Per la prima volta, nella narrativa sui beni comuni ad opera di Labsus, ci troviamo a commentare il caso in cui ad adottare il Regolamento sull’amministrazione condivisa è un ente locale ex art. 114 della Costituzione diverso dal Comune. A scegliere di sposare il paradigma dell’amministrazione condivisa per la cura dei beni comuni è infatti la Città Metropolitana di Milano, nel pieno esercizio delle sue funzioni e finalità, così come disciplinate dalla Costituzione (artt. 114 e 117) e dalla legge 7 aprile 2014, n. 56.
Una diffusione inarrestabile, oltre i confini del Comune
Nato prettamente in seno al livello comunale, il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per i beni comuni sta più di recente scavalcando i sui confini di applicazione, aprendosi a nuove sperimentazioni talora per esempio basate su Unioni tra più Comuni, talora su un livello amministrativo-territoriale di area più vasta, quale è il caso della Città Metropolitana di Milano in commento.
Guardando all’evoluzione dei confini del modello di amministrazione condivisa, si ha così l’impressione di assistere a un fenomeno dalla portata empirica in continuo avanzamento e, quanto più eterogenei si fanno i casi di applicazione, tanto più composita diventa la riflessione sulle specificità che di volta in volta emergono.
Un Regolamento per continuità o per differenza?
Al calare dell’analisi nelle righe del testo regolamentare, la prima domanda che vien da porsi è se all’aspetto di novità che interessa il soggetto giuridico che ha adottato il regolamento in esame, corrisponde un quadro dispositivo altrettanto peculiare.
La risposta all’interrogativo si traduce in una immediata constatazione: il carattere innovativo del contenuto del Regolamento della Città Metropolitana di Milano sta proprio nella sua fedelissima adesione al prototipo di regolamento elaborato da Labsus.
A cominciare dall’indice, che si presenta – al netto di alcuni necessari adattamenti formali – con una struttura pressoché identica al modello precostituito, essendo anch’esso suddiviso in 7 Capi, portanti la stessa denominazione dell’originale, e in una successione di articoli quasi coincidente nello sviluppo, intitolazione e numero a quella dell’archetipo di Labsus, se non fosse per l’assenza della previsione, tra le forme di sostegno, di esenzioni e agevolazioni in materia di canoni e tributi.
Coincidenza nella forma, coincidenza nella sostanza
All’adesione strutturale del testo segue un’esplicita aderenza ai principi, ai valori, alle definizioni, al significato e al significante dell’amministrazione condivisa, così come dimostra, in primis il contenuto del Capo I – Disposizioni generali del Regolamento.
La convinzione di seguire il modello ispiratore appare poi ancora più netta quando ci si addentra nelle disposizioni di carattere procedurale, al Capo II. Qui, al fine di onorare al meglio la funzione istituzionale della collaborazione con i cittadini, secondo i dichiarati criteri di massima prossimità, coordinamento con gli organi coinvolti ed efficacia dei rapporti con i cittadini, la Città Metropolitana di Milano ha previsto l’istituzione di un interlocutore unico – la Direzione di Progetto “Welfare metropolitano e rigenerazione urbana” – quale presidio titolare e organizzativo per la realizzazione di un’amministrazione condivisa ai sensi dell’articolo 118, comma 4 della Costituzione. Le funzioni e i compiti della Direzione di Progetto sono fitte e ben dichiarate (artt. 6, 7, 8, Capo II) e spaziano dalla detenzione dei flussi relazionali con i cittadini, alla ricezione delle proposte di patti di collaborazione; dall’individuazione di strumenti di sponsorizzazione e di raccolta fondi, all’identificazione dei patti, fino alla raccolta, verifica e valutazione del loro contenuto. Il carattere di accentramento delle funzioni demandate a questo ufficio è accentuato dai plurimi compiti assegnati, già in sede di Regolamento, al suo Direttore che – sia nei patti semplici che complessi – è il soggetto incaricato alla loro sottoscrizione (sebbene, per i patti complessi, l’iter di approvazione sia più articolato e rimanga soggetto alla valutazione e all’approvazione da parte del Consiglio metropolitano).
L’enfasi posta sulla figura apicale della Direzione, nonché su tutto l’ufficio centrale, sembra così essere pienamente coerente con il livello di governo da cui è emanato il regolamento. La Città metropolitana, rispetto al Comune, infatti, si qualifica come un ente territoriale di aria più vasta, al quale afferiscono diverse realtà comunali che, per perseguire finalità e azioni coordinate, necessitano a monte di una capacità propulsiva e di direzione organizzativa solida e ben identificata.
La concezione di “sicurezza”, un elemento per distinguersi
Il flusso di continuità tra il Regolamento della Città Metropolitana di Milano e il modello proposto da Labsus s’interrompe inaspettatamente sul tema delle coperture assicurative dei cittadini attivi.
L’argomento delle polizze assicurative contro i rischi derivanti dalle attività previste dai patti di collaborazione viene di fatto sottratto alle disposizioni dedicate alle “forme di sostegno” e riportato quindi al Capo VI, nella sezione specifica che disciplina la prevenzione dei rischi.
Da qui appare quasi scontato dedurre una differente declinazione da parte della Città Metropolitana delle coperture assicurative nel contesto delle pratiche di amministrazione condivisa. Se, infatti, nel prototipo originale di Regolamento la stipula da parte del Comune di una polizza assicurativa per i cittadini assurge a strumento con funzione di stimolo e facilitazione, nel Regolamento della Città Metropolitana la ratio dello strumento sembra di nuovo restringersi ai termini più canonici della prevenzione e della sicurezza.
Questo approccio più tradizionale trova una riconferma al comma 5 dell’art. 17, in cui si richiama in causa il riferimento esplicito alla disciplina sulla salute e sicurezza in materia di lavoro (Dlgs 81/2008), che invece ci si era appositamente premurati di eliminare nel modello proposto da Labsus. Altrettanta perplessità desta lo stesso articolo nella parte in cui dispone che i cittadini attivi singoli, qualora agiscano nei rapporti con la Città Metropolitana attraverso formazioni sociali, che prestano la propria attività di collaborazione, sono da considerare “datore di lavoro”. La disposizione in analisi, così, non fa altro che destare nuovamente il rischio che le attività di collaborazione svolte in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale vengano qualificate come “lavoro” e, di conseguenza, i cittadini attivi, singoli o associati, che le esercitano, come “lavoratori”. Equivoco, questo, che è sempre ben importante provare a scansare.
Un modello “erga multos”…ma anche “erga omnes”?
Con l’adozione di un regolamento che ricalca in buona forma e sostanza il modello proposto e concepito per i Comuni, la Città Metropolitana ha senz’altro dimostrato di saper interpretare correttamente il paradigma dell’amministrazione condivisa, compiendo una dichiarazione esplicita di adesione ai suoi principi, agli orientamenti, alle finalità e finanche al linguaggio che sono propri del modello.
D’altra parte, però, come in un tutte le circostanze in cui la scelta è l’opzione de minimis, rimane il dubbio che non sia stata colta appieno un’opportunità di sperimentazione più avanzata e innovativa, di cui proprio Milano, in qualità di prima Città Metropolitana con un regolamento sulla gestione condivisa dei beni comuni, avrebbe invece potuto attribuirsi il merito.
Vedere il prototipo di Labsus adottato in un’esperienza regolamentare portata avanti da un soggetto diverso dal Comune resta – per ora – una conferma del suo grado di adattabilità e della sua funzione di supporto alle molteplici e diverse realtà amministrative che decidano di adottarlo. D’ora in avanti sarà interessante verificare le sue effettive capacità d’impiego ad un livello di governo diverso, che – per funzioni e competenze – presenta le sue ineludibili peculiarità.
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