Partecipazione è un termine impegnativo.
Richiede la capacità di con-siderare la realtà e de-siderare di migliorarla, mettendo in gioco le proprie energie, competenze, risorse. Perché di partecipazione si può parlare tanto, ma il tratto fondamentale della partecipazione sta nell’azione, nella disponibilità aperta e fraterna ad accogliere esiti incerti, a misurarsi con tentativi ed errori, specie quando le componenti in gioco sono molte, i tempi ristretti e gli obiettivi molto ambiziosi. Partecipare è un rischio da correre, una fatica da sostenere, ma quando la prospettiva è quella di contribuire alla costruzione del bene comune, è un compito a cui non ci si può sottrarre.
Questo è ciò con cui sta misurandosi un’ampia rete di organizzazioni di Terzo Settore lombarde impegnata nei progetti “Trame di Futuro in Lombardia”, concluso a settembre 2019, e “Trame di Partecipazione”, iniziato a ottobre e che, per un anno, connetterà le energie di centinaia di realtà della società civile per affrontare il tema della partecipazione civica, del volontariato, della disponibilità a generare benefici per la collettività attraverso proposte associative e iniziative di solidarietà.
Un cambio d’epoca
In un clima sociale caratterizzato da tensioni, sembra che alle relazioni stia accadendo qualcosa di simile ai processi di desertificazione: le risorse si riducono, cresce l’aggressività, aumentano i conflitti, alcune specie rischiano di scomparire. E’ un problema che può essere affrontato in modi differenti: migrando verso altri territori, seguendo regole basate su relazioni di forza, oppure lavorando per ripristinare condizioni ambientali più favorevoli, condividendo (intanto) le risorse disponibili e modificando gli stili e i comportamenti.
La contrazione di risorse avvenuta negli ultimi anni, specie rispetto le politiche di welfare, pone agli Enti di Terzo Settore (e alle istituzioni) il problema di come agire, di darsi una prospettiva generativa, adatta a cogliere le sfide come opportunità nel cambio d’epoca che stiamo vivendo. “Un cambio d’epoca”, non “un’epoca di cambiamenti”, come ben indicato da papa Francesco in un discorso tenuto a Firenze nel 2015 rivolto ai rappresentanti della Chiesa Italiana, nel quale invita la Chiesa (ma questo invito interessa l’umanità) ad essere “inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”.
La semplicità è una complessità risolta
Una prospettiva al contempo dolce e decisa, rivoluzionaria, che richiede, guardando al mondo del Terzo Settore, già da oggi e ancor più domani, di unire le forze, superare le logiche di autoreferenzialità che attraversano tante esperienze associative e riconoscersi non più sufficienti, da soli, a rispondere alla complessità del nostro tempo. Non esiste una soluzione semplice e soprattutto non esiste un’unica soluzione che vada bene per tutti, ma, per dirla con le parole dello scultore Constantin Brâncuși, la semplicità è una complessità risolta.
E’ la complessità la dimensione da considerare: solo attraverso alleanze, convergenze, conflitti affrontati e superati, ipotesi e progetti condivisi si può tendere verso la semplicità. E’ verso questa direzione che occorre muoversi, avvicinandosi gli uni con gli altri come una critical mass intenta ad attraversare un incrocio pericoloso, riconoscendo il fatto che l’attraversamento è sicuro solo se lo si compie insieme. L’obiettivo è quello di promuovere la piena realizzazione dei cittadini, fornendo loro l’opportunità di riunirsi liberamente e pacificamente, come la nostra splendida Carta costituzionale ricorda, di sperimentare la pratica della democrazia a partire dalle piccole cose, trovando un buon punto di equilibrio, come corpi intermedi, tra il bisogno di salvaguardare la propria identità e accogliere nuove energie vitali.
Co-programmare, ancora prima che co-progettare…
In un recente incontro tenutosi a Milano lo scorso 24 ottobre, legato ai progetti precedentemente citati, diversi responsabili delle principali reti associative lombarde, dei centri di servizio per il volontariato, delle fondazioni di origine bancaria, delle istituzioni regionali, insieme ad esperti del mondo accademico, hanno condiviso un momento prezioso di confronto, di dialogo, per ri-orientare le proprie visioni e trovare dei punti di comunanza e unità nell’agire con e per i cittadini. Tra i temi affrontati, ampio spazio hanno trovato quelli legati alla rappresentanza, spesso divenuta rappresentazione, incapace di far emergere i veri bisogni e le istanze dei territori; alla necessità di un’alleanza più forte e continuativa tra istituzioni ed Enti del Terzo Settore, per trovare soluzioni nuove a problemi nuovi, per co-programmare, ancor prima che co-progettare, politiche adeguate alle sfide di domani; all’importanza di considerare parte della Repubblica le formazioni sociali, superando sterili approcci dicotomici tra pubblico e privato, tra Stato e mercato, riconoscendo che esiste un’ampia area di contatto e contaminazione che ha capacità generative e spazio per crescere.
Tante le proposte e le ipotesi prospettate nell’incontro, così come molte sono state le questioni rimaste aperte, accogliendo la possibilità, in un tempo in cui si è più propensi alle facili risposte che a individuare delle domande di senso, di affrontare l’incertezza, ragionando ancor prima che sul “cosa”, sul “come” aprire percorsi di significato, capaci di futuro.
Il nodo, uno dei nodi, è quello del passaggio da un ego-sistema verso un eco-sistema, accreditando la funzione degli Enti di Terzo Settore di essere promotori del coinvolgimento delle comunità, attivando cambiamenti capaci di radicarsi nel tessuto delle organizzazioni, costruendo un clima di fiducia e di reciprocità, condizioni essenziali per rinforzare realmente le reti, per favorire e garantire nel tempo condizioni di tenuta e stabilità agli interventi di carattere sociale promossi dal Terzo Settore.
…modificando gli assetti organizzativi
Comune denominatore di tali interventi restano le persone, le donne e gli uomini che impegnano volontariamente e gratuitamente le loro competenze, risorse ed energie in un corpus solidale con “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, senza scopo di lucro“, per promuovere e realizzare “attività d’interesse generale”, cioè iniziative che generano benefici per sé, per la comunità, per l’ambiente; iniziative che hanno impatto sul lavoro, sul benessere, sull’assistenza e la cura, sulla collettività. Si tratta di esperienze da riconoscere, raccordare, promuovere nella consapevolezza che rappresentano un bene sia a livello globale, che locale. Ecco perché occorre consonanza tra l’agire delle associazioni, ripensando ove necessario i modelli di governo e governance, e la Riforma del Terzo Settore, una tela che il pittore ha ancora lasciato incompiuta ma che presenta tratti originali, nuovi.
Un primo passo da muovere sta nel modificare i modelli organizzativi e le forme della programmazione, considerando che al centro non c’è il servizio, pur importante, ma la solidarietà e la condivisione, capaci di tradursi in sostanza e azioni concrete, riflettendo sugli esiti e sugli impatti che si intendono generare, superando anche la logica della progettazione come strumento di mera sostenibilità dell’ordinario, rincorrendo bandi e rendicontazioni che allontanano dal mandato sociale, dal promuovere forme differenziate di collaborazione e di rete.
Lavorare per l’unità
Questo periodo di transizione rappresenta un’opportunità, uno spazio in cui provare a fare un’immersione e una riemersione nella realtà, come prospettato dal Presencing Institute del MIT di Boston (una comunità di teoria e di pratica che si interessa ai temi del cambiamento della società), abbandonando le ruotine consolatorie, le certezze consolidate, le esperienze pregresse, le idee preconcette, i luoghi comuni, l’abitudine ad ascoltare solo chi la pensa come noi.
Al lettore giunto fin qui in questa mia riflessione consegno un invito, un motto, riprendendo le parole di papa Giovanni XXIII: “in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas“, cioè nelle cose essenziali l’unità, nel dubbio la libertà, in tutte le cose la carità. Credo che in questa fase occorra lavorare per l’unità, perché i dubbi sono tanti e solo la carità può aiutarci a superarli. Purtroppo, come soggetti del Terzo Settore, ci consideriamo spesso delle isole autosufficienti e non formiamo neanche un arcipelago! Dobbiamo cercare insieme di valorizzare quel complesso e composito mondo che rappresentiamo, evitando però che procedure, solitudini, smanie e manie di potenza sfibrino il tessuto e le energie delle molte persone che si impegnano tanto nelle realtà sociali, quotidianamente e spesso in silenzio, generando quel bene comune di cui il Paese ha e avrà sempre più bisogno.
Antonio Lagrotteria è Segretario generale di Acli Lombardia.