Un progetto del Touring Club Italiano che coinvolge 26 città, 60 beni culturali, 1.000 volontari per prendersi cura dei beni culturali e ambientali italiani

Caparbi! questo il nome del progetto che il Touring Club Italiano ha presentato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per sostenere l’iniziativa “Un giorno per bene”, due giornate che il prossimo 21 e 22 settembre vedranno coinvolte 26 città in tutte le regioni italiane, 60 beni culturali del nostro Paese e circa 1.000 volontari impegnati nel garantire l’apertura di quei beni al pubblico, ma anche azioni di cura del territorio come pulizia di spiagge, piste ciclabili, parchi e tanto altro.
E caparbi un po’ bisogna esserlo di fronte alla generale situazione in cui versa il patrimonio culturale e ambientale italiano per promuovere una iniziativa che intende sottolineare quanto cittadini appassionati possano fare.

La fruizione dei beni attraverso i patti in cinque città

In alcune delle città coinvolte dall’iniziativa, in particolare quelle che hanno adottato il Regolamento per la cura dei beni comuni e l’amministrazione condivisa (Brindisi, Brescia, Milano, Siena, Verona), lo strumento utilizzato per definire le azioni di cura dei beni comuni affidati ai cittadini è il patto di collaborazione. In particolare compito dei cittadini, formati dal Touring Club Italiano, è quello di fornire assistenza e informazioni ai visitatori su: “orari di apertura al pubblico, caratteristiche del sito, cenni storici e artistici relativi al luogo, calendario di eventuali manifestazioni in programma, sussidi disponibili a supporto della visita, servizi di visite guidate”.

I principi alla base dell’iniziativa

Secondo Nicolò Pozzetto, di Touring Club Italiano e coordinatore di “Un giorno per bene”, sono diverse le chiavi di lettura e i valori alla base dell’iniziativa. “La prima è l’aggregazione in reti informali di diverse organizzazioni a livello locale. In ogni città il Touring si è “alleato” con altre associazioni, organizzazioni di volontariato, istituzioni, pubbliche amministrazioni per percorrere insieme questo “pezzo di strada”. L’auspicio è che alcune di queste reti continuino a esistere anche dopo il 22 settembre, o che, in caso contrario, possano comunque rappresentare per tutti una best practice, un punto di riferimento a cui tendere con la consapevolezza che realizzare iniziative insieme è più complesso, ma restituisce maggiori gratificazioni rispetto a realizzarle da soli.
Una seconda chiave di lettura è la voglia e l’interesse dei cittadini sia a essere interpellati su ciò che si potrebbe migliorare nelle loro città (abbiamo ottenuto 10.000 risposte) sia nell’essere coinvolti per intervenire sui beni comuni (oltre 1.000 sono le persone che si sono candidate a volontario).
La terza è che se il mondo del Terzo Settore è ormai pronto da tempo a raccogliere l’impegno dei cittadini (Un giorno per bene è solo l’ultima testimonianza in ordine di tempo), sono ancora molto complesse e farraginose le procedure che consentono agli stessi cittadini di intervenire sui beni comuni. Abbiamo riscontrato retropensieri e posizioni di difesa che fanno sottintendere che, a volte, l’obiettivo non è restituire i beni comuni bensì non commettere errori a prescindere da quale sia il valore e lo scopo dell’iniziativa. Sicuramente avere strumenti strutturati e già implementati dalle pubbliche amministrazioni, come i regolamenti per l’amministrazione condivisa, agevola il rapporto cittadino/organizzazione-pubblica amministrazione. Occorre comunque evidenziare che in un progetto nazionale tale vantaggio si perde in quanto ogni amministrazione agisce in modo indipendente e autoreferenziale rispetto a regolamenti e normative che si è data”.
Se, quindi, l’interesse riscontrato presso gruppi formali e informali è elevato, risultano ancora complesse, articolate e poco fluide le forme di collaborazione tra istituzioni e cittadini, in particolare quando si tratta di beni culturali. Utilizzare i patti di collaborazione può essere la strada giusta, cercando di superare quelle particolarità legate alle singole esperienze locali attraverso la costituzione di una rete nazionale degli enti locali per l’amministrazione condivisa che possa dare uniformità nella definizione del patto e maggiore forza alle diverse realtà territoriali.

I beni culturali e lo sviluppo locale

La capacità di fare rete, del resto, è il vero punto di forza del progetto. La base su cui costruire, attraverso la cura dei beni culturali e ambientali, ipotesi di sviluppo per le comunità locali. Ancora Nicolò Pozzetto ci dice su questo punto Rispondere “Sì” è troppo facile e illusorio perché ogni bene culturale è intrinsecamente legato al territorio a cui appartiene e di conseguenza alle diverse dinamiche sociali, economiche, amministrative che a vario titolo insistono sul bene. Quindi non esiste una modalità univoca grazie a cui i beni culturali possano essere un’opportunità di sviluppo delle comunità locali. La mia riflessione riguarda il fatto che i beni culturali devono essere prima riconosciuti come tali dalle comunità locali come elementi identificativi della comunità stessa. Intendo dire: se un bene culturale è visto come opportunità di sviluppo solo da chi lo “possiede” (es. il Ministero) o dagli attori economici (imprenditori), le azioni che lo interesseranno porteranno benefici solo a questi soggetti con poche ricadute sugli altri che compongono le comunità. Lo sforzo da compiere è quello di condividere il valore, la storia, il vissuto dei beni culturali affinché nessuno si senta escluso dalla loro valorizzazione e se ne faccia promotore. Solo così, con un percorso lungo e condiviso, può realmente rappresentare una opportunità di sviluppo delle comunità locali”.