I distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni sono utili per rafforzare il disegno politico comune e strategico delle amministrazioni locali e dei cittadini attivi. Si tratta di una nuova politica che pone al centro il potenziamento delle comunità locali dando loro anche una inedita dimensione organizzata e coordinata: quella distrettuale. Gli amministratori assumono al loro interno un innovativo ruolo fondamentale: sostengono, coordinano ed integrano le esperienze di cittadini (singoli ed associati) per la cura dei beni comuni, all’interno di un disegno strategico comune, dando loro un collegamento di “senso” che altrimenti sarebbe perso nella frammentarietà ed isolamento di ognuna di esse, pur avendo intrinseci significati unificanti. Possiamo quindi far rientrare i distretti dell’amministrazione condivisa in quella forma di politica che Raghuran Rajan ha chiamato del “localismo inclusivo”.
L’importanza di questo tipo di politica risiede nel fatto che risponde a problemi di squilibri tra la dimensione locale e globale: Stato e mercato sembrano aver eroso tutti gli spazi vitali delle comunità e la politica sembra aver abbandonato sempre più il rapporto diretto con le persone, dando talora l’illusione di una vicinanza “mediatica”. Quando però le decisioni sono prese sempre più distanti dai luoghi in cui si vive quotidianamente e le scelte sono percepite lontane da ogni tipo di “periferia”, aumenta lo scollamento sociale di quest’ultime dai “centri” decisionali delle “élites”, aprendo così talora nuovi spazi a soluzioni violente e caotiche.
Tra Stato e Mercato: la terza via
Vi è però una soluzione “comunitaria”: i distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni possono fornire un “altro tipo” di risposte a tali problemi, ponendo nuovamente al centro l’autodeterminazione della comunità locale, la cui “regia” può essere svolta dagli amministratori locali più attenti collegando le diverse esperienze dei territori all’interno di una strategia comune di sviluppo sociale ed economico dei territori, quale quella del “localismo inclusivo”. In questo modo gli amministratori riconoscono alle comunità locali, alle persone, un “potere” di autodeterminazione che è stato loro eroso in tempi di globalizzazione. Un “potere” inteso innanzitutto come capacità di controllo delle proprie vite e della costruzione della qualità delle relazioni, ponendo al centro il “buon vivere” nei luoghi dove si è, rendendoli a misura degli abitanti, dei loro problemi, ma anche valorizzando le loro risorse personali e l’inclusività comunitaria. I distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni quindi rappresentano un salto di qualità anche della politica: perché rafforzano uno spazio tanto importante quanto “dimenticato”, tra Stato e Mercato.
Il contesto favorevole nella provincia di Lucca
Due anni dopo aver adottato il Regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni il Comune di Lucca ha organizzato un convegno per trarre un primo bilancio delle esperienze avviate con i patti di collaborazione e per individuare le linee guida per il futuro. E’ stata un’occasione anche per far conoscere meglio agli amministratori tutti, ai dipendenti dell’ente, cittadini, le potenzialità dell’amministrazione condivisa. In prospettiva il Comune intende infatti sviluppare sinergie con i comuni della provincia, in una logica “distrettuale” coinvolgendo soprattutto i Comuni che hanno già adottato o che sono interessati ad adottare il regolamento. Tra questi in primis il Comune di Capannori, che nell’area provinciale ha fatto da “battipista” nella sperimentazione del Regolamento, seguito poi da quello di Camaiore ed altri che si stanno muovendo in questa direzione.
Come evidenziato anche in una recente ricerca il contesto provinciale è caratterizzato sia da regolamenti di volontariato civico, sia da regolamenti sul “baratto amministrativo” (nato al Comune di Massarosa e adottato poi anche nella forma del “baratto sociale” ad Altopascio), sia sull’amministrazione condivisa in senso proprio, in particolare nei Comuni di Lucca, Capannori e Camaiore. Ed è su questi ultimi che il convegno ha centrato maggiormente la sua attenzione. Il contesto lucchese sembra essere quindi particolarmente favorevole a forme di regolazione della partecipazione civica alla cura dei beni comuni anche grazie a politici attenti in tal senso e ad una buona collaborazione col terzo settore (Lucca è la città con maggiore densità di organizzazioni del TS per abitanti della Toscana). E grazie anche ad una diffusa “cultura” locale collaborativa in ambito produttivo alla base dei “distretti” che hanno caratterizzato lo sviluppo di alcuni settori industriali locali (per es: distretto cartario lucchese) o il distretto di economia circolare di Capannori.
Distretti come “moltiplicatori”
Se il termine “distretto” lo usiamo per indicare una rete di integrazioni/ collegamenti tra attività di filiere di uno stesso settore e presenti su uno stesso territorio offrendo specifici “vantaggi competitivi” territoriali, allora sembra emergere dal convegno di Lucca la volontà di costruire un laboratorio di sperimentazione per un distretto per l’amministrazione condivisa dei beni comuni: un distretto che può dare forza, come un “moltiplicatore”, a tutte le singole attività realizzate con i patti sui territori anche limitrofi, come anche ad altre iniziative di economia civile.
Durante il convegno di Lucca l’attenzione è stata posta in particolare su quei patti con cui i cittadini hanno attivato veri e propri centri civici nelle periferie della città e che hanno “prodotto” in due anni numerosi “beni relazionali”. Così, favorendo la rigenerazione di spazi sottoutilizzati, ma anche valorizzando la resilienza delle comunità e delle famiglie di quelle aree della città maggiormente a rischio di degrado, cittadini e amministratori “coraggiosi”, insieme, hanno sviluppato “filiere di prossimità” in vari ambiti sociali, sportivi, culturali, ambientali. Facciamo un esempio concreto. Per bambini: ludoteca, dibattiti per genitori separati, letture di racconti per l’infanzia nell’ambito di “nati per leggere”, biblioteca e spazio studio, riuso giochi e vestiario bambini, spazio giochi all’aperto, auto-mutuo aiuto tra famiglie con persone disabili, attività di inclusione per figli d’immigrati, e altro ancora. Queste attività, questi “beni relazionali” ad alta capacità inclusiva, sono prodotti dalla comunità per la comunità, integrando queste diverse attività tra di loro e generando così un benessere “su misura” di quelle stesse comunità. E la città intera si arricchisce di quella stessa ricchezza prodotta dai cittadini attivi che sviluppano al contempo la “cultura” che ne sta alla base. E questa “cultura” si propaga anche in forme e ambiti vari sui territori. Per esempio alcuni patti siglati recentemente sono relativi alla cura dei corsi d’acqua (Ozzeri) e dei sentieri di campagna.
E un altro interessante spazio di collaborazione si è anche affermato recentemente tra 5 Comuni della piana lucchese nell’ambito del cibo come bene comune. L’obiettivo dei 5 Enti locali è quello di gestire insieme la filiera del cibo sviluppando relazioni comunitarie per la ridistribuzione del cibo e la riduzione dello spreco alimentare.
Filiere di prossimità per un nuovo tipo di sviluppo locale
Così facendo si crea anche un nuovo tipo di sviluppo locale e di amministrazione locale, “abilitando” e dando una dimensione di “scala” più ampia ad esperienze che, senza questa “rete” sarebbero tra loro frantumate. Così si dà loro il senso di una politica amministrativa che supera i confini, perché vede in tutto ciò non tanto un’aggregazione di attività che si sommano l’un l’altra, ma la creazione di un salto di qualità del fare amministrazione locale e sviluppo locale, favorendo nuove reti e filiere di prossimità dei beni comuni. E’ questa, in concreto, la politica di “localismo inclusivo”.
Questo tipo di esperienze “distrettuali” di beni comuni può essere riproducibile anche in forme diverse su altri territori, come sembrano evidenziare alcuni amministratori che hanno partecipato al convegno. Ma richiede comunque sempre una forte scelta politica in questa direzione orientando in tal senso tutta un’amministrazione locale, nella sua componente politica e tecnica.
Una scelta Politica
Sembra emergere che nei distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni vi sia un coordinamento, un tendenziale “fare sistema”, una visione politica sottostante, che favoriscono “comunità che apprendono” competenze civiche e sociali. Ed è proprio questo tipo di competenze acquisite che conferisce “potere” alle comunità: la possibilità/capacità di creare il nostro futuro di fronte a forze globali. Una prossimità reale, non virtuale, che nella forma del distretto per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, significa anche promuovere competenze sul come con-vivere oggi: “città che apprendono” e che creano “comunità inclusive”.
E’ necessario forse oggi più che mai coltivare più che la paura, questo tipo di coraggio, sia da parte di cittadini che amministratori: il coraggio di una nuova politica che attribuisca potere alle comunità locali e a quegli amministratori che sanno interpretare queste nuove esigenze sociali, sapendo che queste costituiscono un nuovo spazio tra Stato e mercato. Perché quando le comunità s’indeboliscono, allora il mercato diventa troppo iniquo e lo Stato troppo autoritario, come afferma Raghuram Rajan. Ricominciare dalle comunità locali è quindi una precisa scelta politica di chi innova in questo “squilibrio”… ricominciando dalle persone.