un movimento d’opinione di respiro internazionale, volto al soccorso dei feriti e dei malati – diverrà ben presto, dapprima, “ente morale” (con il r.d. n, 1243/1884) successivamente “ente pubblico”, per effetto della l. n. 6972/1890, più volte modificata nel corso del tempo. Durante il periodo fascista, poi, diversi interventi normativi comprimeranno maggiormente la natura associativa della Cri, favorendone la collocazione tra gli “enti pubblici parastatali”. Nel dopoguerra, si avranno due interventi degni di nota: da un lato, il d.lgs. n. 1256/1947, che si limiterà a ridefinire i compiti dell’ente in tempo di pace, valorizzandone la funzione sussidiaria di assistenza; dall’altro, le quattro Convenzioni di Ginevra, che avvaloreranno, nuovamente, la dimensione internazionale della Cri, in linea con l’impostazione originaria.
Di particolare interessa risulterà, inoltre, la l. n. 833/1978, con la quale il legislatore si porrà l’obiettivo di «superare l’assetto ancipite dell’ente pubblico, ma a base associativa, delegando al Governo il compito di ristrutturare l’associazione italiana della Croce Rossa, in conformità con il principio volontaristico dell’associazione stessa» e, soprattutto, il connesso d.P.R. n. 613/1980, recante (significativamente) “Riordinamento della Croce rossa italiana”: con esso, infatti, il legislatore definirà tale soggetto quale “ente privato di interesse pubblico”, ponendo le basi per la transizione verso il modello privatistico, da consacrare con l’approvazione del nuovo statuto. Come noto, tuttavia, siffatto statuto non verrà approvato e nel 1995 il legislatore (ri-)configurerà la Cri quale “ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico”.
…e i tratti salienti della riforma
Sulla scia di questa evoluzione normativa, che involge, inevitabilmente, anche la disciplina dei rapporti di impiego instaurati nell’ambito dell’ente e, in particolare, l’assetto del personale militare ausiliario, si inserisce il d.lgs. n. 178/2012, in ordine al quale il Tar Lazio ha riscontrato le già accennate questioni di legittimità costituzionale. In particolare, con siffatto intervento di riforma, il legislatore delinea un percorso di graduale trasformazione della Cri da ente pubblico a persona giuridica di diritto privato – che prevede, tra l’altro, l’istituzione di un Ente strumentale volto a favorire il subentro del nuovo soggetto giuridico – disciplinando una serie di profili giuridici rilevanti, concernenti, in specie, la liquidazione e i relativi rapporti giuridico-patrimoniali, il trasferimento dei beni e del personale, le modalità di finanziamento della nuova associazione, nonché il rapporto di impiego del personale militare.
Il giudizio della Corte costituzionale in sintesi
Ciò chiarito, sembra ora possibile richiamare sinteticamente e per quanto di maggiore interesse in questa sede, le principali argomentazioni sostenute dai giudici costituzionali. Con riferimento alle questioni di legittimità sollevate in relazione agli artt. 1 e 76 Cost., la Consulta, scansata agevolmente l’ipotesi di una violazione dell’art. 1, Cost., si pronuncia sulla non fondatezza dell’ipotesi di eccesso di delega. Difatti, secondo la Consulta, il Parlamento, lungi dal conferire al Governo un mero compito di riordino normativo, ha inteso intervenire sull’ente pubblico – come tra l’altro ben si evince anche dai lavori preparatori al testo di legge – mediante una complessiva revisione della sua struttura organizzativa. Al contempo, secondo i giudici costituzionali, gli artt. 5 e 6, d.lgs. n. 178/2012, incidenti sulla riorganizzazione del corpo militare della Cri, non risultano manifestamente incoerenti con le finalità della riforma, in quanto volti a garantire la razionalizzazione e l’ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, mediante il trasferimento del personale militare ausiliario al ruolo civile.
Con riferimento, poi, alle questioni di legittimità dell’intero decreto (ad eccezione dell’art. 7) sollevate in relazione agli artt. 3 e 97, Cost. – che assumono in questa sede un’autonoma rilevanza – non emergono – anche qui – rilievi di fondatezza. In tale ambito, comunque, rivestono particolare interesse le parole dei giudici, secondo cui «L’attribuzione della personalità giuridica di diritto privato è senz’altro coerente con la vocazione solidaristica della neoistituita Associazione della Croce rossa italiana, associazione di volontariato chiamata a svolgere rilevanti funzioni di interesse generale, a livello nazionale e internazionale. Il decreto legislativo censurato trova anzi una diretta copertura costituzionale nell’art. 118, quarto comma, Cost., che in un’ottica di sussidiarietà orizzontale impegna la Repubblica a favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”».
Parimenti, la Corte esclude l’ipotesi di una violazione dell’art. 117, co. 1, Cost., ad opera del decreto, per genericità e insufficiente motivazione circa l’asserito contrasto con il parametro interposto (vale a dire l’art. 1, Prot. addizionale Cedu).
Riflessioni conclusive intorno al principio di sussidiarietà
Ebbene, come si è avuto modo di constatare, la Consulta ha invocato il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale per legittimare la trasformazione della Croce rossa italiana da soggetto pubblico a soggetto di diritto privato. Al riguardo, occorre evidenziare che la richiamata riforma – dettata (lo si ricorda) da ragioni di natura essenzialmente economica e gestionale – non incide sulle preminenti finalità pubblicistiche tradizionalmente sottese alla Croce rossa italiana, la quale, in effetti, come si evince dalla lettura del nuovo decreto (art. 1, co. 1), è chiamata al soddisfacimento di interessi generali nel settore umanitario in ausilio ai pubblici poteri.
In questa prospettiva, allora, il richiamo all’art. 118, co. 4, Cost. appare comprensibile, in quanto idoneo a valorizzare un’accezione eminentemente oggettiva dell’azione pubblica, nella quale i soggetti pubblici e privati risultano alleati in funzione di obiettivi comuni, in coerenza, peraltro, con altre pronunce giurisdizionali intervenute sul tema (si veda, ad esempio, Tar Lazio, III-bis, sentenza 1590/2017, oggetto di commento in questa Rivista).
ALLEGATI (1):